Costa d’Avorio, Gbagbo smentisce l’attacco alla sede di Ouattara. La testimonianza
dei Focolari nel Paese
Resta altissima la tensione in Costa d’Avorio, dove ieri sera ad Abidjan nuove esplosioni
hanno interrotto una giornata di tregua apparente. Intanto, oggi, il governo del presidente
uscente Laurent Gbagbo, ha negato di essere implicato nell'attacco compiuto ieri contro
il quartier generale del capo di Stato eletto e internazionalmente riconosciuto, Alassane
Ouattara. Intanto, si fa ogni giorno più grave l’emergenza umanitaria nel Paese. Linda
Giannattasio:00:01:05:04
Il rumore delle armi nella più grande città
della Costa D'Avorio, Abidjan, ha interrotto ieri sera la relativa calma nella sanguinosa
lotta in atto da mesi tra il presidente eletto Ouattata e il capo di Stato uscente
Gbabo. Secondo fonti della missione Onu, gli uomini di Gbabo avrebbero sparato senza
provocare vittime contro il Golf Hotel, da quattro mesi quartier generale di Ouattara,
generando la risposta dei caschi blu dell'Onu. Un attacco fermamente smentito da Gbabo
che oggi ha parlato di una storia completamente inventata, ammettendo solo alcuni
scontri, lontani dall’hotel. Gbabo – ha fatto sapere il suo portavoce ha quindi lanciato
un appello alla resistenza contro i bombardamenti e gli atti perpetrati dalle forze
francesi nel Paese, contro i suoi fedelissimi, che ieri avevano riguadagnato terreno
sulle truppe pro-Ouattara. Intanto, nella breve pausa dai combattimenti, moltissimi
abitanti hanno abbandonato la città alla ricerca di un posto sicuro, di cibo e di
medicinali, vista la enorme carenza di beni di prima necessità. L’Onu ribadisce, infatti,
la gravità dell’emergenza umanitaria e la necessità di mezzi per far arrivare gli
aiuti alla popolazione stremata dai combattimenti tra le due fazioni.
L'emergenza
umanitaria generata dal conflitto in Costa d'Avorio, con la presenza di migliaia di
profughi e sfollati, vede impegnate nel Paese diverse organizzazioni non governative
internazionali che, insieme alla Chiesa locale, si adoperano per offrire, a quanti
più possibile, rifugio e assistenza. Nei pressi di Man, a 600 km ad ovest della capitale,
sorge una cittadella del Movimento dei Focolari che vuol essere testimonianza stabile
di una vita improntata all'amore evangelico e alla fratellanza. In che modo i suoi
abitanti sono coinvolti in questo momento nella difficile situazione del Paese? Adriana
Masotti lo ha chiesto a Vitoria Franciscatti, responsabile della cittadella,
da 20 anni in Costa d'Avorio.
R.
– Siamo coinvolti in modo abbastanza diretto: attualmente Man è diventata una città
di accoglienza, perché c’è un fronte ad 80 km da qui, sempre ad Ovest, dove la situazione
non è semplice e da dove vengono e son venuti tanti e tanti rifugiati. Vengono, però,
anche da giù, dalla capitale: da Abidjan. E noi siamo coinvolti, insieme a tutte le
altre forze della diocesi, della città, ad accogliere il più possibile questi rifugiati.
Nella Cittadella abbiamo un dispensario, un ambulatorio medico e un centro di lotta
alla malnutrizione. E’ aumentato molto il numero degli ammalati e dei bambini lasciati
abbandonati molto piccoli, a volte con un nonno o una nonna che non sanno come fare.
Quindi, tutto questo lavoro è davvero moltiplicato e va avanti. Siamo anche un punto
di riferimento per gli organismi umanitari, che arrivano per lavorare nella regione
contro la fame: Medici senza frontiere, Croce Rossa e così via. Nella città manca
l’acqua e vengono quindi a prenderla nel nostro pozzo. Spesso manca la corrente e
noi abbiamo un generatore che funziona per qualche ora della giornata e che mettiamo
a disposizione. C’è, dunque, tanta collaborazione con tutti.
D. – Voi siete
lontani dalla capitale, ma ci sono alcuni appartenenti alla comunità dei Focolari
che vivono proprio ad Abidjan e vicino alla residenza stessa di Gbagbo, che in questo
momento, è presa in questi scontri. Qual è la loro esperienza in questi giorni?
R.
– Laggiù abbiamo dei nostri in tutti i quartieri della città, ma più precisamente
nel quartiere accanto alla casa del presidente uscente. Siamo in contatto con loro
più volte al giorno e sono decisi e veramente impegnati a vivere e diffondere la vita
del Vangelo, ad essere costruttori di pace attraverso la vita dell’amore, perché è
l’unica forza capace di disarmare i cuori, che è la cosa più difficile e la cosa più
necessaria.
D. – Nel Paese si sono formati due blocchi contrapposti, una contrapposizione
che c’è anche nelle stesse famiglie. Come vivono questa divisione?
R. – Certo,
è proprio lì il punto: cominciare da casa, in famiglia. Alcuni ragazzi dicono: “Io
non conosco più mio padre, non lo riconosco”, perché la divisione entra, è qualcosa
che penetra profondamente. Prima non era così. Gli ivoriani, però, sono anche molto
sensibili e sono pronti a cambiare e non sono poi così duri. Quindi, bisogna credere
nella loro capacità, essendo un popolo capace di accoglienza, abituato alla convivenza
etnica e tra le religioni. Non ci sono mai stati problemi!
D. – Allora, qual
è il contributo principale che voi sentite di voler dare e vi impegnate a dare alla
società ivoriana?
R. – Proprio quello della fraternità. La “regola d’oro”:
fare agli altri quello che vorreste fosse fatto a voi. È il contributo specifico.
D.
– Che si concretizza nel quotidiano, cercando ognuno di vivere l’amore verso l’altro,
anche se diverso...
R. – Sì, proprio così nell’accogliere l’altro che è diverso
da me, che pensa diversamente da me. Ed io credo che verranno fuori, dovranno venire
fuori, sistemi politici dalle culture, dalle radici culturali africane. E’ però molto
importante la preghiera, in questo momento, perché ora i cuori sono diventati duri
e allora ci vuole proprio una grazia di Dio. (ap)