2011-03-16 14:49:44

Le truppe di Gheddafi verso Bengasi. Il vescovo: battaglia vicina, pregate per la pace!


In Libia, si profila sempre di più un ribaltamento delle posizioni tra esercito di Tripoli e insorti. Prosegue l’avanzata delle truppe di Gheddafi, che si trovano vicine a Bengasi, roccaforte dei ribelli. Di fronte a questo mutamento radicale dello scenario bellico, ieri a Parigi i ministri degli Esteri del G8 hanno rinviato al Consiglio di sicurezza dell’Onu la decisione sull’istituzione di una possibile “zona di non volo” sulla Libia. Il servizio di Marco Guerra:RealAudioMP3

Le forze pro-Gheddafi sono vicine a Bengasi e “tutto sarà finito in 48 ore”. Lo ha detto questa mattina il figlio del rais, Saif al Islam, mentre le forze di Tripoli, guidate da Khamis, un altro figlio del colonnello, entravano nella periferia di Misurata, terzo centro del Paese ed ultimo bastione dei ribelli nella parte occidentale del Paese. Poche ore prima, a Tripoli si era festeggiato per la caduta di Ajdibiya, città cruciale per il successo della controffensiva verso est. Gli insorti e alcuni media arabi parlano però di una avanzata ancora lontana dal concludersi. Secondo 'Al-Jazeera' le milizie fedeli al regime non sono ancora entrate nel centro di Misurata, che sarebbe sottoposto ad un duro bombardamento che ha già ucciso almeno 5 persone. La tv araba riferisce di combattimenti in corso anche a Ajdibiya. Qui il bilancio è più pesante: da ieri, si contano 25 morti e 70 feriti. Il fronte è comunque arrivato a soli 200 chilometri da Bengasi. La periferia della roccaforte degli insorti è già stata colpita da alcuni raid aerei e i vertici dell’esercito regolare di Tripoli hanno intimato alla popolazione di deporre le armi prima dell’offensiva finale. Ma la rabbia dei rivoltosi oggi si rivolge soprattutto verso le esitazioni delle potenze occidentali che ieri al G8 hanno deciso di rimettere nelle mani dell’Onu ogni decisione su un eventuale intervento militare. E sul tavolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni Unite, che si riunirà oggi New York, è già arrivata la proposta sostenuta dalla Lega Araba. Il progetto illustrato dal rappresentante permanente del Libano Nawaf Salam prevede l’istituzione di una no-fly zone, oltre a nuove sanzioni contro il regime libico. Sulla stessa linea sembra schierarsi la Francia che con il suo ministro degli Esteri fa sapere che molti Paesi arabi sono pronti a un intervento militare per fermare le truppe del colonnello.

In Libia sembra quindi inevitabile lo scontro aperto tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Dopo la battaglia di Ajdibiya, sembra ormai imminente l’attacco contro Bengasi, roccaforte degli insorti. La televisione di Stato ha trasmesso un messaggio rivolto alla popolazione precisando che “non ci sarà alcuna vendetta contro i civili”. La comunità cattolica vive questa drammatica situazione nella preghiera. Ecco la testimonianza del vescovo di Bengasi, mons. Sylvester Carmel Magro, intervistato da Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

R. – Quando si sente la guerra così vicina, si prova anche molta apprensione e preoccupazione. Viviamo con la speranza e nella preghiera; tutti noi, le religiose e i sacerdoti, contiamo molto sulla preghiera: questo è il nostro rifugio e la nostra speranza. Finora la situazione nella città è normale: le strade sono piene di macchine, come accade normalmente, in tempo di pace. Non ci sono in giro soldati né armamenti, ad eccezione di alcune aree sulla spiaggia.

D. – In questo momento così difficile, quale è il suo appello?

R. – Noi chiediamo che tutti preghino per la pace, perché è il dono più grande che possano farci. Perché veramente, senza la pace ci si sente smarriti, mentre con la pace e con la preghiera – che ci aspettiamo da tutti – ci viene il soccorso dall’Alto: questa è la nostra fiducia. Ogni giorno abbiamo l’adorazione eucaristica, la recita del Rosario, naturalmente la Santa Messa; i cristiani – quei pochi che sono rimasti – vengono alla Messa, malgrado le difficoltà … Per questo, ci sentiamo vicini gli uni agli altri mediante la presenza di Dio e di Cristo sofferente, specialmente in questo tempo di Quaresima, che quotidianamente ci dà molto coraggio e grande consolazione.

D. – Se le truppe del colonnello Gheddafi dovessero riprendere il controllo di Bengasi, come pensa che si possa poi reimpostare il futuro, dopo tutto quello che è accaduto in Libia e in particolare a Bengasi?

R. – E’ una domanda difficile, perché non possiamo sapere cosa succederà. Non siamo in grado di prevedere niente, perché la situazione è molto fluida.

D. – Da parte della Chiesa l’auspicio è che la situazione sul piano politico e sociale possa trovare comunque un momento di riconciliazione e di dialogo…

R. – La Chiesa continua ad operare con la sua presenza, specialmente qui a Bengasi: abbiamo tante suore che lavorano negli ospedali con i malati. Eroicamente, tutti insieme rimaniamo qui, al nostro posto di lavoro con i sofferenti. Questo è un grande segno di solidarietà, soprattutto in questi tempi difficili in cui tantissimi lavoratori sono fuggiti dal Paese. La nostra presenza è di incoraggiamento spirituale ma anche psicologico, di sostegno anche ai locali che ammirano la decisione che abbiamo preso: quella di non abbandonare il nostro ruolo di messaggeri di pace e anche di soccorso tramite le suore infermiere che lavorano negli ospedali della città.

D. – Questa vostra presenza è davvero importante. Come già ha detto, sembra che a Bengasi si stia avvicinando la guerra. Nonostante questo, la Chiesa continua ad accompagnare la popolazione locale. Questa presenza verrà sempre assicurata?

R. – Sì, al limite del possibile noi rimarremo qui per questa vocazione che ci viene dal Signore e per la quale noi sentiamo che bisogna stare e rimanere nel posto che la Provvidenza ci ha assegnato.

D. – Sentite l’affetto della popolazione?

R. – Sì, specialmente dopo aver visto che noi siamo rimasti: è stato per loro un grande sollievo. Anche i direttori degli ospedali hanno manifestato grande apprezzamento per questo gesto e per questa decisione, vorrei dire, quasi eroica: rimanere nonostante la paura che ciascuno di noi sente. E’ un segno, una testimonianza veramente di valore, una testimonianza cristiana.

D. – Quale è adesso la vostra speranza?

R. – La nostra speranza è che questo ciclone finisca al più presto per il bene di tutti. Questa è la nostra preghiera, la nostra speranza perché – come diceva Papa Pio XII – “nulla è perduto con la pace, tutto può esserlo con la guerra!”. Questa è la nostra preghiera quotidiana alla quale chiediamo che si uniscano tutte le anime che ascoltano il nostro appello tramite la Radio Vaticana. (gf)







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