Giappone: oltre 1400 vittime. 10mila dispersi in una città portuale. Centrale nucleare
a rischio. Il dolore del Papa
All’indomani del terremoto e del conseguente tsunami che ha colpito ieri mattina il
Giappone, si aggrava di ora in ora il bilancio delle vittime. Secondo la tv pubblica
giapponese Nhk mancano all'appello 10.000 persone nel porto di Minamisanriku sulla
costa orientale nella prefettura di Myagi. Nel resto del Paese sono almeno 1400 le
vittime, tra morti e dispersi. Benedetto XVI, da parte sua, ha espresso il proprio
profondo dolore per le “tragiche conseguenze” del sisma e dello tsunami che hanno
investito la costa nordorientale del Paese. Nel telegramma a firma del cardinale segretario
di Stato Tarcisio Bertone e inviato al presidente della Conferenza episcopale giapponese,
Leo Jun Ikenaga, il Papa manifesta la sua vicinanza alla popolazione colpita dal disastro
e prega per quanti hanno perso la vita. A destare grande preoccupazione oggi è soprattutto
l’allarme nucleare. Il sistema di raffreddamento di un reattore, in particolare, è
andato in panne. Il governo, comunque, ridimensiona l’emergenza dovuta a questo guasto,
ma non si può escludere l’ipotesi di fughe radioattive. Sulle centrali nucleari giapponesi
si sofferma il prof. Giuseppe Zollino, docente di “Impianti Nucleari a fissione
e fusione” presso la Facoltà di Ingegneria di Padova, intervistato da Amedeo Lomonaco:
R. – Sono
centrali di seconda generazione, cioè centrali costruite sostanzialmente negli anni
Settanta. Producono costantemente, ogni anno, una grande quantità di energia elettrica.
Il Giappone produce più del 30 per cento della propria elettricità da fonte nucleare.
Nonostante il Giappone sia l’unico Paese che abbia sperimentato sulla propria pelle
la bomba atomica, tuttavia considera il nucleare per uso civile un’opzione importante
e il numero di centrali nel Paese è molto alto.
D. – Cosa è successo
nel caso della centrale in cui si è verificato il guasto al sistema di raffreddamento
del reattore?
R. – In occasione del sisma, i sistemi di sicurezza rilevano
le scosse prima ancora che il sisma diventi devastante. La procedura di sicurezza
prevede che vengano inserite, in maniera automatica, delle barre che intercettano
i neutroni e quindi il reattore si spegne.
D. – Se il reattore si spegne,
perché rimane caldo e perché bisogna continuare a raffreddarlo?
R. –
Perché dentro gli elementi di combustibile ci sono i prodotti di fissione dell’attività
precedente allo spegnimento che continuano a decadere. La potenza prodotta, però,
è ‘qualche percento' della potenza nominale dell’impianto. Ciò che è successo, almeno
a leggere i rapporti, è che quando la scossa ha raggiunto il livello devastante che
ha prodotto disastri in moltissime infrastrutture, inclusa la rete elettrica, è mancata
l’elettricità, su quell’impianto e anche su altri. Quindi le pompe che avrebbero dovuto
far circolare quell’acqua di raffreddamento per asportare quel poco di calore residuo,
si sono bloccate e purtroppo il gruppo elettrogeno non è partito con prontezza. Adesso
il raffreddamento è in corso e si stanno facendo le ispezioni per vedere quali siano
stati i danni prodotti dal ritardo. E se c’è stato, in quell’intervallo di assenza
di raffreddamento, un surriscaldamento delle guaine di questi elementi di combustibile,
può esserci stato un rilascio di materiale fissile.
D. – Quanto accaduto
in Giappone dimostra che la costruzione di eventuali centrali nucleari non può prescindere
dalla scelta di zone sicure, idonee…
R. – In un Paese che abbia zone
sismiche si evita di costruire le centrali nelle zone sismiche. In Giappone, purtroppo,
il territorio è estremamente sismico e praticamente non esistono aree stabili e, comunque,
non ce ne sono in zone di interesse per la costruzione di una centrale. (gf)
Gli
esperti concordano sul fatto che in qualsiasi altra parte del mondo un sisma del genere,
di magnitudo 8,9 gradi della scala Richter, avrebbe avuto conseguenze devastanti.
Ma terremoti di questa potenza possono essere previsti? Francesca Sabatinelli
lo ha chiesto ad Antonio Piersanti, direttore del Dipartimento di sismologia
dell’Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia:
R. - Nessuno
al mondo è ancora in grado di prevedere i terremoti. Certo, tutta la comunità scientifica
internazionale, sapeva che quell’area era un’area ad altissimo rischio di terremoto,
e quindi, sapeva che prima o poi sarebbe arrivato di questa grandezza, però non sapevamo
quando.
D. – Il Giappone da sempre è un Paese preparato, probabilmente
grazie a questa prevenzione il bilancio delle vittime sarà sicuramente ridotto rispetto
a quello che poteva essere in un’altra parte del mondo?
R. – Certamente
il bilancio - purtroppo lo vediamo in queste ore - è molto pesante e probabilmente
si appesantirà col tempo, però ricordiamoci che questo non è stato solo un terremoto,
ma ne è seguito un devastante maremoto. Noi ci ricordiamo tutti che il grande maremoto
della fine del 2004 a Sumatra, cioè una zona meno preparata a questo tipo di eventi,
e che ha fatto centinaia di migliaia di vittime; quindi, purtroppo dobbiamo fare i
conti col fatto che quando la natura si scatena in questa maniera, l’effetto è sempre
catastrofico.
D. – Questo sisma in Giappone ha spostato l’asse della
terra, voi avete parlato di 10 centimetri.. Cosa comporterà questo?
R.
– Non ci sono conseguenze pratiche per spostamenti di questa entità dell’asse terrestre.
Il dato è importante perché da questo tipo di ricerche noi siamo in grado di capire
meglio come funziona intimamente il sistema terra e quindi di capire anche poi meglio,
fenomeni come i terremoti, come i cambiamenti climatici.
D. – Questo
violento sisma può essere il preludio ad altri terremoti, in altre zone del pianeta?
R.
– Se lei intende che questo terremoto può provocare altri terremoti in altre zone
del pianeta, no!(ma)
Nell'area del Pacifico non ci sono stati i danni temuti,
ma si è registrato solo un diffuso innalzamento del livello del mare. A 24 ore di
distanza dal terremoto e dallo tsunami che ha devastato il Giappone, rientra l’allarme
maremoto. Lo stato d’allerta per il pericolo di onde anomale era stato dichiarato
nelle Filippine, a Taiwan, in Indonesia e in molte isole del Pacifico, ma anche in
Russia, alle Hawaii, in California, Messico e sulle coste dell’America del sud.