Medio Oriente, 19 morti dall’inizio dei raid israeliani. Spiragli di tregua tra Israele
e Hamas
“Se gli attacchi contro Israele continueranno, i nostri colpi saranno molto più duri''.
È l’avvertimento lanciato oggi ad Hamas dal premier israeliano Benyamin Netanyahu
dopo una lunga scia di violenze: il bilancio dei morti, da quando Israele ha compiuto
una serie di raid dopo il lancio da parte di militanti palestinesi di un missile nel
territorio dello Stato ebraico, è di almeno 19 vittime. Aperture al cessate il fuoco
erano invece giunte ieri dal ministro della difesa Ehud Barak. Oggi la replica di
Hamas, che ha fatto sapere: alla tregua risponderemo con una tregua". Dopo gli appelli
alla pace di Onu e Unione Europea, quali speranze ci sono che il conflitto di Gaza
tra Israele e Hamas si risolva? Giancarlo La Vella ne ha parlato con Maria
Grazia Enardu, docente di Storia delle Relazioni Internazionali all’Università
di Firenze:
R. – La situazione
è molto confusa, perché negli ultimi giorni c’è stato un forte scambio di ostilità
tra Gaza e Israele. La situazione è preoccupante sia da un punto di vista militare
generale, sia da un punto di vista politico, perché c’è in questo momento una fortissima
tensione tra Hamas e l’Olp, che controlla invece il West Bank in vista delle elezioni
palestinesi. Inoltre su Gaza c’è una sorda guerra diplomatica a causa delle conseguenze,
che Israele considera nefaste, del Rapporto Goldstone che accusava Israele di aver
deliberatamente avuto come obiettivo i civili di Gaza durante l’“Operazione Piombo
Fuso”. Pochi giorni fa il giudice ha parzialmente ritrattato parte del suo rapporto,
dicendo che l’obiettivo dei civili non era “politica deliberata” dell’“Operazione
Piombo Fuso”.
D. – Quali effetti potrebbe avere questa parziale modifica
del Rapporto Goldstone?
R. – Lo Stato di Israele sarebbe assolto dall’accusa
di aver provocato uno spropositato numero di vittime civili durante la guerra di Gaza
di due anni fa e che, quindi, lo Stato ebraico si sentirebbe più libero di rispondere
ad eventuali azioni di Hamas o della Jihad islamica di Gaza, come ci sono state, senza
doversi difendere preventivamente sul piano diplomatico.
D. - Il fatto
che in questo momento la vicenda mediorientale sia una partita soltanto tra Israele
e Hamas tiene lontana la comunità internazionale dall’impegnarsi in una mediazione
più efficace?
R. – La Comunità internazionale, in questo momento, non
può mediare efficacemente perchè non c’è in questo momento un referente palestinese
unico e neanche legittimato: sia il Parlamento palestinese, sia il presidente Abu
Mazen sono “scaduti” da un anno o addirittura due anni. Bisogna allora aspettare le
prossime elezioni – che dovrebbero essere a settembre – per aver un interlocutore
palestinesi o, forse, due.
D. – La situazione siriana e i rivolgimenti
contro il regime di Damasco possono in qualche modo influire?
R. – Moltissimo.
Israele – tutto sommato – fa il 'tifo' per l’attuale regime siriano, perché teme che
una nuova Siria possa rimettere in discussione la questione libanese, che è già fluida
di suo, e quindi rafforzare in qualche modo hezbollah, in Libano. Questo Paese viene
visto da Israele come collegato ad Hamas, nella Striscia di Gaza. L’instabilità della
Siria è un gravissimo problema per Israele anche perché minaccia direttamente un altro
Paese, la Giordania, che già di per sé ha un equilibrio assai precario. (mg)