Scheda sintetica del “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI
Il “Gesù di Nazaret” di Joseph Ratzinger-Benedetto XVI vuole illustrare figura e messaggio
del Cristo dall’ingresso in Gerusalemme fino alla Risurrezione. Una sintesi del libro
in questo servizio di Sergio Centofanti:
(Premessa)
Il Papa non ha voluto scrivere una “Vita di Gesù”, ma “illustrare figura e messaggio
di Gesù” per trovare il Gesù reale. Ha “cercato di sviluppare uno sguardo sul Gesù
dei Vangeli e un ascolto che potesse diventare un incontro … guidato dall’ermeneutica
della fede, ma al contempo tenendo conto responsabilmente della ragione storica” (congiungendo
“ermeneutica della fede” e “ermeneutica della storia”) “in un modo che possa essere
utile a tutti i lettori che vogliono incontrare Gesù e credergli”. Spera di poter
trattare anche l’infanzia di Gesù, come promesso, in un “piccolo fascicolo”, se per
questo gli “sarà ancora data la forza”.
(Cap. 1) Il Papa inizia il
libro parlando dell’ingresso di Gesù in Gerusalemme, accolto
dalla folla festante, seduto su un’asina, come “un re della pace e un re della semplicità,
un re dei poveri”. Non è un rivoluzionario politico, “non si fonda sulla violenza;
non avvia un’insurrezione militare contro Roma. Il suo potere è di carattere diverso:
è nella povertà di Dio, nella pace di Dio che Egli individua l’unico potere salvifico”.
“La violenza non instaura il regno di Dio. E’, al contrario, uno strumento preferito
dall’anticristo … Non serve all’umanesimo, bensì alla disumanità”. “Gesù non viene
come distruttore; non viene con la spada del rivoluzionario. Viene col dono della
guarigione. Si dedica a coloro che a causa della loro infermità vengono spinti ai
margini della propria vita ed ai margini della società. Egli mostra Dio come Colui
che ama, e il suo potere come il potere dell’amore”. In particolare viene accolto
con gioia dai piccoli, “da coloro che sono in grado di vedere con cuore puro e semplice
e che sono aperti alla sua bontà”. Il giorno dopo l’ingresso a Gerusalemme Gesù caccia
i mercanti dal tempio: combatte la “connessione tra culto e affari”, un tempio “diventato
un covo di ladri”.
(Cap. 2) Dopo l’ingresso a Gerusalemme si inserisce
“il grande discorso escatologico di Gesù con i temi centrali
della distruzione del tempio, della distruzione di Gerusalemme, del Giudizio finale
e della fine del mondo”. Gesù tante volte ha voluto raccogliere i figli di Gerusalemme
“come una chioccia raccoglie i suoi pulcini sotto le ali”: ma non hanno voluto. E’
il “libero arbitrio dei pulcini”. I Romani distruggeranno il tempio e faranno grande
strage degli ebrei. “Dio lascia una misura grande – stragrande secondo la nostra impressione
– di libertà al male e ai cattivi; ciononostante la storia non gli sfugge dalle mani”.
Per il giudaismo, “la distruzione del tempio dovette essere uno shock tremendo”: con
la fine dei sacrifici espiatori niente più poteva “far da contrappeso” al male crescente
nel mondo. Ma con Gesù “è superata l’epoca del tempio di pietra”. “E’ iniziato qualcosa
di nuovo”. “Gesù stesso ha preso il posto del tempio, è Lui il nuovo tempio”, “è la
presenza del Dio vivente. In Lui Dio e uomo, Dio e il mondo sono in contatto”. Nel
suo amore si scioglie tutto il peccato del mondo. Gesù, nel discorso escatologico,
parla del tempo dei pagani, situato tra la distruzione di Gerusalemme e la fine del
mondo: durante questo tempo “il Vangelo deve essere portato in tutto il mondo e a
tutti gli uomini: solo dopo, la storia può raggiungere la sua meta”. Allora finirà
anche l’ostinazione di una parte di Israele e “tutto Israele sarà salvato”. Dio vuole
salvare tutti. Gesù dice: “Il cielo e la terra passeranno, ma le mie parole non passeranno”.
“La parola, quasi un nulla a confronto col potere enorme dell’immenso cosmo materiale
… è più reale e più durevole che l’intero mondo materiale. E’ la realtà vera ed affidabile
… Gli elementi cosmici passano; la parola di Gesù è il vero ‘firmamento’, sotto il
quale l’uomo può stare e restare”.
(Cap. 3) Con la lavanda
dei piedi Gesù si spoglia del suo splendore divino per purificarci
dalla nostra sporcizia e “renderci capaci di partecipare al banchetto nuziale di Dio”.
Attua “una svolta radicale” nella storia della religione: davanti a Dio “non sono
azioni rituali che purificano”, ma è “la fede che purifica il cuore”. Secondo l’esegesi
liberale “Gesù avrebbe sostituito la concezione rituale della purità con quella morale”,
ma “allora il cristianesimo sarebbe essenzialmente una morale”, ridotto all’ “estremo
sforzo morale” di amare gli altri fino a sacrificare la propria vita. “Ma con ciò
non si rende giustizia alla novità del Nuovo Testamento”. La novità del Vangelo “non
può consistere nell’elevatezza della prestazione morale”. “La nuova Legge è la grazia
dello Spirito Santo, non una nuova norma, ma l’interiorità nuova donata dallo stesso
Spirito di Dio”. Solo se ci lasciamo ripetutamente lavare, ‘rendere puri’ dal Signore
stesso, possiamo imparare a fare insieme con Lui ciò che Egli ha fatto”. “Dobbiamo
lasciarci immergere nella misericordia del Signore; allora anche il nostro cuore ‘cuore’
troverà la via giusta”. Il comandamento nuovo dell’amore “non è semplicemente un’esigenza
nuova e superiore: esso è legato alla novità di Gesù Cristo – al crescente essere
immersi in Lui”. “La purezza è un dono”, come l’essere cristiani è un dono, che poi
“si sviluppa nella dinamica del vivere ed agire insieme con questo dono”. Pietro
e Giuda sono due modi diversi di reagire a questo dono. Entrambi lo accolgono, ma
poi uno rinnega, l’altro tradisce. Pietro, pentitosi, crede nel perdono. Anche Giuda
si pente, ma non “riesce più a credere ad un perdono. Il suo pentimento diventa disperazione
… vede ormai solo il proprio buio, è distruttivo e non è un vero pentimento”. “In
Giuda incontriamo il pericolo che pervade tutti i tempi”, il pericolo cioè che anche
chi è stato una volta illuminato, “attraverso una serie di forme apparentemente minute
di infedeltà, decada spiritualmente e così alla fine, uscendo dalla luce, entri nella
notte e non sia più capace di conversione”. Inoltre, in Giuda che lo tradisce, Gesù
sperimenta “l’incomprensione, l’infedeltà fino all’interno del cerchio più intimo
degli amici”. “La rottura dell’amicizia giunge fin nella comunità sacramentale della
Chiesa, dove sempre di nuovo ci sono persone che prendono ‘il suo pane’ e lo tradiscono”.
Come diceva Pascal “la sofferenza di Gesù, la sua agonia, perdura sino alla fine del
mondo”. “Gesù in quell’ora si è caricato del tradimento di tutti i tempi, della sofferenza
che viene in ogni tempo dall’essere traditi, sopportando così fino in fondo le miserie
della storia”.
(Cap. 4) La preghiera sacerdotaledi Gesù “è comprensibile solo sullo sfondo della liturgia della festa giudaica
dell’Espiazione (Yom kippùr)”. L’innalzamento di Gesù sulla Croce costituisce “il
giorno dell’Espiazione del mondo, in cui l’intera storia del mondo, contro tutta la
colpa umana e tutte le sue distruzioni, trova il suo senso”: quello di riconciliarsi
con Dio. Il non essere riconciliati con Dio, “con il Dio silenzioso, misterioso, apparentemente
assente e tuttavia onnipresente, costituisce il problema essenziale di tutta la storia
del mondo”. La missione di Gesù è universale: “non riguarda soltanto un circolo limitato
di eletti; il suo obiettivo è il cosmo – il mondo nella sua totalità. Mediante i discepoli
e la loro missione il mondo intero nel suo insieme deve essere strappato dalla sua
alienazione, deve ritrovare l’unità con Dio”. La sua missione è che “l’uomo, nel diventare
una cosa sola con Dio, torni ad essere totalmente se stesso. Questa trasformazione,
però, ha il prezzo della croce e per i testimoni di Cristo quello della disponibilità
al martirio”.
(Cap. 5) Il Papa affronta la questione della diversa datazione
dell’Ultima Cena nei Sinottici e in Giovanni. In proposito
parla di “groviglio di ipotesi tra loro contrastanti”. Sottolinea che “una ricerca
storica può condurre sempre solo fino ad un alto grado di probabilità, mai ad una
certezza ultima … Se la certezza della fede si basasse esclusivamente su un accertamento
storico-scientifico, essa rimarrebbe sempre rivedibile”. “L’ultima certezza, sulla
quale fondiamo l’intera nostra esistenza, ci è donata dalla fede – dall’umile credere
insieme con la Chiesa di tutti i secoli, guidata dallo Spirito Santo”. I Sinottici
parlano di una cena pasquale. Il giorno dopo, festa della Pasqua, Gesù viene processato
e crocifisso. In Giovanni, l’Ultima Cena avviene nell'antivigilia della Pasqua e Gesù
viene crocifisso non nel giorno della festa, ma nella sua vigilia. “Ciò significa
che Gesù è morto nell’ora in cui nel tempio venivano immolati gli agnelli pasquali”:
Gesù è “il vero Agnello”. Il Papa ritiene la cronologia giovannea più probabile. Cosa
è stata allora – si chiede il Papa – l’ultima cena? Con Meier, spiega che Gesù, nella
consapevolezza che non avrebbe più potuto mangiare la Pasqua invitò i discepoli “ad
un’ultima cena di carattere molto particolare, una cena che non apparteneva a nessun
determinato rito giudaico, ma era il suo congedo, in cui Egli dava qualcosa di nuovo,
donava se stesso come il vero Agnello, istituendo così la sua Pasqua”. Il Papa affronta
quindi il concetto di espiazione che per certa teologia moderna sarebbe inconcepibile
e in contrasto “con un’immagine pura di Dio”. “Dio – afferma – non può semplicemente
ignorare tutta la disobbedienza degli uomini, tutto il male della storia, non può
trattarlo come cosa irrilevante ed insignificante … L’ingiustizia, il male … deve
essere smaltito, vinto. Solo questa è la vera misericordia. E che ora, poiché gli
uomini non ne sono in grado, lo faccia Dio stesso – questa è la bontà ‘incondizionata’
di Dio, una bontà che non può mai essere in contraddizione con la verità e la connessa
giustizia”. “A tutta la marea sporca del male si oppone l’obbedienza del Figlio, nel
quale Dio stesso ha sofferto e la cui obbedienza pertanto è sempre infinitamente più
grande della massa crescente del male”. Il Papa sottolinea quindi che “ciò che la
Chiesa celebra nella Messa non è l’ultima cena, ma ciò che il Signore, durante l’ultima
cena, ha istituito ed affidato alla Chiesa: la memoria della sua morte sacrificale”.
E poiché il dono di Gesù è radicato nella risurrezione, la celebrazione del Sacramento
doveva svolgersi nel Giorno del Signore, la domenica. Già nel periodo degli apostoli
“l’Eucaristia veniva celebrata come incontro con il Risorto”. “Un arcaismo, che volesse
tornare a prima della risurrezione e della sua dinamica ed imitare soltanto l’ultima
cena, non corrisponderebbe affatto alla natura del dono che il Signore ha lasciato
ai discepoli”. (Cap. 6) Nel Getsèmani
Gesù “ha sperimentato l’ultima solitudine, tutta la tribolazione dell’essere uomo.
Qui l’abisso del peccato e di tutto il male gli è penetrato nel più profondo dell’anima.
Qui è stato toccato dallo sconvolgimento della morte imminente. Qui il traditore lo
ha baciato. Qui tutti i discepoli lo hanno lasciato. Qui Egli ha lottato anche per
me”. Al contrario di quanto accaduto nel giardino del Paradiso terrestre, in questo
giardino degli ulivi “Gesù ha accettato fino in fondo la volontà del Padre, l’ha fatta
sua e così ha capovolto la storia”. Pietro è contrario alla croce. “Chi potrebbe negare
che il suo atteggiamento rispecchi la tentazione continua dei cristiani, anzi anche
della Chiesa: senza la croce arrivare al successo”. Gesù chiede ai discepoli di vegliare,
ma invano. “La sonnolenza dei discepoli rimane lungo i secoli l’occasione favorevole
per il potere del male. Questa sonnolenza è un intorpidimento dell’anima, che non
si lascia scuotere dal potere del male nel mondo, da tutta l’ingiustizia e da tutta
la sofferenza che devastano la terra … Ma questa insensibilità …conferisce al maligno
un potere nel mondo”. Un’immane angoscia assale Gesù nella consapevolezza di prendere
su di sé tutto il male del mondo perché “in Lui sia privato di potere e superato”.
E’ un’angoscia radicale: “è lo scontro stesso tra luce e tenebre, tra vita e morte
– il vero dramma della scelta che caratterizza la storia umana”. Gesù eleva la sua
supplica al Padre, a Colui che può salvarlo da morte e “per il suo pieno abbandono
a lui venne esaudito”. Infatti “sulla croce, Gesù diventa fonte di vita per sé e per
tutti. Sulla croce, la morte viene vinta”.
(Cap. 7) Parlando delprocesso a Gesù il Papa sottolinea che a volere la
sua morte non è stato “il popolo” degli Ebrei come tale, anche perché Gesù e gli stessi
discepoli erano ebrei. Ad accusarlo era l’aristocrazia del tempio, ma con eccezioni
(vedi Nicodemo), e - nel contesto dell’amnistia proposta da Pilato – la massa dei
sostenitori di Barabba. “Se secondo Matteo – scrive il Papa – ‘tutto il popolo’ avrebbe
detto: ‘Il suo sangue ricada su di noi e sui nostri figli’, il cristiano ricorderà
che il sangue di Gesù … non chiede vendetta e punizione, ma è riconciliazione. Non
viene versato contro qualcuno, ma è sangue versato per molti, per tutti …non è maledizione,
ma redenzione, salvezza”. Durante il processo Pilato chiede: “Che cos’è la verità?”.
“La non-redenzione del mondo consiste … nella non-riconoscibilità della verità, una
situazione che poi conduce inevitabilmente al dominio del pragmatismo, e in questo
modo fa sì che il potere dei più forti diventi il dio di questo mondo”. “Non è forse
vero che le grandi dittature sono vissute in virtù della menzogna ideologica e che
soltanto la verità potè portare la liberazione?”. Verità e menzogna “sono continuamente
mescolate in modo quasi inestricabile. La verità in tutta la sua grandezza e purezza
non appare”. E come Pilato, in molti oggi hanno accantonato la domanda sulla verità
come “irrisolvibile”. “Anche oggi, nella disputa politica come nella discussione circa
la formazione del diritto, per lo più si prova fastidio per essa. Ma senza la verità
l’uomo non coglie il senso della vita, lascia … il campo ai più forti”. La verità
“diventa riconoscibile in Gesù Cristo”. “La verità esternamente è impotente nel mondo;
come Cristo, secondo i criteri del mondo, è senza potere …Viene crocifisso. Ma proprio
così, nella totale mancanza di potere, egli è potente, e solo così la verità diviene
sempre nuovamente una potenza”. Nella passione di Gesù, “nella sua miseria si rispecchia
la disumanità del potere umano, che schiaccia l’impotente”. “ Da quando Gesù si è
lasciato percuotere, proprio i feriti e i percossi sono immagine del Dio che ha voluto
soffrire per noi. Così, nel mezzo della sua passione, Gesù è immagine di speranza:
Dio sta dalla parte dei sofferenti”.
(Cap. 8) La crocifissione
e la deposizione di Gesù nel sepolcro. “Nessuno … si era aspettato
una fine in croce del Messia”. “I fatti in un primo tempo incomprensibili hanno condotto
ad una nuova comprensione della Scrittura”. La prima parola di Gesù sulla croce è
la richiesta di perdono per i crocifissori, perché “non sanno quello che fanno”. Il
Papa sottolinea che questa richiesta del Signore “rimane una consolazione per tutti
i tempi e per tutti gli uomini”, anche se l’ignoranza rivela un’ottusità del cuore.
Nota poi che la combinazione di erudizione e ignoranza, conoscenza materiale e profonda
incomprensione, esiste in tutti i tempi. Si sofferma sul buon ladrone che “proprio
sulla croce ha capito che quest’uomo privo di potere è il vero re”. “Il buon ladrone
è diventato l’immagine della speranza – la certezza consolante che la misericordia
di Dio può raggiungerci anche nell’ultimo istante; la certezza, anzi, che dopo una
vita sbagliata, la preghiera che implora la sua bontà non è vana”. Dal costato trafitto
di Gesù escono sangue e acqua. Il Papa cita la Prima Lettera di Giovanni: Gesù è colui
che è venuto con acqua e sangue, non con l’acqua soltanto. Un riferimento a quanti
considerano “importante solo la parola, la dottrina, il messaggio di Gesù, ma non
la ‘carne’, il corpo vivente di Cristo, dissanguato sulla croce”, ovvero “un cristianesimo
del pensiero e delle idee” dal quale si toglie via “la realtà della carne: il sacrificio
e il Sacramento”. “Nella passione di Gesù, tutto lo sporco del mondo viene a contatto
con l’immensamente Puro …Se di solito la cosa impura mediante il contatto contagia
ed inquina la cosa pura, qui abbiamo il contrario … lo sporco del mondo viene realmente
assorbito, annullato, trasformato mediante il dolore dell’amore infinito”. Così il
Papa può affermare che “ il bene è sempre infinitamente più grande di tutta la massa
del male, per quanto essa sia terribile”. “Per questo, al centro del ministero apostolico
e dell’annuncio del Vangelo … deve stare l’ingresso nel mistero della croce”. “Nella
croce l’oscurità e l’illogicità del peccato s’incontrano con la santità di Dio nella
sua luminosità abbagliante per i nostri occhi e questo va al di là della nostra logica.
E tuttavia, nel messaggio del Nuovo Testamento e nel suo verificarsi nella vita dei
santi, il grande mistero è diventato del tutto luminoso. Il mistero dell’espiazione
non deve essere sacrificato a nessun razionalismo saccente”.
(Cap. 9)
La risurrezione di Gesù dalla morte. Senza fede nella
risurrezione – afferma il Papa – “la fede cristiana è morta”. “Solo se Gesù è risorto
è avvenuto qualcosa di veramente nuovo che cambia il mondo e la situazione dell’uomo”.
Non è stato il miracolo di un cadavere rianimato. “La risurrezione di Gesù è stata
l’evasione verso un genere di vita totalmente nuovo, verso una vita non più soggetta
alla legge del morire e del divenire, ma posta al di là di ciò – una vita che ha inaugurato
una nuova dimensione dell’essere uomini”. “La risurrezione di Gesù … è una sorta di
‘mutazione decisiva’ … un salto di qualità. Nella risurrezione di Gesù è stata raggiunta
una nuova possibilità di essere uomo, una possibilità che interessa tutti e apre un
futuro, un nuovo genere di futuro per gli uomini”. I discepoli, testimoni della risurrezione,
furono sopraffatti da una realtà che fino ad allora semplicemente non contemplavano.
E “con un coraggio assolutamente nuovo si presentarono davanti al mondo per testimoniare:
Cristo è veramente risorto”. Un’audacia impensabile per dei seguaci impauriti di un
Maestro crocifisso, senza un contatto reale con Gesù veramente risorto. Nella risurrezione
– scrive il Papa – “non può esserci alcun contrasto con ciò che costituisce un chiaro
dato scientifico. Nelle testimonianze sulla risurrezione, certo, si parla di qualcosa
che non rientra nel mondo della nostra esperienza. Si parla di qualcosa di nuovo …
Non si contesta la realtà esistente. Ci viene detto piuttosto: esiste un’ulteriore
dimensione rispetto a quelle che finora conosciamo. Ciò sta forse in contrasto con
la scienza?”. “Nell’intera storia di ciò che vive – afferma il Papa – gli inizi delle
novità sono piccoli, quasi invisibili – possono essere ignorati. Il Signore stesso
ha detto che il ‘regno dei cieli’, in questo mondo, è come un granello di senape,
il più piccolo di tutti i semi. Ma reca in sé le potenzialità infinite di Dio. La
risurrezione di Gesù, dal punto di vista della storia del mondo, è poco appariscente,
è il seme più piccolo della storia. Questo capovolgimento delle proporzioni fa parte
dei misteri di Dio. In fin dei conti, ciò che è grande, potente, è la cosa piccola.
E il seme piccolo è la cosa veramente grande”. La risurrezione “è un evento dentro
la storia che, tuttavia, infrange l’ambito della storia e va al di là di essa”. Con
Giuda Taddeo il Papa si chiede perché Gesù si sia manifestato solo a pochi e non si
sia opposto con tutta la sua potenza ai nemici che lo hanno crocifisso. “E’ proprio
del mistero di Dio agire in modo sommesso. Solo pian piano Egli costruisce nella grande
storia dell’umanità la sua storia … Di continuo Egli bussa sommessamente alle porte
dei nostri cuori e, se gli apriamo, lentamente ci rende capaci di ‘vedere’. E tuttavia
– non è forse proprio questo lo stile divino? Non sopraffare con la potenza esteriore,
ma dare libertà, donare e suscitare amore”.
(Prospettive) E’
salito al cielo – siede alla destra di Dio Padre e di nuovo verrà nella gloria.
La testimonianza dei discepoli di Gesù “si traduce essenzialmente in una missione:
devono annunciare al mondo che Gesù è il Vivente – la Vita stessa”. Luca, nel racconto
dell’ascensione “ci dice che i discepoli erano pieni di gioia dopo che il Signore
si era allontanato definitivamente da loro”. “Non si sentono abbandonati … Sono sicuri
che il Risorto … proprio ora è presente in mezzo a loro in una maniera nuova e potente”,
una presenza “che non si può più perdere”: ora è “sempre presente accanto a noi e
per noi”. “E’ presente accanto a tutti ed invocabile da parte di tutti – attraverso
tutta la storia – e in tutti i luoghi”. Eppure, spesso, i discepoli di Gesù continuano
ad aver paura, come gli apostoli sul Lago di Tiberiade durante una tempesta: “Anche
oggi la barca della Chiesa, col vento contrario della storia, naviga attraverso l’oceano
agitato del tempo. Spesso si ha l’impressione che debba affondare. Ma il Signore è
presente e viene nel momento opportuno … è questa la fiducia dei cristiani, la ragione
della nostra gioia”, nell’attesa che Gesù di nuovo verrà nella gloria. “La fede nel
ritorno di Cristo è il secondo pilastro della professione cristiana … Questo implica
la certezza nella speranza che Dio asciugherà ogni lacrima, non rimarrà niente che
sia privo di senso, ogni ingiustizia sarà superata e stabilita la giustizia. La vittoria
dell’amore sarà l’ultima parola della storia del mondo. Per il ‘tempo intermedio’
ai cristiani è richiesta … la vigilanza …Vigilanza significa soprattutto apertura
al bene, alla verità, a Dio, in mezzo a un mondo spesso inspiegabile e in mezzo al
potere del male”. “I cristiani invocano la venuta definitiva di Gesù e vedono al contempo
con gioia e gratitudine che Egli già ora anticipa questa sua venuta, già ora entra
in mezzo a noi … ‘Io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo’”.