Libia. Raid alleato colpisce gli insorti. Mons. Martinelli: possibile un passo indietro
di Gheddafi solo con il dialogo
In Libia gli insorti annunciano di aver riconquistato il terminal petrolifero di Brega,
si combatte ancora ad Agdabyia e Misurata. Intanto è giallo sul primo caso di “fuoco
amico” dall'inizio dell'intervento della coalizione internazionale contro il regime
di Gheddafi. Gli insorti parlano di 15 vittime tra civili e ribelli. La replica della
Nato: "I nostri hanno diritto a difendersi". Il servizio di Cecilia Seppia
E
sulla situazione nella capitale libica e nel Paese si è soffermato al microfono di
Amedeo Lomonaco, il vicario apostolico di Tripoli mons. Giovanni Innocenzo Martinelli:
R. – Oggi
la situazione è abbastanza calma, questa notte non abbiamo sentito le bombe. Ieri
ci sono state vittime civili a Sirte, con un bilancio di otto morti tra cui donne
e bambini. C’è una stanchezza nella popolazione, che deve fare la fila per prendere
la benzina, il pane. Tante famiglie sono scappate proprio a causa della guerra. In
questi giorni ci sono stati almeno una cinquantina di aborti. Tante donne, purtroppo,
hanno perso il loro bimbo perché, inevitabilmente, il trauma che provoca la bomba
può portare anche alla morte del feto nel grembo della mamma. E’ quindi una situazione
del tutto impressionante, però il segno concreto di una riconciliazione sembra timidamente
affacciarsi. La tregua sarebbe la cosa più logica per capire e per riflettere.
D.
– Quali possono essere gli interlocutori più adeguati in questa fase così difficile?
R.
– Le Nazioni Unite potrebbero avere una parte importante, ma credo ancora che l’Unione
Africana potrebbe giocare un ruolo decisivo. Più che l’Europa, l’Unione Africana ha
un certo ascendente e la Libia ha dei legami profondi con diversi leader dell’Africa.
D.
– Quali speranze può avere oggi la Libia per arrivare ad una vera riconciliazione?
R.
– Nessuno vuole la divisione della Libia, né da una parte né dall’altra. Occorre però
che veramente una parte e l’altra possano ascoltarsi.
D. – E’ possibile
che, ad un certo punto, Gheddafi decida di fare un passo indietro, proprio per il
bene della Libia?
R. – Tutto è possibile. Io non sono d’accordo con
l’uso della forza e della violenza, perché allora diventa veramente impossibile fare
quel passo. L’importante è che ci sia questa forma di incontro amichevole che possa,
in qualche modo, far capire la necessità, l’urgenza di fare un passo anche di questo
tipo.
D. – Anche perché, a quel punto, al primo posto ci sarebbe il
bene della Libia e dei libici...
R. – E’ chiaro, perché poi tutto deve
essere discusso. Ad esempio si dovrà vedere come impostare il governo. Non si può
lasciare un Paese senza una governabilità, si deve avere almeno qualcuno che possa
portare avanti questa situazione. Deve esserci, forse, un periodo di transizione.
D.
– In questo scenario ipotetico di eventuale transizione ci sarebbero, già oggi, delle
forze pronte per prendere questo potere?
R. – Questo è difficile dirlo.
Per cui, è veramente urgente ed importante discutere e affidarsi al dialogo. In questo
momento credo soprattutto nella forza della preghiera. La preghiera e questa forte
solidarietà con un popolo che crede. I libici e i musulmani pregano, sono uomini di
buona volontà che non fanno della preghiera uno strumento di violenza. C’è tanta gente
che prega e lo fa sinceramente. (vv)