L'intervento integrale del cardinale Ouellet alla presentazione del "Gesù di Nazaret"
Un milione e duecentomila copie: questa la prima tiratura del libro di Benedetto XVI,
“Gesù di Nazaret – Dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione”. Il volume,
che è stato presentato in una Sala Stampa Vaticana gremita di giornalisti, è nelle
librerie in 7 lingue a cui si aggiungerà a fine marzo la traduzione in croato. Seguirà
poi la traduzione in altre 13 lingue, mentre è già disponibile nella forma digitale
dell’e-book. A presentare l’opera del Papa, c’erano in Sala Stampa, con il direttore
padre Federico Lombardi, il cardinale Marc Ouellet, prefetto della Congregazione per
i Vescovi, e il prof. Claudio Magris, scrittore e germanista. Pubblichiamo di seguito
l’intervento integrale del cardinale Ouellet:
Nonostante sia
assai denso, questo libro si legge per intero senza interruzioni. Percorrendone i
nove capitoli e le prospettive finali, il lettore è trasportato per sentieri scoscesi
verso l’avvincente incontro con Gesù, una figura familiare che si rivela ancor più
vicina nella sua umanità come nella sua divinità. Completata la lettura, si vorrebbe
proseguire il dialogo, non soltanto con l’autore ma con Colui del quale egli parla.
Gesù di Nazareth è più di un libro, è una testimonianza commovente, affascinante,
liberatrice. Quanto interesse susciterà tra gli esperti e tra i fedeli!
L’EVENTO Oltre
l’interesse d’un libro su Gesù, è il libro del papa che si presenta in umiltà al foro
degli esegeti, per confrontarsi con loro sui metodi e sui risultati delle loro ricerche.
Lo scopo del Santo Padre è quello di andare con loro più lontano, in stretto rigore
scientifico, certo, ma anche nella fede nello Spirito Santo che scandaglia le profondità
di Dio nella Sacra Scrittura. In questo foro, gli scambi fecondi predominano di molto
sugli accenti critici, e ciò contribuisce a far meglio conoscere e riconoscere l’essenziale
contributo degli esegeti.
Non c’è forse da trarre grande speranza da
questo riavvicinamento tra l’esegesi rigorosa dei testi biblici e l’interpretazione
teologica della Sacra Scrittura? Io non posso fare a meno di scorgere in questo libro
l’aurora d’una nuova era dell’esegesi, una promettente era di esegesi teologica. Il
papa dialoga in primo luogo con l’esegesi tedesca ma non ignora importanti autori
che appartengono alle aree linguistiche francofona, anglofona e latina. Eccelle nell’individuare
le questioni essenziali e i nodi decisivi, costringendosi ad evitare le discussioni
sui dettagli e le dispute di scuola che pregiudicherebbero il suo proposito, che è
quello di «trovare il Gesù reale», non il «Gesù storico» proprio del filone dominante
dell’esegesi critica, ma il «Gesù dei Vangeli» ascoltato in comunione con i discepoli
di Gesù d’ogni tempo, e così «giungere anche alla certezza della figura veramente
storica di Gesù» (9).
Questa formulazione del suo obiettivo manifesta
l’interesse metodologico del libro. Il papa affronta in modo pratico ed esemplare
il complemento teologico auspicato dall’Esortazione Apostolica Verbum Domini per lo
sviluppo dell’ese¬gesi. Nulla stimola di più dell’esempio dato e dei risultati ottenuti.
Gesù di Nazareth offre una magnifica base per un fruttuoso dialogo non solo tra esegeti,
ma anche tra pastori, teologi ed esegeti.
Prima di illustrare con alcuni
esempi i risultati di questa esegesi di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI, aggiungo ancora
un’osservazione sul metodo. L’autore si sforza di applicare in maggior profondità
i tre criteri d’interpretazione formulati al Concilio Vaticano II dalla Costituzione
sulla Divina Rivelazione Dei Verbum: tener conto dell’unità della Sacra Scrittura,
del complesso della Tradizione della Chiesa e rispettare l’analogia della fede. Come
buon pedagogo che ci ha abituati alle sue omelie mistagogiche, degne di san Leone
Magno, Benedetto XVI, a partire dalla figura - oh quanto centrale ed unica - di Gesù,
mostra la pienezza di senso che promana dalla Sacra Scrittura «interpretata alla luce
dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta » (DV 12). Anche
se l’autore si preclude d’offrire un Insegnamento ufficiale della Chiesa, è facile
immaginare che la sua autorità scientifica e la ripresa in profondità di certe questioni
disputate saranno di grande aiuto per confermare la fede di molti. Serviranno inoltre
a far progredire dei dibattiti rimasti insabbiati a motivo dei pregiudizi razionalisti
e positivisti che hanno intaccato il prestigio dell’esegesi moderna e contemporanea. Tra la comparsa del primo volume nell’aprile 2007 e quella del secondo
in questa Quaresima 2011, un gran numero di eventi felici ma anche di penose esperienze
ha segnato la vita della Chiesa e del mondo. Ci si chiede come il papa sia riuscito
a scrivere quest’opera molto personale e molto impegnativa, di cui l’attualità del
tema e l’audacia del progetto balzano agli occhi di chiunque s’interessi al cristianesimo.
Come teologo e come pastore, ho la sensazione di vivere un momento storico di grande
portata teologica e pastorale. È come se in mezzo alle onde che agitano la barca della
Chiesa, Pietro avesse ancora una volta afferrato la mano del Signore che ci viene
incontro sulle acque, per salvarci (Mt 14, 22-33).
NODI DA SCIOGLIERE Detto
ciò che riguarda il carattere storico, teologico e pastorale dell’evento, veniamo
al contenuto del libro che vorrei riassumere assai a grandi linee attorno ad alcune
questioni cruciali. Innanzitutto la questione del fondamento storico del cristianesimo
che attraversa i due volumi dell’opera; poi la questione del messianismo di Gesù,
seguita da quella dell’espiazione dei peccati da parte del Redentore, che costituisce
un problema per molti teologi; allo stesso modo la questione del sacerdozio di Cristo
in rapporto alla sua Regalità e al suo Sacrificio che tanta importanza rivestono per
la concezione cattolica del sacerdozio e della Santa Eucaristia; da ultimo la questione
della risurrezione di Gesù, il suo rapporto alla corporeità ed il suo legame con la
fondazione della Chiesa.
Non occorre dire che l’elenco non è esaustivo
e molti troveranno altre questioni più interessanti, ad esempio il suo commento del
discorso escatologico di Gesù o ancora della preghiera sacerdotale in Giovanni 17.
Io identifico le questioni qui esposte come nodi da sciogliere in esegesi come in
teologia, allo scopo di ricondurre la fede dei fedeli alla Parola stessa di Dio, compresa
in tutta la sua forza e la sua coerenza, nonostante i condizionamenti teologici e
culturali che a volte impediscono l’accesso al senso profondo della Scrittura.
La
questione del fondamento storico del cristianesimo impegna Joseph Ratzinger fin dagli
anni della sua formazione e del suo primo insegnamento, come appare dal suo volume
su Introduzione al cristianesimo (Einführung in das Christentum), pubblicato oltre
quarant’anni or sono, e che ebbe all’epoca un notevole impatto sugli uditori e i lettori.
Dal momento che il cristianesimo è la religione del Verbo incarnato nella storia,
per la Chiesa è indispensabile stare ai fatti ed agli avvenimenti reali, proprio in
quanto essi contengono dei «misteri» che la teologia deve approfondire utilizzando
chiavi d’interpretazione che appartengono al dominio della fede. In questo secondo
volume che tratta degli avvenimenti centrali della passione, della morte e della risurrezione
di Cristo, l’autore confessa che il compito è particolarmente delicato. La sua esegesi
interpreta i fatti reali in maniera analoga al trattato su «i misteri della vita di
Gesù» di san Tommaso d’Aquino, «guidato dall’ermeneutica della fede, ma tenendo conto
nello stesso tempo e responsabilmente della ragione storica, necessariamente contenuta
in questa stessa fede» (9). Sotto questa luce, si comprende l’interesse
del papa per l’esegesi storico-critica ch’egli ben conosce e da cui trae il meglio
per approfondire gli avvenimenti dell’Ultima Cena, il significato della preghiera
del Getsemani, la cronologia della passione ed in particolare le tracce storiche della
risurrezione. Non manca di porre in evidenza di passaggio il difetto d’apertura di
un’esegesi esercitata in modo troppo esclusivo secondo la «ragione», ma il suo principale
intendimento rimane quello di far luce teologicamente sui fatti del Nuovo Testamento
con l’aiuto dell’Antico Testamento e viceversa, in modo analogo ma più rigoroso rispetto
all’interpretazione tipologica dei Padri della Chiesa. Il legame del cristianesimo
con l’ebraismo appare rafforzato da questa esegesi che si radica nella storia di Israele
ripresa nel suo orientamento verso il Cristo. Ecco allora, per esempio, che la preghiera
sacerdotale di Gesù, che sembra per eccellenza una meditazione teologica, acquisisce
in lui una dimensione del tutto nuova grazie alla sua interpretazione illuminata dalla
tradizione ebraica dello Yom Kippur. Un secondo nodo riguarda
il messianismo di Gesù. Certi esegeti moderni hanno fatto di Gesù un rivoluzionario,
un maestro di morale, un profeta escatologico, un rabbi idealista, un folle di Dio,
un messia in qualche modo a immagine del suo interprete influenzato dalle ideologie
dominanti. L’esposizione di Benedetto XVI su questo punto è diffusa e ben
radicata nella tradizione ebraica. Egli s’inserisce nella continuità di questa tradizione
che unisce il religioso e il politico, ma sottolineando a qual punto Gesù operi la
rottura tra i due domini. Gesù dichiara davanti al Sinedrio d’essere il Messia, ma
non senza chiarire la natura esclusivamente religiosa del proprio messianismo. È d’altra
parte per questo motivo che è condannato come blasfemo, poiché si è identificato con
«il Figlio dell’uomo che viene sulle nubi del cielo». Il papa espone con forza e chiarezza
le dimensioni regale e sacerdotale di questo messianismo, il cui senso è quello d’instaurare
il culto nuovo, l’adorazione in Spirito e in Verità, che coinvolge l’intera esistenza,
personale e comunitaria, come un’offerta d’amore per la glorificazione di Dio nella
carne.
Un terzo nodo da sciogliere riguarda il senso della redenzione
e il posto che vi deve o meno occupare l’espiazione dei peccati. Il papa affronta
le obiezioni moderne a questa dottrina tradizionale. Un Dio che esige una espiazione
infinita non è forse un Dio crudele la cui immagine è incompatibile con la nostra
concezione d’un Dio misericordioso? Come conciliare le nostre moderne mentalità sensibili
all’autonomia delle persone con l’idea di un’espiazione vicaria da parte di Cristo?
Questi nodi sono particolarmente difficili da sciogliere.
L’autore riprende
queste domande più volte, a diversi livelli, e mostra come la misericordia e la giustizia
vadano di pari passo nel quadro dell’Alleanza voluta da Dio. Un Dio che perdonasse
tutto senza preoccuparsi della risposta che deve dare la sua creatura avrebbe preso
sul serio l’Alleanza e soprattutto l’orribile male che avvelena la storia del mondo?
Quando si guardano da vicino i testi del Nuovo Testamento, domanda l’autore, non è
Dio a prendere su se stesso, nel suo Figlio crocifisso, l’esigenza d’una riparazione
e d’una risposta d’amore autentico? «Dio stesso ‘beve il calice’ di tutto ciò che
è terribile e ristabilisce così il diritto mediante la grandezza del suo amore che,
attraverso la sofferenza, trasforma il buio» (258-259).
Tali questioni
sono poste e risolte in un senso che invita alla riflessione ed in primo luogo alla
conversione. Non si può infatti veder chiaro in tali questioni ultime rimanendo neutrali
o a distanza. Occorre investirvi la propria libertà per scoprire il senso profondo
dell’Alleanza che giustamente impegna la libertà d’ogni persona. La conclusione del
Santo Padre è perentoria: «Il mistero dell’espiazione non dev’essere sacrificato a
nessun razionalismo saccente» (267).
Un quarto nodo concerne il Sacerdozio
di Cristo. Secondo le categorie ecclesiali del giorno d’oggi, Gesù era un laico investito
d’una vocazione profetica. Non apparteneva all’aristocrazia sacerdotale del Tempio
e viveva al margine di questa fondamentale istituzione del popolo d’Israele. Questo
fatto ha indotto molti interpreti a considerare la figura di Gesù come del tutto estranea
e senza alcun rapporto con il sacerdozio. Benedetto XVI corregge quest’interpretazio¬ne
appoggiandosi saldamente sull’Epistola agli Ebrei che parla diffusamente del Sacerdozio
di Cristo, e la cui dottrina ben si armonizza con la teologia di san Giovanni e di
san Paolo. Il Papa risponde ampiamente alle obiezioni storiche
e critiche mostrando la coerenza del sacerdozio nuovo di Gesù con il culto nuovo ch’egli
è venuto a stabilire sulla terra in obbedienza alla volontà del Padre. Il commento
della preghiera sacerdotale di Gesù è d’una grande profondità e conduce il lettore
a pascoli che non aveva immaginato. L’istituzione dell’Eucaristia appare in questo
contesto d’una bellezza luminosa che si ripercuote sulla vita della Chiesa come suo
fondamento e sua sorgente perenne di pace e di gioia. L’autore si attiene strettamente
alle più approfondite analisi storiche ma dipana egli stesso delle aporie come solo
un’esegesi teologica può farlo. Si giunge al termine del capitolo sull’Ultima Cena
non senza emozione e restandone ammirati.
Un ultimo nodo da me considerato
riguarda infine la risurrezione, la sua dimensione storica ed escatologica, il suo
rapporto alla corporeità e alla Chiesa. Il Santo Padre comincia senza giri di parole:
« La fede cristiana sta o cade con la verità della testimonianza secondo cui Cristo
è risorto dai morti » (269).
Il papa insorge contro le elucubrazioni
esegetiche che dichiarano compatibili l’annuncio della risurrezione di Cristo e la
permanenza del suo cadavere nel sepolcro. Egli esclude queste assurde teorie osservando
che il sepolcro vuoto, anche se non è una prova della risurrezione, di cui nessuno
è stato diretto testimone, resta un segno, un presupposto, una traccia lasciata nella
storia da un evento trascendente. «Solo un avvenimento reale d’una qualità radicalmente
nuova era in grado di rendere possibile l’annuncio apostolico, che non è spiegabile
con speculazioni o esperienze interiori, mistiche» (305).
Secondo lui,
la risurrezione di Gesù introduce una sorta di «mutazione decisiva», un «salto di
qualità» che inaugura «una nuova possibilità d’essere uomo». La paradossale esperienza
delle apparizioni rivela che in questa nuova dimensione dell’essere «egli non è legato
alle leggi della corporeità, alle leggi dello spazio e del tempo». Gesù vive in pienezza,
in un nuovo rapporto con la corporeità reale, ma è libero nei confronti dei vincoli
corporei quali noi li conosciamo.
L’importanza storica della risurrezione
si manifesta nella testimonianza delle prime comunità che hanno dato vita alla tradizione
della domenica come segno identificativo d’appartenenza al Signore. «Per me, dice
il Santo Padre la celebrazione del Giorno del Signore, che fin dall’inizio distingue
la comunità cristiana, è una delle prove più forti del fatto che in quel giorno è
successa una cosa straordinaria – la scoperta del sepolcro vuoto e l’incontro con
il Signore risorto» (288). Nel capitolo sull’Ultima Cena, il papa affermava:
«Con l’Eucaristia, la Chiesa stessa è stata istituita». Qui aggiunge un’osservazione
di grande portata teologica e pastorale: «Il racconto della risurrezione diviene per
se stesso ecclesiologia: l’incontro con il Signore risorto è missione e dà alla Chiesa
nascente la sua forma» (289). Ogni volta che noi partecipiamo all’Eucaristia domenicale
andiamo all’incontro con il Risorto che torna verso di noi, nella speranza che noi
rendiamo così testimonianza ch’Egli è vivente e ch’Egli ci fa vivere. Non c’è in tutto
questo di che rifondare il senso della messa domenicale e della missione?
INVITO
AL DIALOGO Dopo aver citato questi nodi senza che mi sia possibile estendermi
in modo adeguato sulla loro soluzione, mi preme concludere questa sommaria presentazione
facendo un poco più spazio al significato di questa grande opera su Gesù di Nazareth.
È
evidente come mediante quest’opera il successore di Pietro si dedichi al suo ministero
specifico che è di confermare i suoi fratelli nella fede. Ciò che qui colpisce in
sommo grado, è il modo con cui lo fa, in dialogo con gli esperti in campo esegetico,
ed in vista di alimentare e fortificare la relazione personale dei discepoli con il
loro Maestro e Amico, oggi. Una tal esegesi, teologica quanto al metodo, ma che include
la dimensione storica, si riallaccia effettivamente al modo di interpretare dei Padri
della Chiesa, senza tuttavia che l’interpretazione s’allontani dal senso letterale
e dalla storia concreta per evadere in artificiose allegorie. Grazie
all’esempio che dà ed ai risultati che ottiene, questo libro eserciterà una mediazione
tra l’esegesi contemporanea e l’esegesi patristica, da un lato, come anche nel necessario
dialogo tra esegeti, teologi e pastori, da un altro. In quest’ope¬ra vedo un grande
invito al dialogo su ciò che è essenziale del cristianesimo, in un mondo in cerca
di punti di riferimento, in cui le differenti tradizioni religiose faticano a trasmettere
alle nuove generazioni l’eredità della saggezza religiosa dell’umanità.
Dialogo
dunque all’interno della Chiesa, dialogo con le altre confessioni cristiane, dialogo
con gli Ebrei il cui coinvolgimento storico in quanto popolo nella condanna a morte
di Gesù viene una volta di più escluso. Dialogo infine con altre tradizioni religiose
sul senso di Dio e dell’uomo che emana dalla figura di Gesù, così propizia alla pace
e all’unità del genere umano. Al termine d’una prima lettura, avendo maggiormente
gustato la Verità di cui con umiltà e passione è testimone l’autore, sento il bisogno
di dar seguito a questo incontro di Gesù di Nazareth sia con l’invitare altri a leggerlo
che riprendendone la lettura una seconda volta come meditazione del tempo liturgico
di Quaresima e di Pasqua. Credo che la Chiesa debba rendere grazie a Dio per questo
libro storico, per quest’opera cerniera tra due epoche, che inaugura una nuova era
dell’esegesi teologica. Questo libro avrà un effetto liberatorio per stimolare l’amore
della Sacra Scrittura, per incoraggiare la lectio divina e per aiutare i preti a predicare
la Parola di Dio.
Alla fine di questo rapido volo su un’opera che avvicina
il lettore al vero volto di Dio in Gesù Cristo, non mi rimane che dire: Grazie, Santo
Padre! Consentitemi tuttavia di aggiungere ancora un’ultima parola, una domanda, poiché
un simile servizio reso alla Chiesa e al mondo nelle circostanze che si conoscono
e con i condizionamenti che si possono intuire, merita più d’una parola o d’un gesto
di gratitudine. Il Santo Padre tiene la mano di Gesù sulle onde burrascose e ci tende
l’altra mano perché insieme noi non facciamo che una cosa sola con Lui. Chi afferrerà
questa mano tesa che ci trasmette le parole della Vita eterna?