Lampedusa al collasso, i profughi superano gli abitanti. Il parroco: noi aiutiamo
ma ci serve aiuto
Le Regioni italiane hanno detto sì al piano di emergenza che prevede di dare accoglienza
fino ad un massimo di 50mila profughi. Lo comunica il ministro dell’interno Maroni
al termine della riunione operativa con i rappresentanti di Regioni, Province e Comuni
svoltasi stamani al Viminale. Maroni, che domani sarà in Tunisia, ha ricordato che
dall'inizio del 2011 ad oggi sono sbarcati sulle nostre coste 14.918 immigrati, tutti
tunisini.
Intanto, sono oltre 5mila e 400 i migranti presenti in questo momento
a Lampedusa dove il centro d’accoglienza è al collasso, mentre altri barconi sono
stati avvistati a largo dell’isola. La popolazione si dice vicina agli extracomunitari
ma teme per la principale risorsa dell’isola, il turismo. In giornata, è previsto
l’arrivo della nave militare San Marco che dovrebbe evacuarne un migliaio, mentre
l’Alto Commissariato delle Nazioni Unite per i Rifugiati lancia l’allarme sulla situazione.
Sono molte e diverse le storie degli immigrati sbarcati. Storie di dolore, ma anche
di speranze. Le ha raccolte per noi l’inviato a Lampedusa, Massimiliano Menichetti:
Il blu del
mare, riflesso sul giallo delle rocce o custode della luna amaranto che solo qui si
può vedere. E’ l’istantanea che ha accolto la speranza e le fatiche di oltre 5400
immigrati per lo più tunisini sbarcati in questi giorni. Lampedusa oggi ha il volto
magrebino che si mescola a quello italiano. Le cronache raccontano del centro di prima
accoglienza al collasso e di una popolazione esausta che si butta in acqua per non
far attraccare altri natanti. Ma è solo la lettura, in parte fuorviata, di un volto.
L’altro è quello di centinaia di persone che portano da mangiare nelle piazze, vestiti
nei centri di raccolta e di alcuni pescatori che hanno condiviso il pescato a fine
giornata. Si contesta, in realtà, la lentezza dello Stato nel dare dignità a queste
persone che sono state in mare anche giorni senza acqua o cibo che ora dormono in
terra, avendo come cielo le stelle e come compagna l’umidità che entra nelle ossa.
Per lo più, questi immigrati, hanno dai 16 ai 22 anni.
D. – How old
are you?
R. – I’m 16.
D. – And you?
R. -
16. My name is Kinani.
D. – Where are you going? To Italy or another
destination?
R. – Another destination.
D. – Where?
R.-
France. Lampedusa is like Tunisia. Palermo or Sicily is a good situation…
Il
centro di prima accoglienza può ospitare in emergenza 1200 persone, le condizioni
igienico sanitarie sono inaccettabili e mentre il ministro dell’Interno, Roberto Maroni,
parla di “pericolo terrorismo” facendo aumentare l’ansia nella popolazione, qui a
Lampedusa L’Alto Commissariato per i Rifugiati delle Nazioni Unite ribadisce che la
priorità è spostare i migranti il prima possibile per evitare che la situazione degeneri.
I lampedusani si dicono vicini agli extracomunitari, ma abbandonati dallo Stato, preoccupati
per un turismo in picchiata perché spaventato dagli sbarchi:
R. – Noi
lampedusani abbiamo sempre dimostrato di essere pronti all’accoglienza: lo stiamo
dimostrando da 12, 13, 14 anni. Adesso, però, non si può più vivere. Lei stesso, che
ora è qui a Lampedusa, ha visto cosa c’è nel centro abitato. Tenga presente che quegli
emigrati sono tutti ragazzi che vanno da 16 a 21, 22 anni – sono tutti giovanissimi
– e vederli dormire francamente sotto un autotreno, sotto le stelle, sotto la pioggia,
fa veramente pena. Quindi, il governo deve provvedere.
R. – Siamo stati
un popolo accogliente e continuiamo ad essere accoglienti, ma in una situazione del
genere non sappiamo come ci dobbiamo comportare. Non c’è paura, perché solo Dio ci
aiuta. Ma arrivati a questo punto siamo immobilizzati. E non siamo un popolo di razzisti,
perché quello che sta facendo Lampedusa non l’ha fatto nessuno nel mondo.
Gli
abitanti di Lampedusa dicono “no” alle tendopoli per sollecitare interventi diversi,
ma questa notte come ieri decine di uomini si sono accampati, con teli di fortuna,
proprio nei pressi del molo da dove sono sbarcati. Altri hanno vagato tutta la notte,
c’è chi ha telefonato a casa e chi frugava nei cassonetti. Spesso non parlano al microfono
per paura, in molti dicono che non vogliono rimanere in Italia perché Francia, Germania
e Belgio sono le mete più ambite. In tutti la speranza di un futuro migliore, per
se stessi e le proprie famiglie, rimaste a casa con il cuore sospeso. (ap)
A
lottare in prima linea nell’emergenza è don Stefano Nastasi, parroco di Lampedusa.
Massiamo Menichetti lo ha intervistato:
R. – È una
situazione che è entrata in "tilt", perché con tutta la buona volontà delle diverse
parti in causa, a cominciare dalle associazioni umanitarie non governative che sono
presenti sull’isola all’interno del Centro fino alla gente comune che ha cercato di
fare qualsiasi cosa per aiutare e per andare incontro a questi fratelli immigrati,
si capisce bene che siamo entrati in "tilt". Si è rovinato un po’ il sistema, la struttura
che funzionava fino a qualche giorno fa a livello di accoglienza.
D.
– Di fatto, in questo momento manca un coordinamento?
R. - Sì, perché
credo che le forze andassero bene per un certo numero di immigrati. Serve altro aiuto
e serve, fondamentalmente, decongestionare il numero degli immigrati.
D.
– Quindi, come ribadiscono molti abitanti, è necessario portarli via dall’isola…
R.
– Sì, noi possiamo supportare questo transito fino a un certo numero. Se arriviamo
a un numero di mille, il Paese riesce ad accogliere queste persone umanamente e cristianamente.
Ma andando al di là di questo numero, il sistema iniziale entra in difficoltà: è inumano,
è inammissibile che 5000 persone siano "parcheggiate" sull’’isola, perché la realtà
è questa.
D. – Come sta reagendo la popolazione dell’isola?
R.
– Allo stato attuale, sta reagendo con un po’ di stanchezza perché la pazienza c’è
stata, c’è ed è tanta, al di là di qualche voce critica o di qualche protesta, che
per certi versi è anche legittima. Bisogna capire anche la tensione alla quale è sottoposta
questa popolazione. E’ da più di un mese che siamo sottoposti notte e giorno a una
tensione del genere. La macchina del trasferimento è stata e continua a essere molto
lenta. Credo che se c’è una critica da fare sia nei confronti di chi sta gestendo
questa emergenza. Siamo arrivati al punto di essere quasi alla carenza alimentare
e allora penso che vada fatta una riflessione in questo senso. La comunità continua
ad avere pazienza, perché vede anche la fragilità nella quale vivono questi fratelli.
C’è stato un segnale positivo ieri nel Consiglio dei ministri: ringraziamo il ministro
degli Interni e il ministro della Giustizia per le parole che hanno avuto nei confronti
di Lampedusa. Però è importante che, da questo momento, si passi dalle parole ai fatti.
La macchina è troppo ingolfata e deve ripartire subito, perché rischia di alzare la
tensione all’interno del Paese.
D. – Don Stefano, lei dice: guardando
a come stanno andando le cose bisognerebbe migliorare. Non è una critica politica,
è una critica di strategia…
R. – Sì, è una critica di strategia. Il
nostro compito è quello di supportare, di agire, di condividere. Ed è quello che abbiamo
sempre fatto fin dalla prima notte dell’emergenza quando il centro era chiuso e abbiamo
messo a disposizione i saloni parrocchiali.
D. – Questo, venti giorni
fa …
R. – Più di venti giorni fa. Allo stato attuale esiste ancora un
gruppo di immigrati all’interno del nostro salone parrocchiale, sono più di 200 che
attendono di ripartire per un altro luogo. Credo che il segreto, la formula che abbiamo
suggerito a chi deve guidare l’emergenza, sia quella della condivisione: condivisione
dei pesi, che le regioni condividano il peso con noi. E’ un principio che è pienamente
umano, totalmente umano, e totalmente cristiano. Penso alle parole della Gaudium
et spes, parole che qui si incarnano benissimo: non c’è niente di cristiano che
non sia pienamente umano o viceversa.
D. – Don Stefano, come parrocchia
siete stati i primi ad intervenire e tuttora siete in prima linea. Che cosa state
facendo come Chiesa?
R. – Intanto, abbiamo dato la struttura per riparari
gli immigrati. È chiaro che non risolve tutto, ma è un modo per dire ci siamo anche
noi. Siamo qui a fare, a cooperare, a collaborare. Abbiamo detto alle associazioni
umanitarie che siamo ben disposti su qualsiasi versante, dagli alimenti agli indumenti.
La Caritas parrocchiale, di concerto con quella diocesana, si sta attivando in queste
ore per la distribuzione anche di vestiario all’interno della parrocchia o in altri
luoghi. Facciamo questo da giorni, non c’è niente di nuovo in questa direzione. (bf)