I problemi irrisolti del Sudan: ancora tensioni, dopo il referendum che ha sancito
l’indipendenza del Sud del Paese
Dopo il referendum, che ha sancito la separazione del Sud Sudan dal resto del Paese,
non accennano a diminuire le tensioni. Nei giorni scorsi violenti combattimenti tra
l'esercito del Sud e gruppi di ribelli, nelle regioni petrolifere, hanno causato decine
di vittime. A questa situazione si aggiungono i problemi mai risolti con Khartoum
proprio sul controllo dei giacimenti di petrolio. Per il Paese, in guerra dalla fine
del colonialismo, negli anni ’50, rimane ancora in piedi anche la questione del Darfur,
altra regione martoriata dai conflitti. Giancarlo La Vella ne ha parlato con
Anna Bono, docente di Storia e Istituzioni dell’Africa all’Università degli
Studi di Torino:
R. – Il referendum
ha confermato la volontà della popolazione del Sud di diventare autonoma, ma non ha
risolto una serie di problemi molto gravi, molto delicati che reclamano una soluzione
e che stanno provocando delle tensioni, soprattutto nelle zone di confine tra Nord
e Sud. Il primo problema è come il Sud Sudan e il Sudan si spartiranno i proventi
del petrolio, che sono il grande oggetto del contendere. Il Sud ha gran parte dei
giacimenti, ma non ha modo di commercializzarli; in più ci sono problemi tribali secolari
che complicano ulteriormente il quadro e che proprio in questi mesi hanno reso alcune
regioni di confine particolarmente insicure e, come sempre succede in Africa, le componenti
politiche in conflitto non perdono l’occasione di approfittare di queste tensioni
per ottenere dei risultati.
D. – Perché, nonostante un referendum svoltosi
con l’accordo di tutte le parti si continua a confrontarsi con le armi e non attraverso
il dialogo politico?
R. – In generale, in Africa, c’è una difficoltà
storica da parte dei contendenti a trovare delle soluzioni politiche e il ricorso
alle armi è una costante del continente a partire dall’indipendenza.
D.
– E qual è la situazione in Darfur?
R. – Ormai è un conflitto a bassissima
intensità; è, però, anche questa una situazione in stallo, che per il momento non
sembra possa trovare una soluzione; un conflitto, che in questo momento è uno dei
peggiori dell’Africa, perché si parla di milioni di persone sfollate o fuori dal Paese
e di alcune centinaia di migliaia di morti.
D. – Quali gli interessi
in gioco in questo caso?
R. – Qui, da un lato, nuovamente, c’è una situazione
secolare di conflitto tra etnie che hanno esigenze di uso diverso del territorio.
In più a squilibrare la situazione e a suscitare il conflitto, nel 2003, si è messo
il governo, che ha deciso di sostenere le popolazioni di origine araba contro quelle
di origine africana, nell’ambito di quello stesso processo di arabizzazione del Paese,
che è stato all’origine della guerra civile in Sud Sudan, conclusa con gli accordi
globali di pace del 2005.
D. – Qualsiasi situazione di conflitto in
Africa porta con sé un’emergenza umanitaria grave...
R. – Il Darfur
è una situazione gravissima: ci sono milioni di persone che non vivono più a casa
loro messi in fuga dalla paura di essere vittime di violenza e che vivono nei campi
profughi allestiti dalle Nazioni Unite. E’ una situazione relativamente stabile, perché
comunque la popolazione vive in questa situazione non certo invidiabile, ma relativamente
sicura. Il problema grave in Sudan, come in altri Paesi, si ha quando non è possibile
allestire un’assistenza efficiente e, quindi, chi fugge, fugge allo sbando, fugge
praticamente con quello che riesce a portare con sé in mano, e quindi si trova senza
neanche un tetto, sprovvisto di tutto e bisognoso di tutto. E’ quello che succede
anche in Somalia da più di 20 anni. (ap)