Le truppe di Gheddafi verso Bengasi. Il vescovo: battaglia vicina, pregate per
la pace!
In Libia, si profila sempre di più un ribaltamento delle posizioni tra esercito di
Tripoli e insorti. Prosegue l’avanzata delle truppe di Gheddafi, che si trovano vicine
a Bengasi, roccaforte dei ribelli. Di fronte a questo mutamento radicale dello scenario
bellico, ieri a Parigi i ministri degli Esteri del G8 hanno rinviato al Consiglio
di sicurezza dell’Onu la decisione sull’istituzione di una possibile “zona di non
volo” sulla Libia. Il servizio di Marco Guerra:
Le forze
pro-Gheddafi sono vicine a Bengasi e “tutto sarà finito in 48 ore”. Lo ha detto questa
mattina il figlio del rais, Saif al Islam, mentre le forze di Tripoli, guidate da
Khamis, un altro figlio del colonnello, entravano nella periferia di Misurata, terzo
centro del Paese ed ultimo bastione dei ribelli nella parte occidentale del Paese.
Poche ore prima, a Tripoli si era festeggiato per la caduta di Ajdibiya, città cruciale
per il successo della controffensiva verso est. Gli insorti e alcuni media arabi parlano
però di una avanzata ancora lontana dal concludersi. Secondo 'Al-Jazeera' le milizie
fedeli al regime non sono ancora entrate nel centro di Misurata, che sarebbe sottoposto
ad un duro bombardamento che ha già ucciso almeno 5 persone. La tv araba riferisce
di combattimenti in corso anche a Ajdibiya. Qui il bilancio è più pesante: da ieri,
si contano 25 morti e 70 feriti. Il fronte è comunque arrivato a soli 200 chilometri
da Bengasi. La periferia della roccaforte degli insorti è già stata colpita
da alcuni raid aerei e i vertici dell’esercito regolare di Tripoli hanno intimato
alla popolazione di deporre le armi prima dell’offensiva finale. Ma la rabbia dei
rivoltosi oggi si rivolge soprattutto verso le esitazioni delle potenze occidentali
che ieri al G8 hanno deciso di rimettere nelle mani dell’Onu ogni decisione su un
eventuale intervento militare. E sul tavolo del Consiglio di sicurezza delle Nazioni
Unite, che si riunirà oggi New York, è già arrivata la proposta sostenuta dalla Lega
Araba. Il progetto illustrato dal rappresentante permanente del Libano Nawaf
Salam prevede l’istituzione di una no-fly zone, oltre a nuove sanzioni contro il regime
libico. Sulla stessa linea sembra schierarsi la Francia che con il suo ministro degli
Esteri fa sapere che molti Paesi arabi sono pronti a un intervento militare per fermare
le truppe del colonnello.
In Libia sembra quindi inevitabile lo scontro
aperto tra le forze governative e quelle dell’opposizione. Dopo la battaglia di Ajdibiya,
sembra ormai imminente l’attacco contro Bengasi, roccaforte degli insorti. La televisione
di Stato ha trasmesso un messaggio rivolto alla popolazione precisando che “non ci
sarà alcuna vendetta contro i civili”. La comunità cattolica vive questa drammatica
situazione nella preghiera. Ecco la testimonianza del vescovo di Bengasi, mons.
Sylvester Carmel Magro, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. – Quando
si sente la guerra così vicina, si prova anche molta apprensione e preoccupazione.
Viviamo con la speranza e nella preghiera; tutti noi, le religiose e i sacerdoti,
contiamo molto sulla preghiera: questo è il nostro rifugio e la nostra speranza. Finora
la situazione nella città è normale: le strade sono piene di macchine, come accade
normalmente, in tempo di pace. Non ci sono in giro soldati né armamenti, ad eccezione
di alcune aree sulla spiaggia.
D. – In questo momento così difficile,
quale è il suo appello?
R. – Noi chiediamo che tutti preghino per la
pace, perché è il dono più grande che possano farci. Perché veramente, senza la pace
ci si sente smarriti, mentre con la pace e con la preghiera – che ci aspettiamo da
tutti – ci viene il soccorso dall’Alto: questa è la nostra fiducia. Ogni giorno abbiamo
l’adorazione eucaristica, la recita del Rosario, naturalmente la Santa Messa; i cristiani
– quei pochi che sono rimasti – vengono alla Messa, malgrado le difficoltà … Per questo,
ci sentiamo vicini gli uni agli altri mediante la presenza di Dio e di Cristo sofferente,
specialmente in questo tempo di Quaresima, che quotidianamente ci dà molto coraggio
e grande consolazione.
D. – Se le truppe del colonnello Gheddafi dovessero
riprendere il controllo di Bengasi, come pensa che si possa poi reimpostare il futuro,
dopo tutto quello che è accaduto in Libia e in particolare a Bengasi?
R.
– E’ una domanda difficile, perché non possiamo sapere cosa succederà. Non siamo in
grado di prevedere niente, perché la situazione è molto fluida.
D. –
Da parte della Chiesa l’auspicio è che la situazione sul piano politico e sociale
possa trovare comunque un momento di riconciliazione e di dialogo…
R.
– La Chiesa continua ad operare con la sua presenza, specialmente qui a Bengasi: abbiamo
tante suore che lavorano negli ospedali con i malati. Eroicamente, tutti insieme rimaniamo
qui, al nostro posto di lavoro con i sofferenti. Questo è un grande segno di solidarietà,
soprattutto in questi tempi difficili in cui tantissimi lavoratori sono fuggiti dal
Paese. La nostra presenza è di incoraggiamento spirituale ma anche psicologico, di
sostegno anche ai locali che ammirano la decisione che abbiamo preso: quella di non
abbandonare il nostro ruolo di messaggeri di pace e anche di soccorso tramite le suore
infermiere che lavorano negli ospedali della città.
D. – Questa vostra
presenza è davvero importante. Come già ha detto, sembra che a Bengasi si stia avvicinando
la guerra. Nonostante questo, la Chiesa continua ad accompagnare la popolazione locale.
Questa presenza verrà sempre assicurata?
R. – Sì, al limite del possibile
noi rimarremo qui per questa vocazione che ci viene dal Signore e per la quale noi
sentiamo che bisogna stare e rimanere nel posto che la Provvidenza ci ha assegnato.
D.
– Sentite l’affetto della popolazione?
R. – Sì, specialmente dopo aver
visto che noi siamo rimasti: è stato per loro un grande sollievo. Anche i direttori
degli ospedali hanno manifestato grande apprezzamento per questo gesto e per questa
decisione, vorrei dire, quasi eroica: rimanere nonostante la paura che ciascuno di
noi sente. E’ un segno, una testimonianza veramente di valore, una testimonianza cristiana.
D.
– Quale è adesso la vostra speranza?
R. – La nostra speranza è che questo
ciclone finisca al più presto per il bene di tutti. Questa è la nostra preghiera,
la nostra speranza perché – come diceva Papa Pio XII – “nulla è perduto con la pace,
tutto può esserlo con la guerra!”. Questa è la nostra preghiera quotidiana alla quale
chiediamo che si uniscano tutte le anime che ascoltano il nostro appello tramite la
Radio Vaticana. (gf)