Libia, tre jet di Gheddafi partiti da Tripoli. Il leader libico forse a bordo di uno
di essi
Sono forse ore decisive per il futuro della Libia: Muammar Gheddafi potrebbe aver
lasciato il Paese. L’aeroporto della capitale è stato chiuso al traffico internazionale
e tre jet privati sono partiti da Tripoli diretti al Cairo, ad Atene e a Vienna. Il
servizio di Amedeo Lomonaco:
In Libia,
si susseguono voci della fuga di Muammar Gheddafi del Paese. A supportare questa tesi
è stato il decollo dall’aeroporto di Tripoli, chiuso al traffico internazionale, di
tre jet privati. Uno di questi è già atterrato al Cairo. Dal velivolo è sceso un emissario
del colonnello, un generale dell’esercito, che ha portato anche un messaggio del raìs
al capo del Consiglio supremo delle forze armate egiziane. Fonti locali riferiscono
che oltre al generale sarebbe arrivato nella capitale egiziana anche un figlio del
colonnello. Si hanno invece meno informazioni sugli altri due velivoli, diretti rispettivamente
a Vienna e ad Atene. A bordo di uno dei due si sospetta possa esserci Muammar Gheddafi.
In particolare, l’ufficio del primo ministro greco, George Papandreou, ha reso noto
che ieri il premier ellenico è stato contattato telefonicamente da Gheddafi. In un’intervista
rilasciata ad un’emittente francese, il leader libico intanto è tornato ad accusare
i Paesi occidentali di condurre un “complotto colonialista” contro la Libia. Sull’altro
versante, l’Occidente – in particolare l’Unione Europea – deve ancora chiarire le
proprie mosse. A Strasburgo, l’Europarlamento voterà domani una risoluzione in cui
si chiede al capo della diplomazia europea, Catherine Ashton, di stabilire relazioni
con il Consiglio nazionale di transizione istituito dagli insorti a Bengasi e di avviare
il processo per il riconoscimento ufficiale di tale organismo. La Ashton ha però espresso
dei dubbi, sostenendo che un simile riconoscimento spetta al Consiglio europeo. E
riserve sono state formulate anche in relazione all’ipotesi del divieto di sorvolo,
di una no fly zone sulla Libia, come richiesto invece dall’Europarlamento.
Il Consiglio supremo di difesa italiano ha reso noto, inoltre, che l'Italia è pronta
a dare “il suo attivo contributo alla migliore definizione ed alla conseguente attuazione
delle decisioni attualmente all'esame delle Nazioni Unite, dell'Unione Europea e della
Nato”. Da segnalare, infine, che sono stati portati ieri sera in Italia da Tripoli
57 profughi eritrei, tra cui 27 minori. In Libia si trovavano tra due fuochi: erano
considerati dei mercenari dagli insorti e degli agitatori dai sostenitori del colonnello.
L’operazione è stata coordinata dall’ambasciata italiana a Tripoli, da don Mussie
Zerai dell'Agenzia Habeshia e dal vicario apostolico della capitale libica, mons.
Giovanni Innocenzo Martinelli. A Tripoli, sotto la protezione del presule, si trovano
ancora circa 2000 rifugiati eritrei.
E sull’ipotesi di una fuga del colonnello
Ghedafi dalla Libia e le ripercussioni internazionali che questa fuga potrebbe comportare,
Stefano Leszczynski ha intervistato Luigi Bonanate, docente di relazioni
internazionali presso l’Università statale di Torino:
R. – Una
notizia veramente molto sperata, percchè questo farebbe cessare la violenza all’interno
della Libia. Siamo ormai in una situazione di guerra civile, con un governo declinante,
un governo degli insorti e quindi la situazione più triste che si possa immaginare.
Comunque, non sarebbe una cosa facile, perché è chiaro che Gheddafi non può venire
in Europa perché sarebbe immediatamente arrestato. E se anche va da Chavez, la cosa
sarebbe piuttosto imbarazzante e lo sarebbe, tutto sommato, anche per l’America Latina.
D.
– In tutto questo contesto, abbiamo assistito alla lentezza della macchina delle Nazioni
Unite: come mai? E’ mancata un’azione incisiva da parte della comunità internazionale,
che l'Onu rappresenta...
R. – Una premessa: non dimentichiamo mai che
le Nazioni Unite sono ciò che i suoi Stati vogliono che essa sia Detto questo, non
c’è dubbio che la situazione sia tecnicamente anche molto difficile. Un intervento
massiccio - che pur per certi versi avrebbe potuto essere auspicabile, perché quanta
gente sarà morta inutilmente alla fine di questa vicenda - armato sarebbe stato assolutamente
inaccettabile. Non dimentichiamo poi, che se l’Onu è stata lenta, l’Unione Europea
lo è stata non di meno. Il nostro mondo attuale non ha ancora superato il livello
stato.
D. – Perché a questo punto, degli Stati singoli dovrebbero avere
interesse a valutare un’opzione militare per quanto riguarda un Paese come la Libia,
che sappiamo è ricchissima di petrolio?
R. – Ogni volta che l’Occidente
si muove in un Paese petrolifero si pensa che ci sia qualcosa sotto. Il caso libico
è ancora più clamoroso, perché la Libia, per la sua natura, per la sua storia, non
ha quasi nulla. Il territorio è deserto. Ma ha il petrolio. Questo ci deve comunque
spingere a dichiarare chiaro e forte che noi non andiamo lì a portar via il petrolio,
ma andiamo lì per aiutarli – se ci andremo – a sviluppare la democrazia. A questo
punto, dobbiamo fare un grande sforzo, non tanto economico, ma politico culturale
per aiutare questi Paesi e, prima di tutti, oggi, la Libia. (ma)