Vita politica italiana. Il prof. Baggio: serve un risveglio collettivo
Proseguono in Italia le polemiche dopo la bagarre avvenuta alla Camera nei giorni
scorsi. Generale il plauso per l’intervento del presidente Napolitano che ha lanciato
un forte appello a moderare i toni. Ma cosa sta succedendo alla politica italiana?
Luca Collodi lo ha chiesto al prof. Antonio Maria Baggio, docente di etica
politica all’Istituto Sophia di Loppiano, fondato dal Movimento dei Focolari:
R. – Vediamo
che in questo momento sembra che in Italia la politica anziché risolvere i problemi,
sia diventata un problema in se stessa. Di per sé, la politica è il luogo dove i conflitti
vengono risolti. Ha i mezzi per farlo e in teoria non dovrebbe mai bloccarsi perché
dispone di regole e di procedure che consentono sempre di arrivare ad una decisione,
ad un risultato. Invece si blocca, e noi dobbiamo chiederci perché. Forse una prima
risposta può essere questa: che certamente i nostri parlamentari sono dotati di libertà,
di uguaglianza, cose che vengono conferite loro dallo status. Quello che manca, se
vogliamo appellarci ai valori fondamentali della politica moderna espressi dal trittico
francese, è proprio la fraternità, cioè la capacità di riconoscere che essi appartengono
ad una comunità nazionale e ad una comunità politica dove c’è una ragione per stare
uniti, più forte di quella che divide. Questa ragione unitaria era molto chiara quando
la Repubblica è stata fondata, quando la fraternità ha permesso ai combattenti di
conquistarsi la libertà. Il presidente Napolitano, quando sottolinea questa componente
di unità originaria, non fa soltanto una commemorazione, ma rilancia una visione,
riporta ad un’idea di Italia che, francamente, guardando la Camera in questi giorni
sembra che i nostri politici abbiano perduto!
D. – La sensazione è che
nella politica italiana manchi un progetto culturale, un progetto politico e questo
lascia spazio allo scontro, alla mancanza di idee …
R. – Sì, è vero.
I conflitti diventano in genere ingestibili o molto difficoltosi anche perché i progetti
polititi – che dovrebbero stare sotto a questi conflitti – sono molto deboli. Ora,
noi vediamo che la concorrenza – che può diventare anche conflittuale tra i partiti,
i gruppi parlamentari e le idee – è giusta, è ciò che ci consente la libertà di scegliere
tra le diverse proposte. Solo che la concorrenza che attualmente si sta realizzando
non è più una concorrenza tra avversari che danno una possibilità di scelta ai cittadini
e si confrontano per arrivare ad un risultato unitario: la diversità in democrazia
serve a questo, cioè a ricomporre sempre l’unità politica della Nazione. Noi vediamo
che lo scontro politico è diventato assoluto. E questo è profondamente sbagliato,
perché la logica del conflitto politico è, per certi aspetti, quella di un gioco a
somma sempre positiva, cioè dove è vero che c’è uno che vince e uno che perde, ma
anche quello che perde, la minoranza, ha un ruolo: l’opposizione esercita dei controlli,
è indispensabile quanto il governo. Se ci si odia, se si perde il senso del progetto
politico, e si è vittima soltanto delle proprie anguste ideologie, diventa difficilissimo
vivere in maniera costruttiva i ruoli diversi che sono assegnati alla maggioranza
e all’opposizione. E probabilmente, in questo momento è questa perdita di coscienza
che affligge pesantemente il ceto politico.
D. – L’attuale legge elettorale
può essere alla base di questo scontro politico ?
R. – Certamente la
legge attuale ha operato un impoverimento dei diritti politici dei cittadini: cioè,
si sceglie molto di meno. La conseguenza è anche che la selezione dei rappresentanti
politici risulta distorta: non risponde più ai criteri di selezione democratica e
di rendere effettiva la partecipazione dei cittadini. Ora, l’impoverimento di questo
ceto politico si fa sentire, perché quando la maggioranza diventa risicata e diventa
parimenti evidente che ci sono pressioni – non voglio usare termini brutali come compravendita,
ma certamente passaggi di posizione politica che vengono pubblicamente premiati, come
abbiamo visto ultimamente – ecco, questo ci dice la misura del ceto politico. Quindi,
la legge elettorale ha introdotto un fattore corruttivo, sia nella cittadinanza, che
è spinta a disinteressarsi e scende in piazza soltanto per arrabbiarsi e invece non
propone più o propone di meno, sia nel ceto politico che, sempre più distaccato dalla
vita sociale ... Giocano le loro battaglie tra di loro e, appunto per questo, diventano
un problema anziché essere la soluzione per i problemi sociali del Paese.
D.
– Risuonano le parole del Papa e della Chiesa italiana che auspicano una nuova generazione
di politici cattolici. Come concretizzare questo invito nella società italiana di
oggi?
R. – Intanto, c’è da sottolineare che più volte il Papa ha chiesto
una nuova generazione. Questo è importante perché non ci si affida più alla bravura
di un singolo politico, particolarmente dotato e capace anche di essere fedele ai
principi del cristianesimo. Si parla di una generazione. E questo può essere soltanto
il lavoro congiunto di Chiesa e di società. Se noi guardiamo quali generazioni importanti
abbiamo avuto in politica, che cioè si sono fatte classi dirigenti politiche provenienti
dal cattolicesimo, troviamo esempi importanti. Dai tempi di Sturzo: quella è stata
una generazione che ha affrontato l’impegno sociale, le difficoltà connesse con l’unità
d’Italia … Ne abbiamo avuti anche dopo la Seconda Guerra Mondiale: De Gasperi, Giordani,
la generazione dei Moro, dei Bachelet, dei Ruffilli, gente che ha saputo dare molto.
C’è da chiedersi: ma è possibile che per formare una nuova generazione si debba per
forza passare da una prova storica, una guerra, una dittatura? Io direi di no! Però,
certamente serve un grande sforzo per riconoscere qual è la prova di questi tempi.
Viviamo una crisi gravissima nel nostro Paese: crisi economica, crisi morale, crisi
culturale. Bisogna aprire gli occhi, rendersi conto che è questa la prova per l’attuale
generazione e la prova nella quale una nuova generazione può formarsi. Non dimentichiamo
che Giovanni Paolo II nella “Centesimus Annus” accennava al diffondersi di una nuova
ideologia che consiste nel non vedere più i problemi, cioè nel non avere gli occhi
aperti per riconoscere i bisogni e le cause dei problemi. Ora, gli occhi chiusi sono
l’assenza di morale, l’assenza di etica. Allora ci vuole un grande sforzo sociale,
serve operare un risveglio collettivo per potenziare le iniziative sociali esistenti.
Deve essere un soggetto sociale, e non solo un soggetto ecclesiale, ad impegnarsi
in questo. Per cui, tutti i laici che sono impegnati, forse, accanto agli obiettivi
specifici dei loro movimenti, dovrebbero metterne uno prioritario che è quello di
cercare di salvare la società.