La santità non è fare cose straordinarie, ma essere uniti a Cristo: così il Papa all’udienza
generale
“La santità … non consiste nel compiere imprese straordinarie, ma nell’unirsi a Cristo,
nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti, i suoi pensieri,
i suoi comportamenti”: è quanto ha affermato stamani il Papa durante l’udienza generale
in Piazza San Pietro incentrata sul tema della santità. I santi - ha sottolineato
- sono tipi molto diversi e tra di essi ci sono “anche i santi semplici, cioè le persone
buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate, sono persone normali,
per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di ogni giorno vedo la
verità della fede. Questa bontà alla quale sono maturati nella fede della Chiesa è
per me la più sicura apologia del cristianesimo e segno di dove sia la verità”. Con
la catechesi odierna Benedetto XVI ha concluso il ciclo sulle figure dei santi. Di
seguito il testo della catechesi.
Cari fratelli e sorelle,
nelle
Udienze generali di questi ultimi due anni ci hanno accompagnato le figure di tanti
Santi e Sante: abbiamo imparato a conoscerli più da vicino e a capire che tutta la
storia della Chiesa è segnata da questi uomini e donne che con la loro fede, con la
loro carità, con la loro vita sono stati dei fari per tante generazioni, e lo sono
anche per noi. I Santi manifestano in diversi modi la presenza potente e trasformante
del Risorto; hanno lasciato che Cristo afferrasse così pienamente la loro vita da
poter affermare con san Paolo “non vivo più io, ma Cristo vive in me” (Gal 2,20).
Seguire il loro esempio, ricorrere alla loro intercessione, entrare in comunione con
loro, “ci unisce a Cristo, dal quale, come dalla Fonte e dal Capo, promana tutta la
grazia e tutta la vita dello stesso del Popolo di Dio” (Conc. Ec. Vat. II, Cost. dogm.
Lumen gentium 50). Al termine di questo ciclo di catechesi, vorrei allora offrire
qualche pensiero su che cosa sia la santità.
Che cosa vuol dire essere
santi? Chi è chiamato ad essere santo? Spesso si è portati ancora a pensare che la
santità sia una meta riservata a pochi eletti. San Paolo, invece, parla del grande
disegno di Dio e afferma: “In lui – Cristo – (Dio) ci ha scelti prima della creazione
del mondo per essere santi e immacolati di fronte a lui nella carità” (Ef 1,4). E
parla di noi tutti. Al centro del disegno divino c’è Cristo, nel quale Dio mostra
il suo Volto: il Mistero nascosto nei secoli si è rivelato in pienezza nel Verbo fatto
carne. E Paolo poi dice: “E’ piaciuto infatti a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza”
(Col 1,19). In Cristo il Dio vivente si è fatto vicino, visibile, ascoltabile, toccabile
affinché ognuno possa attingere dalla sua pienezza di grazia e di verità (cfr Gv 1,14-16).
Perciò, tutta l’esistenza cristiana conosce un’unica suprema legge, quella che san
Paolo esprime in una formula che ricorre in tutti i suoi scritti: in Cristo Gesù.
La santità, la pienezza della vita cristiana non consiste nel compiere imprese straordinarie,
ma nell’unirsi a Cristo, nel vivere i suoi misteri, nel fare nostri i suoi atteggiamenti,
i suoi pensieri, i suoi comportamenti. La misura della santità è data dalla statura
che Cristo raggiunge in noi, da quanto, con la forza dello Spirito Santo, modelliamo
tutta la nostra vita sulla sua. E’ l’essere conformi a Gesù, come afferma san Paolo:
“Quelli che egli da sempre ha conosciuto, li ha predestinati a essere conformi all’immagine
del Figlio suo” (Rm 8,29). E sant’Agostino esclama: “Viva sarà la mia vita tutta piena
di Te” (Confessioni, 10,28). Il Concilio Vaticano II, nella Costituzione sulla Chiesa,
parla con chiarezza della chiamata universale alla santità, affermando che nessuno
ne è escluso: “Nei vari generi di vita e nelle varie professioni un’unica santità
è praticata da tutti coloro che sono mossi dallo Spirito di Dio e … seguono Cristo
povero, umile e carico della croce, per meritare di essere partecipi della sua gloria”
(n. 41).
Ma rimane la questione: come possiamo percorrere la strada
della santità, rispondere a questa chiamata? Posso farlo con le mie forze? La risposta
è chiara: una vita santa non è frutto principalmente del nostro sforzo, delle nostre
azioni, perché è Dio, il tre volte Santo (cfr Is 6,3), che ci rende santi, è l’azione
dello Spirito Santo che ci anima dal di dentro, è la vita stessa di Cristo Risorto
che ci è comunicata e che ci trasforma. Per dirlo ancora una volta con il Concilio
Vaticano II: “I seguaci di Cristo, chiamati da Dio non secondo le loro opere, ma secondo
il disegno della sua grazia e giustificati in Gesù Signore, nel battesimo della fede
sono stati fatti veramente figli di Dio e compartecipi della natura divina, e perciò
realmente santi. Essi quindi devono, con l’aiuto di Dio, mantenere nella loro vita
e perfezionare la santità che hanno ricevuta” (ibid., 40). La santità ha dunque la
sua radice ultima nella grazia battesimale, nell’essere innestati nel Mistero pasquale
di Cristo, con cui ci viene comunicato il suo Spirito, la sua vita di Risorto. San
Paolo sottolinea in modo molto forte la trasformazione che opera nell’uomo la grazia
battesimale e arriva a coniare una terminologia nuova, forgiata con la preposizione
“con”: con-morti, con-sepolti, con-risucitati, con-vivificati con Cristo; il nostro
destino è legato indissolubilmente al suo. “Per mezzo del battesimo - scrive - siamo
stati sepolti insieme con lui nella morte affinché, come Cristo fu risuscitato dai
morti… così anche noi possiamo camminare in una vita nuova” (Rm 6,4). Ma Dio rispetta
sempre la nostra libertà e chiede che accettiamo questo dono e viviamo le esigenze
che esso comporta, chiede che ci lasciamo trasformare dall’azione dello Spirito Santo,
conformando la nostra volontà alla volontà di Dio.
Come può avvenire
che il nostro modo di pensare e le nostre azioni diventino il pensare e l’agire con
Cristo e di Cristo? Qual è l’anima della santità? Di nuovo il Concilio Vaticano II
precisa; ci dice che la santità cristiana non è altro che la carità pienamente vissuta.
“«Dio è amore; chi rimane nell'amore rimane in Dio e Dio rimane in lui» (1Gv 4,16).
Ora, Dio ha largamente diffuso il suo amore nei nostri cuori per mezzo dello Spirito
Santo, che ci fu dato (cfr Rm 5,5); perciò il dono primo e più necessario è la carità,
con la quale amiamo Dio sopra ogni cosa e il prossimo per amore di Lui. Ma perché
la carità, come un buon seme, cresca nell’anima e vi fruttifichi, ogni fedele deve
ascoltare volentieri la parola di Dio e, con l'aiuto della sua grazia, compiere con
le opere la sua volontà, partecipare frequentemente ai sacramenti, soprattutto all'Eucaristia
e alla santa liturgia; applicarsi costantemente alla preghiera, all'abnegazione di
se stesso, al servizio attivo dei fratelli e all'esercizio di ogni virtù. La carità
infatti, vincolo della perfezione e compimento della legge (cfr Col 3,14; Rm 13,10),
dirige tutti i mezzi di santificazione, dà loro forma e li conduce al loro fine. Forse
anche questo linguaggio del Concilio Vaticano II per noi è ancora un po' troppo solenne,
forse dobbiamo dire le cose in modo ancora più semplice. Che cosa è essenziale? Essenziale
è non lasciare mai una domenica senza un incontro con il Cristo Risorto nell'Eucaristia;
questo non è un peso aggiunto, ma è luce per tutta la settimana. Non cominciare e
non finire mai un giorno senza almeno un breve contatto con Dio. E, nella strada della
nostra vita, seguire gli “indicatori stradali” che Dio ci ha comunicato nel Decalogo
letto con Cristo, che è semplicemente l'esplicitazione di che cosa sia carità in determinate
situazioni. Mi sembra che questa sia la vera semplicità e grandezza della vita di
santità: l’incontro col Risorto la domenica; il contatto con Dio all’inizio e alla
fine del giorno; seguire, nelle decisioni, gli “indicatori stradali” che Dio ci ha
comunicato, che sono solo forme di carità. Perciò il vero discepolo di Cristo si caratterizza
per la carità verso Dio e verso il prossimo” (Lumen gentium, 42). Questa è la vera
semplicità, grandezza e profondità della vita cristiana, dell'essere santi.
Ecco perché sant’Agostino, commentando il capitolo quarto della Prima Lettera di san
Giovanni, può affermare una cosa coraggiosa: “Dilige et fac quod vis”, “Ama e fa’
ciò che vuoi”. E continua: “Sia che tu taccia, taci per amore; sia che tu parli, parla
per amore; sia che tu corregga, correggi per amore; sia che perdoni, perdona per amore;
vi sia in te la radice dell'amore, poiché da questa radice non può procedere se non
il bene” (7,8: PL 35). Chi è guidato dall’amore, chi vive la carità pienamente è
guidato da Dio, perché Dio è amore. Così vale questa parola grande: “Dilige et fac
quod vis”, “Ama e fa’ ciò che vuoi”.
Forse potremmo chiederci: possiamo
noi, con i nostri limiti, con la nostra debolezza, tendere così in alto? La Chiesa,
durante l’Anno Liturgico, ci invita a fare memoria di una schiera di Santi, di coloro,
cioè, che hanno vissuto pienamente la carità, hanno saputo amare e seguire Cristo
nella loro vita quotidiana. Essi ci dicono che è possibile per tutti percorrere questa
strada. In ogni epoca della storia della Chiesa, ad ogni latitudine della geografia
del mondo, i Santi appartengono a tutte le età e ad ogni stato di vita, sono volti
concreti di ogni popolo, lingua e nazione. E sono tipi molto diversi. In realtà devo
dire che anche per la mia fede personale molti santi, non tutti, sono vere stelle
nel firmamento della storia. E vorrei aggiungere che per me non solo alcuni grandi
santi che amo e che conosco bene sono “indicatori di strada”, ma proprio anche i santi
semplici, cioè le persone buone che vedo nella mia vita, che non saranno mai canonizzate.
Sono persone normali, per così dire, senza eroismo visibile, ma nella loro bontà di
ogni giorno vedo la verità della fede. Questa bontà, che hanno maturato nella fede
della Chiesa, è per me la più sicura apologia del cristianesimo e il segno di dove
sia la verità. Nella comunione dei Santi, canonizzati e non canonizzati,
che la Chiesa vive grazie a Cristo in tutti i suoi membri, noi godiamo della loro
presenza e della loro compagnia e coltiviamo la ferma speranza di poter imitare il
loro cammino e condividere un giorno la stessa vita beata, la vita eterna.
Cari
amici, come è grande e bella, e anche semplice, la vocazione cristiana vista in questa
luce! Tutti siamo chiamati alla santità: è la misura stessa della vita cristiana.
Ancora una volta san Paolo lo esprime con grande intensità, quando scrive: “A ciascuno
di noi è stata data la grazia secondo la misura del dono di Cristo… Egli ha dato ad
alcuni di essere apostoli, ad altri di essere profeti, ad altri ancora di essere evangelisti,
ad altri di essere pastori e maestri, per preparare i fratelli a compiere il ministero,
allo scopo di edificare il corpo di Cristo, finché arriviamo tutti all’unità della
fede e della conoscenza del Figlio di Dio, fino all’uomo perfetto, fino a raggiungere
la misura della pienezza di Cristo” (Ef 4,7.11-13). Vorrei invitare tutti ad aprirsi
all’azione dello Spirito Santo, che trasforma la nostra vita, per essere anche noi
come tessere del grande mosaico di santità che Dio va creando nella storia, perché
il volto di Cristo splenda nella pienezza del suo fulgore. Non abbiamo paura di tendere
verso l’alto, verso le altezze di Dio; non abbiamo paura che Dio ci chieda troppo,
ma lasciamoci guidare in ogni azione quotidiana dalla sua Parola, anche se ci sentiamo
poveri, inadeguati, peccatori: sarà Lui a trasformarci secondo il suo amore. Grazie.