Razzi su Israele. Netanyahu: reagiremo con determinazione
Israele reagirà con determinazione contro i ripetuti lanci di razzi da parte dei palestinesi
di Gaza. Lo ha affermato il premier israeliano Netanyahu, che ieri ha avuto una conversazione
telefonica con il presidente statunitense Obama in seguito all’attentato di ieri a
Gerusalemme costato la vita ad una persona. Il capo della Casa Bianca ha riaffermato
l'impegno degli Stati Uniti per la sicurezza di Israele, ma l’episodio ha fatto ripiombare
il Paese ebraico nell’incubo del terrorismo. Per un’analisi della situazione, Giancarlo
La Vella ha intervistato Giorgio Bernardelli, esperto di Medio Oriente:
R. – E’ un
episodio molto inquietante, ma va letto anche alla luce di tanti altri piccoli tasselli
che in questi giorni fanno pensare ad una recrudescenza molto problematica del conflitto.
Alludo, intanto, alla strage di Itamar, l’insediamento in Cisgiordania dove un’intera
famiglia è stata sgozzata appena una decina di giorni fa, ma anche alla tensione che
sta crescendo in maniera pericolosa intorno a Gaza: ci sono scontri armati molto forti
già da sabato, e anche questi sono costati la vita ad una famiglia palestinese. Sono
tutti segnali che fanno pensare come quello stallo politico – da tanto tempo lo stesso
quartetto ha detto ufficialmente, pochi giorni fa, che non c’è nessuna prospettiva
di riaprire un processo di pace – purtroppo si sta trasformando in violenza.
D.
– La mancanza di unità tra i palestinesi può provocare, come conseguenza, il ricorso
al terrorismo?
R. – Va detto che, all’interno del campo palestinese,
c’è una situazione in grande movimento, perché ci sono molte forze diverse che si
fronteggiano, e c’è un fatto nuovo: il 15 marzo, la settimana scorsa, c’è stata la
manifestazione convocata da un movimento dei giovani che segue un po’ l’onda di quanto
accaduto in Tunisia e in Egitto, un movimento che ha portato in piazza, a Gaza, alcune
decine di migliaia di persone all’insegna dello slogan sì, dell’unità dei palestinesi,
ma anche di un forte spirito di contestazione nei confronti tanto della leadership
di Fatah quanto di quella di Hamas. E’ un’alternativa che va costruendosi dal basso,
partendo da quel senso di sfiducia nei confronti di entrambe le leadership: da una
parte quella di Abu Mazen, giudicata troppo filo-occidentale e inconcludente dal punto
di vista del negoziato, ma è anche una contestazione nei confronti di Hamas perché
c’è sempre più la percezione di essere finiti in un vicolo cieco che non sta portando
da nessuna parte. Credo che ci sia anche una spinta molto forte dal basso e non va
sottovalutata. C’è anche molta stanchezza da parte dei palestinesi, perché sono continuamente
utilizzati da forze che dall’esterno sfruttano il conflitto per i propri fini. La
contestazione che i giovani hanno portato in piazza sia a Gaza sia a Ramallah ha anche
questa carica: l’idea di riprendere nelle proprie mani il proprio destino, nella linea
di una opposizione forte all’occupazione israeliana ma con mezzi non violenti. Questo
è il fatto nuovo che stava provando ad emergere in Palestina; il timore è che queste
azioni violente abbiano tra i loro fini quello di spazzare via questa alternativa.
(gf)