La festa del 150.mo: i commenti di Antonio Baggio e Francesco Perfetti
Sul contributo dei cattolici all’unità d’Italia ascoltiamo il commento del prof.
Antonio Maria Baggio, docente di filosofia politica all’Istituto universitario
Sophia di Loppiano, fondato dai Focolari. L’intervista è di Luca Collodi:
R. - Il contributo
cattolico al Risorgimento è stato - intanto - di partecipazione diretta per tutti
quei cattolici che condividevano un disegno unitario in Italia. Teniamo presente che
allora i cattolici si dividevano politicamente e culturalmente tra liberali e democratici
e c’erano sia moderati che conservatori. Molto interessanti i “conciliatoristi”, che
pensavano che si potessero appunto conciliare le esigenze della Chiesa - che andavano
rispettate - e quelle di una modernità - anche politica - che si stava facendo strada
e che richiedeva la formazione di uno stato-nazione, come cosa inevitabile. Uno dei
più favorevoli - ricordo - fu Manzoni: certamente una persona di cui, in alcun modo,
può essere messa in dubbio la sincerità della fede religiosa.
D. - Professor
Baggio, qualche studioso dà una lettura antipapale del processo unitario italiano…
R.
- Certamente fu una rottura, perché un mondo tramontava. Teniamo, presente che anzitutto
esisteva un conflitto ideologico fortissimo. Io mi permetto di fare riferimento ad
uno studio che è in corso di pubblicazione di un grande studioso italiano, il prof.
Rocco Pezzimenti, che sottolinea da parte di Rosmini la denuncia del pericolo dello
Stato etico, di uno Stato, quello che andava a formarsi, che fosse animato da una
ideologia profondamente anticlericale e che dava, essa stessa delle visioni morali:
cosa, questa, inaccettabile per noi oggi e quindi una mancanza di laicità, piuttosto
un laicismo militante. Questo certamente provocava delle fratture. Possiamo sottolineare,
per esempio, che da parte di Pio IX, che fu protagonista assoluto di questa vicenda,
c’era il senso di una inevitabilità ormai delle cose e che certamente la Chiesa non
poteva opporsi in armi. Quando ci fu il caso della presa di Roma, attraverso la Breccia
di Porta Pia - che è successiva alla data che oggi noi festeggiamo, perché avvenne
il 20 settembre 1870 - già dal 10 settembre a San Pietro c’era la bandiera bianca.
Pio IX aveva dato ordini stretti al generale Hermann Kanzler, che comandava la difesa,
di non opporsi: l’opposizione doveva essere semplicemente una protesta, perché certamente
il Papa non poteva far versare del sangue. Quindi a volte ci sono ricostruzioni di
comodo ed esaltazioni del gesto della presa: certamente poi c’è stata anche una resistenza,
perché ad un soldato è difficile dire di deporre le armi. Però c’è molta ideologia
che copre invece il fatto che all’interno del cattolicesimo ci si preparasse a dare
una grande mano a costruire l’unità del Paese. Ci si ricordi che l’espressione “Fatta
l’Italia, bisogna fare gli italiani” è una cosa che i cattolici hanno preso molto
sul serio.
D. - Nel messaggio del Papa si sottolinea il ruolo del cristianesimo
nella nostra storia e molti cattolici hanno pensato al processo unitario come anche
alla creazione di una grande comunità sociale per il Paese…
R. - Sì.
Ci sono i precedenti: la stessa cultura che noi possiamo chiamare italiana, che affonda
le radici ai tempi del Rinascimento, dei Comuni e ancora prima, è cultura di forte
ispirazione religiosa. Quando c’è stata l’unificazione politica, noi avevano un Paese
fortemente diviso: è qui che si vede l’azione dei cattolici. Le faccio un esempio:
casualmente, pochi giorni fa, ero a Marsala e sono andato a visitare il Museo Garibaldi
con un amico, frate Egidio del Convento di Assisi, e lui mi diceva: “Però, accidenti,
che razza di unità è stata qua?”, perché il Museo era pieno di pistole, di schioppi,
di sciabole… Un’unità, quindi, fatta attraverso una divisione. E in effetti l’Italia
era spaccata. Il brigantaggio meridionale, che abbiamo avuto dopo l’unità di Italia,
non fu un episodio di pochi delinquenti, ma fu un fatto di popolo; e poi la società
che ha potuto condividere l’idea risorgimentale - e questo in tutta Italia - era molto
ristretta. Che hanno fatto i cattolici? Hanno costruito il sociale con il loro lavoro:
nelle campagne, nelle formazione di cooperative e con l’istruzione hanno allargato
la base sociale dell’Italia. Hanno veramente costruito l’Italia come ci si auspicava
e anche gli italiani, facendo in modo che essi fossero molto più che l’élite ristretta
che aveva condotto ed operato il Risorgimento. (mg.)
Ma in quale contesto
nacque l’Unità d’Italia? Paolo Ondarza lo ha chiesto a Francesco Perfetti,
direttore della rivista “Nuova Storia Contemporanea” e docente di Storia Contemporanea
all’Università Luiss Guido Carli di Roma.
R. – L’unità
d’Italia è nata per un’azione concorde e combinata di Mazzini, Garibaldi, Cavour e
Vittorio Emanuele, con sullo sfondo – io aggiungerei – Pio IX e Napoleone III. Questa
immagine oleografica, alla fin fine, è una immagine che coglie una verità sostanziale.
La seconda osservazione è che anche a livello popolare, erano presenti una serie di
pulsioni filo-unitarie che affondavano le loro radici nel passato storico-culturale
della nostra area geografica, ma che soprattutto erano il riflesso di un fenomeno
europeo. Il Risorgimento, e quindi l’unità, sono un aspetto italiano del fenomeno
europeo più generale della rivoluzione delle nazionalità.
D. – Al di
là delle celebrazioni che si stanno svolgendo in tutta Italia, quanta memoria storica
c’è, oggi, di questi fatti?
R. – C’è poca memoria, perché il Risorgimento
è praticamente scomparso dai libri di testo degli ultimi decenni ed è stato relegato
– come dire – in un paragrafo. Però, detto questo, c’è anche da dire che l’interesse
è un interesse notevole, soprattutto quello che si percepisce dai giovani.
D.
– Accennava all’assenza del Risorgimento nelle pagine dei manuali di storia: come
mai?
R. – Intanto, perché da un certo momento in poi è cambiata un’impostazione
storiografica nell’educazione della scuola. Si è incominciato a parlare di una storia
che non fosse più una storia centrata sulle vicende nazionali, ma una storia proiettata
a livello mondiale o planetario. Ma poi, nel caso italiano, c’è tutta l’eredità del
Sessantotto, che ha comportato una contestazione nei confronti dell’autorità e quindi
anche – tutto sommato – nei confronti dei padri e quindi anche della storia nazionale.
D.
– A livello politico si registrano ancora polemiche proprio su questi festeggiamenti.
L’unità è ancora un ideale da raggiungere o forse è una realtà che però vede idee
divergenti?
R. – Io direi che è una realtà, mentre le contestazioni
ai festeggiamenti sono sostanzialmente di due tipi: da una parte ci sono le contestazioni
di carattere squisitamente politico, portate avanti dal mondo della Lega; e dall’altra
parte ci sono contestazioni di carattere storico. Ma si tratta nel primo caso, di
un discorso strumentale e politico, anche perché viene presentato in maniera funzionale
ad un progetto di federalismo, dimenticando che il federalismo fu una delle grandi
opzioni della rivoluzione risorgimentale. Nel secondo caso si tratta di contestazioni
che recuperano la nostalgia per vecchi Stati, ma la recuperano sostanzialmente sul
piano del folklore. Se c’è invece un elemento che io noto – lo sottolineava Polito
sul Corriere della Sera – è che in questi festeggiamenti sono state messe da parte
Casa Savoia e la monarchia, che poi sono state le artefici, di fatto, del Risorgimento
… (gf)