La Notte Tricolore di Roma ricorda il Risorgimento attraverso la musica: impegnate
le maggiori istituzioni della Capitale, l’Accademia Filarmonica Romana alla Chiesa
Nuova con un concerto di Musica sacra risorgimentale, il Teatro dell’Opera a San’Andrea
al Quirinale con musiche scelte per il loro sentimento patriottico e l’Accademia di
Santa Cecilia in Piazza del Quirinale e del Campidoglio con Verdi, Beethoven, Rossini
e le voci bianche all’Altare della Patria per l’esecuzione dell’Inno d’Italia. Il
servizio di Luca Pellegrini:
Riccardo
Muti lo definisce “la preghiera dolorosa di un popolo smarrito”: il verdiano "Va’
pensiero" fin dal suo apparire ha incarnato gli ideali risorgimentali, l’anelito a
una patria unita e libera, la presa di coscienza di una identità nazionale. Alla musica,
dunque, questa sera il compito di ricordare e attualizzare questi concetti, questi
pensieri, questi ricordi. Abbiamo chiesto ai responsabili delle Istituzioni impegnate
perché, secondo loro, la musica in Italia ha giocato un ruolo di primo piano nella
costruzione e difesa dell’idea di patria e di una identità culturale condivisa. Risponde
Sandro Cappelletto, Direttore Artistico della Filarmonica Romana.
“Vorrei
iniziare, riprendendo la famosa definizione di Fedele D’Amico: nell’Ottocento il melodramma
è stato il solo fatto socialmente unitario del nostro Paese; si cantava italiano ovunque,
da Palermo a Trieste; c’erano oltre mille teatri attivi; il teatro musicale era lo
spettacolo più frequentato, non soltanto dall’aristocrazia, ma dalla borghesia e da
alcuni ceti popolari, in un’Italia in cui il livello di analfabetismo era altissimo;
nei teatri d’opera si veicola una forte emozione unitaria, di identità nazionale,
di voglia di libertà e di indipendenza”.
Ecco il parere di Bruno
Cagli, presidente dell’Accademia di Santa Cecilia:
“Come
io ribadisco sempre, l’unità d’Italia è esistita prima nella musica che nella politica
e nei confini, se noi pensiamo a ciò che in maniera compatta le grandi città, i centri
musicali, hanno dato al mondo e si sono scambiate: Venezia, Napoli, Milano - per citarne
tre - e Bologna al centro. Un pesarese che domina tutta l’Europa come Rossini, un
bergamasco che diventa un grande compositore napoletano: questa era l’unità d’Italia!
Anche la lingua italiana, nella sua alta espressione, deriva dai libretti d’opera
e a sua volta deriva dal Tasso, che è il grande maestro di tutta la lingua melodrammatica
successiva”.
Infine Alessio Vlad, direttore Artistico
del Teatro dell’Opera di Roma:
“Ogni Paese ha un suo patrimonio da salvaguardare:
l’Italia, soprattutto nell’Ottocento, si è identificata con l’opera lirica. L’opera
lirica ha rappresentato un veicolo trainante per quanto riguarda la lingua e, quindi,
ne consegue, la cultura. Oggi si tende a perdere o non riconoscere i valori di una
tradizione”. (ap)