Mons. Vegliò: grave la massa di profughi iracheni in tutto il Medio Oriente, l'Europa
si mobiliti
Un appello all’Unione Europea, affinché sia potenziato il programma di reinsediamento
dei rifugiati provenienti dal Medio Oriente, arriva dall’arcivescovo Antonio Maria
Vegliò, presidente del Pontificio Consiglio della Pastorale per i migranti e gli
itineranti. Il presule ha compiuto nel mese di marzo una visita pastorale in Giordania,
dove ha potuto verificare la drammatica condizione dei rifugiati iracheni. Eccolo
al microfono di Fabio Colagrande:
R. - La situazione
è complessa. La regione – che comprende Iraq, Giordania, Libano, Siria e Turchia –
è caratterizzata dal flusso dei rifugiati iracheni, il cui numero si aggira intorno
ai due milioni. Solo in Iraq si possono contare circa 1 milione e mezzo di sfollati.
In questo momento, in Giordania vi sono ben 300 mila migranti per motivi economici
e circa 500 mila rifugiati, di cui circa 33 mila riconosciuti come tali dall'UNHCR.
Un numero molto consistente di persone. Per questa accoglienza che il Paese offre
ai rifugiati, malgrado la precarietà dello loro status, ho ringraziato personalmente
il Re Abdullah II che mi ha ricevuto in udienza. Gli iracheni non vogliono rimanere
nel proprio Paese e lo lasciano per paura. In particolare, la gente che scappa appartiene
a minoranze non solo cristiane ma anche musulmane. Tutto ciò ha gravi conseguenze
sulla società irachena, la sua gente e su ogni singolo individuo.
D.
- Qual è l’impegno della Chiesa locale in una realtà particolare come quella Giordana?
R.
- Ho riscontrato che vi è una generale predisposizione all’accoglienza come ritengo
sia doveroso fare. Durante la mia visita in Giordania, ho visto organizzazioni cattoliche,
come la Caritas e l’ICMC, che si prendono cura di quanti hanno bisogno, provvedendo
ai generi alimentari, alla ricerca di lavoro, alle cure mediche negli ospedali e alla
scolarizzazione. La Chiesa è anche attiva nella cura pastorale. Vi sono comunità di
rifugiati che vivono in Giordania, come la chiesa Caldea che forma una comunità in
diaspora, e come la Chiesa greco-melchita, che si attiva molto in favore dei rifugiati.
Al tempo stesso, la Chiesa cattolica in Giordania è pure molto operosa con l’ausilio
delle sue Congregazioni religiose. Infatti, vi sono sacerdoti e soprattutto suore
che si recano a visitare le case dei rifugiati, per prestare assistenza integrale
a ciascuna persona e organizzando campi per i giovani. Il problema dei rifugiati è
che essi sono autorizzati a soggiornare nel Paese soltanto come ospiti, senza però
diritto a lavorare. Questo divieto li fa cadere nella più assoluta povertà, privi
di mezzi di sussistenza. Essi possono soltanto farsi spedire soldi dall’Iraq o da
familiari sparsi in altri Paesi ospitanti. Molte volte le conseguenze sono drammatiche,
dato che la situazione si protrae per anni. È chiaro che questi rifugiati non sono
autorizzati a integrarsi nella società giordana. Per loro è previsto il ritorno nel
Paese d’origine, l’Iraq, ma al momento non è possibile per la situazione incerta e
pericolosa. Una terza possibilità è il re-insediamento nei Paesi disposti a ospitare
i rifugiati. Con questa preoccupazione, desidero fare appello affinché il programma
di re-insediamento dell’Unione Europea sia potenziato per accogliere un maggior numero
di rifugiati dal Medio Oriente.