Sugli schermi in Italia "La fine è il mio inizio" di Jo Baier
Tratto dall’ultimo “diario spirituale” di Tiziano Terzani, “La fine è il mio inizio”,
arriva oggi sugli schermi italiani l’omonimo film diretto dal regista tedesco Jo Baier
con il bravissimo attore tedesco Bruno Ganz nel ruolo del famoso giornalista: un lungo
e denso duetto tra un padre che attende serenamente la morte e il figlio che lo ascolta
con affetto e riconoscenza. Il servizio di Luca Pellegrini.
La morte
come un'amica intima e discreta, arriva a passi felpati, non indolori. Bruno
Ganz, che l’attende, folta barba bianca cresciuta in tre mesi, recita con
misura e passione il ruolo del giornalista italiano testimone di tanti avvenimenti
accaduti nella seconda metà del secolo scorso, affascinato dalle spiritualità orientali
e autore di libri dal successo incondizionato. Dall’ultimo, scritto poco prima di
morire, Jo Baier ricava un film che si profila come un lungo e articolato duetto sul
senso della fine. Il grande attore tedesco, lo ricordiamo, ha impersonato sullo schermo
due personaggi agli antipodi che attendono la loro morte: l'uno vive le sue ultime
ore nel buio di un bunker attorniato dall'odio e dalla paura - Adolf Hitler ne La
caduta - l'altro, invece, è avvolto dalla luce del sole e dall'amore dei familiari
- Tiziano Terzani: che cosa ha significato per lei questa duplice interpretazione?
R.
– Non mi piace dire due persone, perché uno è un mondo molto perverso, molto strano,
dove tutto va verso la morte in maniera spiacevole. La storia di Terzani, invece,
è molto più chiara, più aperta, più luminosa, più umana. Lui è stato un testimone
della seconda metà del secolo scorso, che ha cambiato il suo modo di guardare il mondo
quando ha capito di essere molto malato e ha smesso con tutte queste attività rivolte
all’esteriorità, concentrandosi in quello che c’è dentro e cercando di capire cosa
voglia dire la morte. Hitler non ha mai cercato di capire cosa sia la morte.
D.
- Terzani ha lasciato in lei un'impronta, un ricordo?
R. – Una cosa
che mi è piaciuta moltissimo è che lui sia stato molto curioso, molto comunicativo
e questo piacere di viaggiare e di capire altra gente: ha avuto un grande cuore ed
è stato molto aperto a quello che non conosceva. Era anche molto buffo. Queste sono
le cose che mi sono rimaste: un qualcosa di sereno, di piacevole. Come attore, artista,
poeta ho amato molto quello che dice dopo essere stato sull’Himalaya, dove, secondo
me, ha imparato come si fa a morire, come si fa con il fatto che fra qualche mese
è tutto finito.
Mentre il corpo dolorante rimpicciolisce e la voce si
fa lieve, Tiziano dice ai suoi: "fai parte di questa bellezza che è la vita e abbracci
l'umanità". Ad ascoltarlo la moglie Angela, interpretata da Erika Pluhar, e il figlio
Folco, che è il bravissimo Elio Germano. Lei, attore ancor giovane,
ha mai discusso di questi temi delicati con i suoi genitori?
R . – Non
è facile fare un discorso del genere. Quindi, in quel caso si tratta di una persona
che ha fatto un percorso di tutta una vita per arrivare a parlare con serenità della
morte. Purtroppo, ci troviamo in un’epoca storica, in cui siamo tutti schiacciati
da questa questione e in un momento in cui, per la prima volta, l’essere umano non
fa delle pratiche per confrontarsi con la morte. Siamo la prima generazione di esseri
umani che abbiano completamente rimosso il problema, come se non facesse più parte,
se non nascesse con noi. Ci sentiamo superiori al mondo, alle cose e quindi non sentiamo
più il peso di qualcosa di più grande.
Folco Terzani ha
vissuto questa profonda esperienza al fianco del padre morente. Che cosa soprattutto
la colpiva di lui?
R. – Più di tutto colpiva questa stranissima cosa
che diceva: “Sai, ho avuto questa occasione di fare tutto nella mia vita; ho visto
tutto quello che volevo e allora non c’è più niente che mi interessi, questo mondo
lo conosco: l’unica cosa che non conosco è la morte e allora ora voglio andare a vedere
quella”. E dici: “Allora vai!” Ti dà molto coraggio questo modo di fare. Qui c’era
una cosa diversa, che era la bellezza del vecchio, perché il vecchio può essere una
cosa stupenda: è la completezza. Qui era come se una persona fosse fiorita: era un
fiore che sbocciava sempre di più, man mano che si avvicinava la morte. Quindi, la
sua più grande pienezza è stata giusto prima di morire.
D. - Nel film
sentiamo arrivare "sora nostra morte corporale": un film dalla dimensione francescana?
R. – Quando mi dici francescana, mi dici la cosa più bella del mondo.
Cos’è questa spiritualità? Cos’è lo spirito? Io non avevo mai capito. Prima ho fatto
l’università, ho studiato e queste cose non esistevano nella mia vita. L’ho capito
per la prima volta, lavorando a Calcutta, con Madre Teresa, con i morenti, perché
c’è qualcosa che avviene nel momento della morte, nel momento stesso: prima c’è una
persona, il momento dopo c’è il corpo, ma cosa non c’è più? Ti viene spontaneo, non
che qualcuno te lo debba spiegare, ma cosa non c’è più? Lo spirito. E’ una cosa, però,
che non viene molto enfatizzata nella nostra società, perché ruota attorno a questo
momento della morte, che noi vediamo come una cosa terribile, proprio perché non la
conosciamo più.(ap)