Costa d'Avorio. Gbagbo non si arrende. Vegliò: scarsa attenzione del mondo sul dramma
di migliaia di sfollati
Le Nazioni Unite hanno denunciato nuovi massacri in Costa d’Avorio. Nelle ultime 24
ore una squadra dell'Onu ha infatti scoperto oltre 100 corpi in tre località della
parte occidentale del Paese. Le violenze sembrerebbero almeno in parte compiute per
motivi ''etnici'', ha spiegato oggi a Ginevra Rupert Colvile, portavoce dell'Alto
commissariato Onu per i diritti umani. E mentre per la Francia l'era Gbagbo è ormai
finita - secondo le parole del portavoce del ministro degli Esteri di Parigi - il
presidente uscente non abbandona il suo bunker di Abidjan, assediato dai fedelissimi
del presidente eletto Alassane Ouattara. Sempre più critica la situazione delle popolazioni
locali, che ha spinto diverse agenzie dell’Onu - tra cui il Programma alimentare mondiale
- a chiedere l'apertura di corridoi umanitari: almeno 300.000 sono gli sfollati interni,
ma migliaia di profughi ivoriani sono presenti anche in Liberia, Guinea e Ghana, secondo
dati forniti ieri dalla Caritas, in prima linea nei soccorsi. La Caritas Costa d’Avorio,
in particolare, ha lanciato un appello per un piano di intervento di circa un milione
di euro per aiuti immediati. Sulla situazione degli ivoriani riparati in Liberia,
Fabio Colagrande ha intervistato mons. Antonio Maria Vegliò, presidente
del Pontificio Consiglio della Pastorale per i Migranti e gli Itineranti:
R. – La Liberia
è un Paese piccolo: già da oggi accoglie più di 120 mila rifugiati. Una straordinaria
solidarietà è stata messa in atto dalla popolazione locale. Essa ospita nelle proprie
abitazioni i nuovi arrivati, condividendo con loro il cibo al punto di non averne
a sufficienza per gli stessi liberiani, e soffrirne le conseguenze. L’Africa ci dà
un po’ l’esempio della capacità di accoglienza, dell’accettazione dell’altro nella
difficoltà, con spirito evangelico. Magari non sono nemmeno cristiani, però si sentono
africani, abituati – forse nella povertà – ad aiutare chi è più povero. Questo flusso
di persone spaventate porta a chiedersi come poter rispondere ad una così vasta domanda,
con le risorse locali. Anche qui, grazie a Dio, la Chiesa è presente. La Caritas assiste
sul posto i rifugiati e la popolazione locale. Da oltre cinque settimane è intervenuta
la comunità internazionale: sono stati allestiti campi per i rifugiati … Suppongo
che la Chiesa locale voglia aiutare un maggior numero di rifugiati; tuttavia mancano
i fondi sufficienti e mancano operatori pastorali, cioè sacerdoti e catechisti. Bisognerebbe
mettere in atto un programma di collaborazione per tutta la Costa d’Avorio per far
sì che possano nuovamente vivere insieme quanti hanno sofferto i recenti, drammatici
eventi e le persone di diverse posizioni politiche.
D. – C’è il rischio
che gli eventi in corso in Nordafrica lascino in secondo piano questa tragedia umanitaria
in Costa d’Avorio?
R. – Certamente! Purtroppo l’uomo non regge più di
tanto di fronte ad una tragedia; appena ne arriva un’altra, dimentica la prima. Bisogna
ammettere che negli ultimi mesi è stata rivolta scarsa attenzione alla Costa d’Avorio.
D’altra parte, vi sono stati eventi drammatici, avvenimenti che hanno assorbito l’interesse
dei media. Ciò ha privato la Costa d’Avorio della dovuta considerazione. (gf)