2011-03-16 17:18:53

Libia: la testimonianza del vescovo di Bengasi a Misna


DA BENGASI A TRIPOLI: “APPRENSIONE E PAURA, ORE DI ATTESA”
“C’è apprensione e paura; seguiamo le ultime notizie attraverso le televisioni straniere, noi stessi temiamo che la situazione possa degenerare”. E’ una voce pacata ma preoccupata quella di monsignor Silvestro Magro, vescovo di Bengasi, raggiunto telefonicamente dalla MISNA. “La vita sembra scorrere ancora normalmente – aggiunge – se normale, in questa situazione, significa fare incetta di scorte alimentari avere ancora a disposizione alcuni servizi fondamentali come l’erogazione di acqua e corrente elettrica, o vedere che le banche continuano a funzionare”.
Con le truppe rimaste fedeli al colonnello Muammar Gheddafi che hanno raggiunto Ajdabiya, a Bengasi si respira aria di tempesta. Se la strategia del regime pare quella di accerchiare la seconda città del paese (la presa di Ajdabiya consentirebbe infatti di aprire anche la strada per Tobruck, verso il confine egiziano, e di stringere così Bengasi in una morsa), non è chiaro quale sia il reale potenziale degli insorti né se ci sia la volontà di resistere a un esercito meglio addestrato ed equipaggiato. E poco importa, se la comunità internazionale deciderà di imporre il divieto di volo sui cieli libici (la cosiddetta ‘no fly zone’) perché ormai l’avanzata di Gheddafi è progredita abbastanza da poter fare a meno del supporto dell’aviazione.
Se a Bengasi ci si prepara al peggio, anche a Tripoli, seppur in maniera diversa, si respira aria di attesa. “Nel frattempo – dice alla MISNA padre Daniel Farrugia, vicario generale della diocesi – qui si fa incetta di scorte alimentari. Durante la mattinata e le prime ore del pomeriggio la vita sembra scorrere normalmente, ma chi può compra quanto è reperibile e si può permettere. Ormai gli scaffali non sono pieni, ma tutto ciò che viene messo in vendita va praticamente a ruba più che per necessità per precauzione”.
La situazione più precaria a Tripoli è quella dei migranti eritrei. “Un aereo militare italiano ne ha trasferiti ieri una settantina in Italia – dice padre Farrugia – una settimana fa una cinquantina aveva potuto usufruire della stessa via di fuga. Si tratta soprattutto di donne e bambini, gli altri – almeno 2000 a Tripoli – sono ancora qui, si arrangiano come possono e quando sentono di qualcuno che è riuscito ad andare via vengono nella nostra chiesa di San Francesco nella speranza che possa essere il loro turno. In attesa di lasciare il paese sono anche tanti cittadini di paesi africani. Spesso senza documenti, alcune migliaia di loro – conclude il sacerdote – vivono accampati nei pressi dell’aeroporto aspettando un aereo che li porti da qualche altra parte”.







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