Costa d’Avorio: l’ex capo dello Stato Gbabo verrà processato
Clamorosa svolta in Costa D’Avorio. Ieri ad Abidjan, in un ultimo clamoroso attacco
al suo bunker, è stato arrestato il presidente uscente, Laurent Gbagbo. Il blitz è
stato condotto dalle truppe del capo di Stato eletto, Alassane Ouattara, coadiuvate
dalle forze francesi e delle Nazioni Unite. Il segretario generale del Palazzo di
Vetro, Ban Ki-moon, ha esortato Ouattara ad evitare un bagno di sangue, mentre il
presidente degli Stati Uniti, Barack Obama, ha salutato la resa come “una vittoria
per la democrazia”, invitando il presidente legittimo, Alassane Ouattara, a “governare
in nome di tutto il popolo”. E quest’ultimo ha annunciato che Gbagbo sarà processato.
Si conclude così la dolorosa vicenda ivoriana, iniziata con il ballottaggio presidenziale
del 28 novembre scorso, e con il rifiuto di Gbagbo di lasciare il potere. La crisi,
secondo fonti Onu, è costata la morte di almeno 536 persone e centinaia di migliaia
di sfollati. Sugli ultimi eventi Giancarlo la Vella ha intervistato Anna
Bono, docente di Storia dei Paesi africani all’Università di Torino:
R. – Il modo
in cui questa crisi postelettorale, iniziata quattro mesi fa, si sta concludendo non
è dei migliori. Gbagbo è stato arrestato con l’aiuto decisivo di forze esterne. Le
settimane a venire – speriamo che non siano mesi – ci diranno se la comunità internazionale,
che ha avuto un peso decisivo nel risolvere questa crisi, ha avuto ragione a comportarsi
in questo modo. Mi riferisco soprattutto al fatto che essersi schierata immediatamente
a favore dell’avversario Ouattara può essere stata una decisione avventata, visto
che i risultati sono stati e resteranno per sempre un punto interrogativo.
D.
– Si ha la sensazione che la situazione si sia conclusa al vertice, ma che di fatto
persista un forte rischio di guerra civile. E c'è poi la situazione umanitaria da
risolvere: in 500 mila sono fuggiti dalle violenze, hanno lasciato le proprie case.
R.
– Forse persino il doppio. La situazione reale del Paese è tutta da risolvere. E’
un Paese effettivamente diviso in due e questi anni e questi ultimi eventi non hanno
certo migliorato la situazione tra nord e sud, tra etnie antagoniste, possiamo dire,
da secoli, tra popolazione islamica e popolazione cristiana. C’è da considerare per
di più che il nuovo leader, il nuovo presidente Ouattara, è visto forse dalla maggior
parte della popolazione ivoriana prima di tutto come uno straniero per le sue origini
non ivoriane - che infatti negli anni passati gli hanno impedito di candidarsi alla
carica di presidente come aveva già tentato di fare. Inoltre, a questo bisogna adesso
aggiungere il fatto che la sua conquista del potere è stata dovuta più al fatto di
essere stato sostenuto da forze esterne e dalle sue truppe, che in virtù del voto,
lasciando dietro di sé una scia di sangue e violenze che peseranno di sicuro in una
prospettiva di pace.
D. – Sembrerebbero le stesse accuse per cui verrà
processato Gbagbo, in fondo...
R. – Sì. L’aspetto problematico di questa
crisi che si conclude per un verso e si apre per un altro è che le stesse accuse rivolte
a Gbagbo – violenze, la determinazione a non ammettere la volontà popolare – si possono
e si devono rivolgere anche Ouattara. Le premesse con cui sale al potere questo leader
non sono delle migliori. I prossimi giorni saranno decisivi per un verso. Si è già
parlato di una Commissione di riconciliazione… Molto dipenderà anche da come si comporterà
Ouattara nei confronti non tanto di Gbagbo, ma del suo schieramento. Esce di scena
un leader ma, non dimentichiamo, dietro a un leader c’è una cordata di parlamentari,
ministri, personalità ivoriane che adesso rischiano a loro volta le loro posizioni
economiche e politiche. Molto dipenderà da come Ouattara saprà e vorrà gestire il
rapporto con gli sconfitti. (bf)