2011-03-22 15:51:41

Lampedusa al collasso, i profughi superano gli abitanti. Il parroco: noi aiutiamo ma ci serve aiuto


Le Regioni italiane hanno detto sì al piano di emergenza che prevede di dare accoglienza fino ad un massimo di 50mila profughi. Lo comunica il ministro dell’interno Maroni al termine della riunione operativa con i rappresentanti di Regioni, Province e Comuni svoltasi stamani al Viminale. Maroni, che domani sarà in Tunisia, ha ricordato che dall'inizio del 2011 ad oggi sono sbarcati sulle nostre coste 14.918 immigrati, tutti tunisini.

Intanto, sono oltre 5mila e 400 i migranti presenti in questo momento a Lampedusa dove il centro d’accoglienza è al collasso, mentre altri barconi sono stati avvistati a largo dell’isola. La popolazione si dice vicina agli extracomunitari ma teme per la principale risorsa dell’isola, il turismo. In giornata, è previsto l’arrivo della nave militare San Marco che dovrebbe evacuarne un migliaio, mentre l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lancia l’allarme sulla situazione. Sono molte e diverse le storie degli immigrati sbarcati. Storie di dolore, ma anche di speranze. Le ha raccolte per noi l’inviato a Lampedusa, Massimiliano Menichetti:RealAudioMP3

Il blu del mare, riflesso sul giallo delle rocce o custode della luna amaranto che solo qui si può vedere. E’ l’istantanea che ha accolto la speranza e le fatiche di oltre 5400 immigrati per lo più tunisini sbarcati in questi giorni. Lampedusa oggi ha il volto magrebino che si mescola a quello italiano. Le cronache raccontano del centro di prima accoglienza al collasso e di una popolazione esausta che si butta in acqua per non far attraccare altri natanti. Ma è solo la lettura, in parte fuorviata, di un volto. L’altro è quello di centinaia di persone che portano da mangiare nelle piazze, vestiti nei centri di raccolta e di alcuni pescatori che hanno condiviso il pescato a fine giornata. Si contesta, in realtà, la lentezza dello Stato nel dare dignità a queste persone che sono state in mare anche giorni senza acqua o cibo che ora dormono in terra, avendo come cielo le stelle e come compagna l’umidità che entra nelle ossa. Per lo più, questi immigrati, hanno dai 16 ai 22 anni.

D. – How old are you?

R. – I’m 16.

D. – And you?

R. - 16. My name is Kinani.

D. – Where are you going? To Italy or another destination?

R. – Another destination.

D. – Where?

R.- France. Lampedusa is like Tunisia. Palermo or Sicily is a good situation…

Il centro di prima accoglienza può ospitare in emergenza 1200 persone, le condizioni igienico sanitarie sono inaccettabili e mentre il ministro dell’Interno, Roberto Maroni, parla di “pericolo terrorismo” facendo aumentare l’ansia nella popolazione, qui a Lampedusa L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ribadisce che la priorità è spostare i migranti il prima possibile per evitare che la situazione degeneri. I lampedusani si dicono vicini agli extracomunitari, ma abbandonati dallo Stato, preoccupati per un turismo in picchiata perché spaventato dagli sbarchi:

R. – Noi lampedusani abbiamo sempre dimostrato di essere pronti all’accoglienza: lo stiamo dimostrando da 12, 13, 14 anni. Adesso, però, non si può più vivere. Lei stesso, che ora è qui a Lampedusa, ha visto cosa c’è nel centro abitato. Tenga presente che quegli emigrati sono tutti ragazzi che vanno da 16 a 21, 22 anni sono tutti giovanissimi – e vederli dormire francamente sotto un autotreno, sotto le stelle, sotto la pioggia, fa veramente pena. Quindi, il governo deve provvedere.

R. – Siamo stati un popolo accogliente e continuiamo ad essere accoglienti, ma in una situazione del genere non sappiamo come ci dobbiamo comportare. Non c’è paura, perché solo Dio ci aiuta. Ma arrivati a questo punto siamo immobilizzati. E non siamo un popolo di razzisti, perché quello che sta facendo Lampedusa non l’ha fatto nessuno nel mondo.

Gli abitanti di Lampedusa dicono “no” alle tendopoli per sollecitare interventi diversi, ma questa notte come ieri decine di uomini si sono accampati, con teli di fortuna, proprio nei pressi del molo da dove sono sbarcati. Altri hanno vagato tutta la notte, c’è chi ha telefonato a casa e chi frugava nei cassonetti. Spesso non parlano al microfono per paura, in molti dicono che non vogliono rimanere in Italia perché Francia, Germania e Belgio sono le mete più ambite. In tutti la speranza di un futuro migliore, per se stessi e le proprie famiglie, rimaste a casa con il cuore sospeso. (ap)

A lottare in prima linea nell’emergenza è don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa. Massiamo Menichetti lo ha intervistato:RealAudioMP3

R. – È una situazione che è entrata in "tilt", perché con tutta la buona volontà delle diverse parti in causa, a cominciare dalle associazioni umanitarie non governative che sono presenti sull’isola all’interno del Centro fino alla gente comune che ha cercato di fare qualsiasi cosa per aiutare e per andare incontro a questi fratelli immigrati, si capisce bene che siamo entrati in "tilt". Si è rovinato un po’ il sistema, la struttura che funzionava fino a qualche giorno fa a livello di accoglienza.

D. – Di fatto, in questo momento manca un coordinamento?

R. - Sì, perché credo che le forze andassero bene per un certo numero di immigrati. Serve altro aiuto e serve, fondamentalmente, decongestionare il numero degli immigrati.

D. – Quindi, come ribadiscono molti abitanti, è necessario portarli via dall’isola…

R. – Sì, noi possiamo supportare questo transito fino a un certo numero. Se arriviamo a un numero di mille, il Paese riesce ad accogliere queste persone umanamente e cristianamente. Ma andando al di là di questo numero, il sistema iniziale entra in difficoltà: è inumano, è inammissibile che 5000 persone siano "parcheggiate" sull’’isola, perché la realtà è questa.

D. – Come sta reagendo la popolazione dell’isola?

R. – Allo stato attuale, sta reagendo con un po’ di stanchezza perché la pazienza c’è stata, c’è ed è tanta, al di là di qualche voce critica o di qualche protesta, che per certi versi è anche legittima. Bisogna capire anche la tensione alla quale è sottoposta questa popolazione. E’ da più di un mese che siamo sottoposti notte e giorno a una tensione del genere. La macchina del trasferimento è stata e continua a essere molto lenta. Credo che se c’è una critica da fare sia nei confronti di chi sta gestendo questa emergenza. Siamo arrivati al punto di essere quasi alla carenza alimentare e allora penso che vada fatta una riflessione in questo senso. La comunità continua ad avere pazienza, perché vede anche la fragilità nella quale vivono questi fratelli. C’è stato un segnale positivo ieri nel Consiglio dei ministri: ringraziamo il ministro degli Interni e il ministro della Giustizia per le parole che hanno avuto nei confronti di Lampedusa. Però è importante che, da questo momento, si passi dalle parole ai fatti. La macchina è troppo ingolfata e deve ripartire subito, perché rischia di alzare la tensione all’interno del Paese.

D. – Don Stefano, lei dice: guardando a come stanno andando le cose bisognerebbe migliorare. Non è una critica politica, è una critica di strategia…

R. – Sì, è una critica di strategia. Il nostro compito è quello di supportare, di agire, di condividere. Ed è quello che abbiamo sempre fatto fin dalla prima notte dell’emergenza quando il centro era chiuso e abbiamo messo a disposizione i saloni parrocchiali.

D. – Questo, venti giorni fa …

R. – Più di venti giorni fa. Allo stato attuale esiste ancora un gruppo di immigrati all’interno del nostro salone parrocchiale, sono più di 200 che attendono di ripartire per un altro luogo. Credo che il segreto, la formula che abbiamo suggerito a chi deve guidare l’emergenza, sia quella della condivisione: condivisione dei pesi, che le regioni condividano il peso con noi. E’ un principio che è pienamente umano, totalmente umano, e totalmente cristiano. Penso alle parole della Gaudium et spes, parole che qui si incarnano benissimo: non c’è niente di cristiano che non sia pienamente umano o viceversa.

D. – Don Stefano, come parrocchia siete stati i primi ad intervenire e tuttora siete in prima linea. Che cosa state facendo come Chiesa?

R. – Intanto, abbiamo dato la struttura per riparari gli immigrati. È chiaro che non risolve tutto, ma è un modo per dire ci siamo anche noi. Siamo qui a fare, a cooperare, a collaborare. Abbiamo detto alle associazioni umanitarie che siamo ben disposti su qualsiasi versante, dagli alimenti agli indumenti. La Caritas parrocchiale, di concerto con quella diocesana, si sta attivando in queste ore per la distribuzione anche di vestiario all’interno della parrocchia o in altri luoghi. Facciamo questo da giorni, non c’è niente di nuovo in questa direzione. (bf)







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