Concerto per il bicentenario di Liszt all'Accademia di Santa Cecilia a Roma
Questa sera il pianista Michele Campanella ritorna all’Accademia di Santa Cecilia
di Roma per un nuovo concerto lisztiano, ulteriore omaggio al compositore ungherese
nell’anno in cui si celebra il bicentenario della nascita. Eseguirà ancora una volta
un programma raro e di grande interesse musicale, cui partecipa anche il Coro dell’Accademia
di Santa Cecilia, con l’esecuzione di un capolavoro assoluto di musica sacra, la “Via
Crucis, per Coro e solisti con l'accompagnamento del pianoforte”. Il servizio di Luca
Pellegrini:
Cosa resta
dell’eredità di Liszt a due secoli dalla nascita? È questa la domanda che si pone
il pianista Michele Campanella, considerato internazionalmente
uno dei maggiori virtuosi e interpreti lisztiani. L’artista festeggia il compositore
ungherese con una serie di concerti come solista, direttore d’orchestra e, infine,
autore di un libro - il primo della sua vita – “Il mio Liszt. Considerazioni di un
interprete”, un vero atto di omaggio al compositore da lui amato e studiato tutta
una vita. Maestro, quale secondo lei il significato di questo bicentenario?
R.
– Penso che questo bicentenario sia di grande importanza, nella misura in cui l’immagine
di Liszt debba ancora essere formata. Di Liszt noi conosciamo molto bene la storia
di virtuoso, le sue capacità insuperabili di pianista, ma conosciamo relativamente
poco la sua attività di compositore: è su quest’attività che adesso si concentra la
nostra attenzione e una buona parte del mio lavoro. Purtroppo di Liszt si ha un’impressione
circense, si ha un’immagine di un compositore che faccia musica estremamente superficiale;
invece, una parte di questo talento strepitoso che ha avuto questo uomo è stata dedicata
- soprattutto nella vecchiaia - alla musica seria.
D. - Il rapporto
tra Liszt e la musica sacra è un capitolo fondamentale …
R. – Questo
aspetto della sua attività è legato in particolar modo alla Chiesa cattolica e a Roma.
Ha composto 1400 opere, ma se dobbiamo tirarne fuori una, si chiama “Christus”. E’
un oratorio imponente, gigantesco, è un omaggio, è una dedica alla Chiesa cattolica
e anche una prospettiva di riforma della Chiesa cattolica nella sua musica. Liszt
aveva ambizioni importanti: vedeva che la musica nelle chiese era troppo legata al
melodramma italiano, c’era una decadenza del gusto, e lui ha proposto una trasformazione
che, naturalmente, partiva dalle sue idee estetiche, che avevano l’ambizione di legare
la modernità del suo linguaggio alla tradizione del canto gregoriano di Palestrina.
Quindi, è un’idea di una persona che conosceva la storia della musica e voleva proseguire
una tradizione rinnovandola.
D. - La fede illumina tutta la vita di
Liszt …
R. – Quello che trovo straordinario nella vita di Liszt è il
suo percorso spirituale, che è un percorso non contraddittorio. Liszt è stato religioso
sin da bambino, ha avuto addirittura l’intenzione di farsi prete da ragazzo e poi,
travolto dal suo talento, si è distratto da questa strada. Poi, si è riconcentrato
su quella strada spirituale e l’ha trovata pienamente. Quindi, il filone conduttore
della sua vita di uomo è stata la fede, precisamente diretta alla figura di Cristo.
D.
- Che cosa vorrebbe augurarsi in questo anno bicentenario?
R. – Tutto
il lavoro che sto facendo, nelle varie forme nelle quali si esprime, ha una piccola
speranza davanti a sé: è quella di cambiare un pochino l’immagine di Liszt, far comprendere
al pubblico e agli interpreti, che hanno le loro responsabilità - o di omissioni o
di deformazione - che Liszt come uomo e come compositore è tutto da recuperare. Aggiungo
un’altra cosa: vorrei che la Chiesa prendesse atto di questa fedeltà, facesse un omaggio
postumo alla figura di Liszt ricordandolo come un uomo fedele e un compositore che
ha dedicato molte energie alla musica spirituale, cosa che non è proprio scontata
per tanti altri. (ma)