Libia. L’Italia riconosce i ribelli come unici interlocutori. Gheddafi riprende i
raid
In Libia le forze fedeli a Gheddafi continuano a bombardare Misurata dove è crisi
umanitaria, e oggi hanno attaccato anche il campo di Misla, nell’est del Paese, causando
vittime e feriti. Ma gli insorti libici fanno sapere di aver respinto le forze lealiste
fuori dalla città di Brega, e la Nato comunica che solo nella giornata di ieri sono
stati 58 gli “attacchi” compiuti nel Paese. Caldo il fronte diplomatico. Claudia
Di Lorenzi:
Ma si può
pensare che in Libia dalle armi si possa passare alla mediazione e ai negoziati? Fausta
Speranza ne ha parlato con Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali
e studi strategici all’Università di Firenze
R. – Non credo
che siamo passati al piano diplomatico, anche perché il piano diplomatico e quello
militare si intersecano e sono in sostanza le due facce di una medesima medaglia,
che è la medaglia della guerra e della pace per così dire, ovvero della politica delle
due forme, che la politica sempre assume e che non necessariamente sono antagoniste.
È certo che ci sia un tentativo finalmente per sforzarsi di risolvere questa situazione
che, a mio avviso, non è risolvibile sul piano militare, a meno di clamorose novità:
ad esempio, l’eliminazione fisica di Gheddafi, che poi è quello che almeno alcuni
partner nella coalizione, pur non dicendolo, hanno tentato di fare. Gheddafi gode
dell’appoggio di una parte sostanziosa – l’abbiamo visto - della sua popolazione,
della componente tribale, e quindi evidentemente non può essere eliminato con un semplice
intervento mirato “dall’alto”, quindi con il potere aereo.
D. – Quale può essere
il ruolo di Paesi terzi?
R. – Difficile dirlo. In questo momento, evidentemente,
è benvenuto il ruolo di chiunque riesca a porre fine a questa che, a me francamente,
fin dall’inizio, è sempre apparsa una rischiosissima, affrettata, mal congegnata e
pasticciata avventura. Sarebbe importante il ruolo di organismi come la Lega Araba,
la stessa Unione Europea. Devo dire che l’una mi sembra aver perseguito piuttosto
astutamente i propri interessi e l’altra mi è sembrata drammaticamente assente. L’Organizzazione
delle Nazioni Unite evidentemente è intervenuta con la risoluzione 1973, ma come sempre
in questi casi quella risoluzione si presta ad interpretazioni e si è prestata ad
interpretazioni diverse, estensive, persino improprie. La situazione non mi sembra
semplice. I contatti sono molteplici anche in queste ore. Spero ne possa venir fuori
qualche cosa. Mi pare evidente che, in questo momento, però, il negoziato sia indispensabile
anche perché il proseguimento della guerra sarebbe disastroso, innanzitutto per la
coalizione dei cosiddetti volenterosi, in termini di costi sia umani che economici.
D. – Torniamo a Tripoli e Bengasi. Gli emissari tra Tripoli e Bengasi sono
davvero frutto di un’intenzione di negoziato oppure potrebbero essere anche il modo
per prendere tempo in strategie, arretramenti più o meno tattici da ambo le parti?
R.
– Credo che in questo momento, nel momento in cui Gheddafi di fatto non è destinato
alla sconfitta militare, ma ha anzi delle buone prospettive di successo comunque di
mantenere il controllo perlomeno della Tripolitania - per non parlare poi del problema
del Fezan - in questo caso, penso che il negoziato avrebbe poche prospettive di successo.
Come in ogni negoziato le parti dovrebbero cercare di trovare una linea intermedia,
un punto d’accordo che possa soddisfare entrambe. Se questo punto d’accordo esiste
davvero è da verificare sul campo, perché dall’altro lato Gheddafi potrebbe anche
nutrire la speranza di riacquisire per buona parte del territorio il controllo e quindi
di puntare anche lui sulla carta militare, ma naturalmente quest’uomo ha già dimostrato
nella propria vita, a più riprese, di essere molto attento alle ragioni della forza,
ahinoi, di essere disponibile anche a fare delle concessioni rilevanti, pur di non
perdere il potere e naturalmente pur di salvare la propria vita.
D. – Nei giorni
scorsi abbiamo visto l’inviato Onu a Bengasi. Oggi, il rappresentante delle questioni
estere del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi a Roma ha incontrato il ministro
degli Esteri italiano, Frattini. Ma la comunità internazionale che ha da dire in questo
momento ai ribelli?
R. – Il problema è che qui si tratta di capire chi siano
i ribelli davvero, che cosa vogliano, quali siano le componenti effettivamente rilevanti
dentro quel Consiglio Transitorio. Che cosa questo possa portare davvero in termini
negoziali, in termini di risultati, dipenderà evidentemente dall’esito del confronto
delle forze, del confronto sul campo, del confronto militare e anche però del confronto
diplomatico tra le parti in conflitto. In questo momento, la situazione mi sembra
ambigua e molto confusa, quindi, in una parola, pericolosa. (ap)