2011-04-04 20:13:39

Libia. L’Italia riconosce i ribelli come unici interlocutori. Gheddafi riprende i raid


In Libia le forze fedeli a Gheddafi continuano a bombardare Misurata dove è crisi umanitaria, e oggi hanno attaccato anche il campo di Misla, nell’est del Paese, causando vittime e feriti. Ma gli insorti libici fanno sapere di aver respinto le forze lealiste fuori dalla città di Brega, e la Nato comunica che solo nella giornata di ieri sono stati 58 gli “attacchi” compiuti nel Paese. Caldo il fronte diplomatico. Claudia Di Lorenzi: RealAudioMP3

Ma si può pensare che in Libia dalle armi si possa passare alla mediazione e ai negoziati? Fausta Speranza ne ha parlato con Luciano Bozzo, docente di Relazioni internazionali e studi strategici all’Università di Firenze RealAudioMP3

R. – Non credo che siamo passati al piano diplomatico, anche perché il piano diplomatico e quello militare si intersecano e sono in sostanza le due facce di una medesima medaglia, che è la medaglia della guerra e della pace per così dire, ovvero della politica delle due forme, che la politica sempre assume e che non necessariamente sono antagoniste. È certo che ci sia un tentativo finalmente per sforzarsi di risolvere questa situazione che, a mio avviso, non è risolvibile sul piano militare, a meno di clamorose novità: ad esempio, l’eliminazione fisica di Gheddafi, che poi è quello che almeno alcuni partner nella coalizione, pur non dicendolo, hanno tentato di fare. Gheddafi gode dell’appoggio di una parte sostanziosa – l’abbiamo visto - della sua popolazione, della componente tribale, e quindi evidentemente non può essere eliminato con un semplice intervento mirato “dall’alto”, quindi con il potere aereo.

D. – Quale può essere il ruolo di Paesi terzi?

R. – Difficile dirlo. In questo momento, evidentemente, è benvenuto il ruolo di chiunque riesca a porre fine a questa che, a me francamente, fin dall’inizio, è sempre apparsa una rischiosissima, affrettata, mal congegnata e pasticciata avventura. Sarebbe importante il ruolo di organismi come la Lega Araba, la stessa Unione Europea. Devo dire che l’una mi sembra aver perseguito piuttosto astutamente i propri interessi e l’altra mi è sembrata drammaticamente assente. L’Organizzazione delle Nazioni Unite evidentemente è intervenuta con la risoluzione 1973, ma come sempre in questi casi quella risoluzione si presta ad interpretazioni e si è prestata ad interpretazioni diverse, estensive, persino improprie. La situazione non mi sembra semplice. I contatti sono molteplici anche in queste ore. Spero ne possa venir fuori qualche cosa. Mi pare evidente che, in questo momento, però, il negoziato sia indispensabile anche perché il proseguimento della guerra sarebbe disastroso, innanzitutto per la coalizione dei cosiddetti volenterosi, in termini di costi sia umani che economici.

D. – Torniamo a Tripoli e Bengasi. Gli emissari tra Tripoli e Bengasi sono davvero frutto di un’intenzione di negoziato oppure potrebbero essere anche il modo per prendere tempo in strategie, arretramenti più o meno tattici da ambo le parti?

R. – Credo che in questo momento, nel momento in cui Gheddafi di fatto non è destinato alla sconfitta militare, ma ha anzi delle buone prospettive di successo comunque di mantenere il controllo perlomeno della Tripolitania - per non parlare poi del problema del Fezan - in questo caso, penso che il negoziato avrebbe poche prospettive di successo. Come in ogni negoziato le parti dovrebbero cercare di trovare una linea intermedia, un punto d’accordo che possa soddisfare entrambe. Se questo punto d’accordo esiste davvero è da verificare sul campo, perché dall’altro lato Gheddafi potrebbe anche nutrire la speranza di riacquisire per buona parte del territorio il controllo e quindi di puntare anche lui sulla carta militare, ma naturalmente quest’uomo ha già dimostrato nella propria vita, a più riprese, di essere molto attento alle ragioni della forza, ahinoi, di essere disponibile anche a fare delle concessioni rilevanti, pur di non perdere il potere e naturalmente pur di salvare la propria vita.

D. – Nei giorni scorsi abbiamo visto l’inviato Onu a Bengasi. Oggi, il rappresentante delle questioni estere del Consiglio Nazionale Transitorio di Bengasi a Roma ha incontrato il ministro degli Esteri italiano, Frattini. Ma la comunità internazionale che ha da dire in questo momento ai ribelli?

R. – Il problema è che qui si tratta di capire chi siano i ribelli davvero, che cosa vogliano, quali siano le componenti effettivamente rilevanti dentro quel Consiglio Transitorio. Che cosa questo possa portare davvero in termini negoziali, in termini di risultati, dipenderà evidentemente dall’esito del confronto delle forze, del confronto sul campo, del confronto militare e anche però del confronto diplomatico tra le parti in conflitto. In questo momento, la situazione mi sembra ambigua e molto confusa, quindi, in una parola, pericolosa. (ap)







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