Sudan: oltre 60 morti negli scontri tra etnie rivali nella regione dell’Abyei
Potrebbero essere oltre 60 le vittime dei combattimenti nella regione contesa dell’Abyei,
in Sudan. Secondo un'organizzazione americana che si occupa di diritti umani, Enough
Project, sarebbero almeno 300 le case incendiate dalle milizie filogovernative. Sulla
situazione in questa particolare regione, Stefano Leszczynski ha intervistato
Enrico Casale, giornalista esperto di questioni africane della rivista dei
Gesuiti, ‘Popoli’:
R. - E’ una
regione per la quale era previsto, negli accordi di pace del 2005, che venisse indetto
un referendum per l’autodeterminazione: questo referendum non solo non è ancora stato
tenuto, ma non è neanche stata fissata la data della consultazione. E’ una regione
ricchissima di petrolio: ma oltre alla questione delle risorse petrolifere, si aggiungono
anche i problemi legati al rapporto tra le etnie di coltivatori e le etnie nomadi
di allevatori, legate al regime di Khartoum.
D. - Questa è una regione che
per il fatto di essere zona contesa potrebbe rischiare anche di compromettere gli
equilibri, che si sono finora raggiunti tra nord e sud?
R. - Certo può creare
dissidi tra nord e sud, perché gli allevatori - sostenuti da Khartoum - e gli agricoltori
- sostenuti dal Sud del Sudan - potrebbero scontrarsi nuovamente e potrebbero creare
ulteriori problemi nei rapporti diplomatici tra il neonato Stato del Sud del Sudan
e il Nord del Sudan.
D. - Tuttavia il referendum per la secessione del sud
non è, di per sé, una garanzia di pace nella regione…
R. - No, perché la creazione
del Sud del Sudan rappresenta certamente un fatto positivo, ma non ha certo risorto
tutti i problemi del Sud del Sudan, che è un Paese anzitutto in poverissimo; in secondo
luogo, senza infrastrutture; e, in terzo luogo, un Paese nel quale convivono etnie
diverse, che negli anni scorsi hanno ottenuto pochissimo spazio per esprimersi, anche
perché all’interno del Sud del Sudan era prevalsa un’etnia sulle altre. Questa egemonia
politico-culturale dell’etnia dinka, che è quella maggioritaria, non so quanto riuscirà
ancora a durare e ad affermarsi nel nuovo Stato che si è creato dopo l’indipendenza.
(mg)
Proteste mondo arabo Nuova giornata di manifestazioni in Algeria.
Nella capitale Algeri migliaia di guardie municipali hanno forzato i cordoni della
polizia, marciando verso l’Assemblea nazionale e chiedendo l’aumento dei salari. Sono
intanto giunte al nono giorno le manifestazioni antigovernative nel sultanato dell'Oman.
Alcuni dimostranti si sono ritrovati davanti al Consiglio consultivo di Mascate: al
centro delle proteste la richiesta di dimissioni di alcuni ministri per presunta corruzione.
Ventiduesimo giorno di protesta invece in Bahrein, dove decine di attivisti si sono
radunate davanti all'ambasciata statunitense a Manàma, chiedendo il sostegno di Washington
per la fine del regime della dinastia sunnita Khalifa, da oltre due secoli al potere.
Egitto:
cristiani copti chiedono messa in sicurezza luoghi di culto Per il terzo giorno
consecutivo circa mille fedeli copti hanno tenuto una protesta davanti alla sede della
Televisione pubblica al Cairo, in seguito all'incendio di una chiesa nella regione
di Helwan a sud della capitale. Gli attivisti copti hanno detto che non se ne andranno
fino a che non verranno accolte le loro richieste e cioè la ricostruzione della chiesa
data alle fiamme, la punizione dei responsabili e la messa in sicurezza di tutti i
luoghi di culto cristiani in Egitto. Ieri il capo del Consiglio supremo delle Forze
armate HusseinTantawi ha promesso che l'edificio verrà ricostruito entro l'anno.
Costa
d’Avorio, si acuisce lo scontro tra i due presidenti in carica La comunità
internazionale è preoccupata anche per quanto sta accadendo in Costa d’Avorio, sempre
più sull’orlo di una guerra civile. Il Paese si trova, di fatto, con due presidenti
in carica: Ouattara, che è stato riconosciuto dalla comunità internazionale, e Gbagbo,
che uscito perdente dal ballottaggio delle presidenziali, non vuole lasciare il potere.
Giulio Albanese:
Mentre le
cancellerie africane temporeggiano, ormai è guerra in Costa D’Avorio. Ieri, le forze
fedeli ad Alessane Ouattara, internazionalmente riconosciuto come presidente eletto,
hanno occupato Tous le Plunes, nel settore orientale dell’ex colonia francese. Si
tratta di una cittadina al confine con la Liberia, finora controllata dai fedelissimi
di Laurent Gbagbo, il capo di Stato uscente, che non vuole ammettere la sconfitta
al ballottaggio per le presidenziali del 28 novembre scorso. Fonti delle forze fedeli
a Gbagbo, avevano in precedenza ammesso che la cittadina nella giornata di ieri era
teatro di violenti scontri. Anche in altre regioni della Costa D’Avorio vengono segnalate
sporadiche violenze da quando il Paese si trova - di fatto - con due presidenti
in carica. Un braccio di ferro che sta facendo sprofondare la Costa D’Avorio nel caos.
Afghanistan:
duplice attentato a Jalalabad Almeno 2 poliziotti afghani sono rimasti uccisi
e altre 25 persone ferite nel duplice attentato rivendicato dai talebani, avvenuto
oggi davanti ad una moschea a Jalalabad, nell'est dell’Afghanistan. Al momento dell’esplosione,
nel tempio era in corso un incontro fra amministratori locali e religiosi. L'attentato
è avvenuto nel giorno della visita a Kabul del ministro della Difesa americano, Robert
Gates, per esaminare, insieme al presidente Karzai, le prospettive della sicurezza
nel Paese e definire il piano di ritiro delle truppe statunitensi a partire da luglio.
L’incontro arriva in un momento molto delicato nelle relazioni tra Washington e Kabul,
dopo che la scorsa settimana, in un ennesimo raid Usa, sono rimasti uccisi nove bambini
afghani.
Iran: pena di morte per stupro, tre afghani impiccati Tre
cittadini afghani sono stati impiccati a Teheran per avere violentato, nel maggio
dello scorso anno, una donna incinta. La donna viveva insieme al marito e ad un figlio,
in un condominio di Varamin, vicino a Teheran, di cui l'uomo era guardiano. Secondo
la stampa locale, sono almeno 92 il numero delle esecuzioni capitali in Iran dall'inizio
dell'anno. Nel 2010 sono state 179. Ma per Human Rights Watch non sono meno di 388.
Estonia La
coalizione di centro-destra al governo ha vinto le elezioni legislative in Estonia:
i due partiti che sostengono il premier uscente Andrus Ansip si sono aggiudicati 56
seggi sui 101 del Parlamento mentre il centro sinistra ne ha conquistati 45. Secondo
gli analisti, il governo è stato premiato per la politica di rigore finanziario, che
ha permesso alla piccola Estonia - 1,3 milioni di abitanti in tutto - il primo gennaio
scorso di diventare il 17.mo Paese ad adottare l'euro, con il debito pubblico più
leggero dell'Ue anche se l'economia è in forte recessione. Ricordiamo che queste sono
state le prime consultazioni al mondo svolte via internet.
Colloqui Serbia-Kosovo Ripartono
domani a Bruxelles i colloqui tra Pristina e Belgrado, dopo tre anni di gelo seguiti
alla dichiarazione di indipendenza del Kosovo, nel 2008. Al centro degli incontri,
gli accordi commerciali e doganali dei due Paesi. Lo scorso settembre una risoluzione
dell'Assemblea generale dell'Onu aveva sollecitato la ripresa del dialogo tra le due
parti, che hanno accettato di avvalersi della mediazione dell'Unione europea.
Grecia
debito L'agenzia di valutazione Moody's ha tagliato il rating della Grecia,
riducendo di ben tre livelli il giudizio su Atene - da Ba1 a B1 - e ponendo un outlook
negativo sul debito del Paese. La Grecia ha subito criticato il provvedimento, definendolo
“completamente ingiustificato”.
Francia Al via oggi a Parigi il processo
contro l’ex presidente Chirac anche se sul procedimento pende una questione di costituzionalità
che potrebbe far rinviare l’udienza. Chirac, 78 anni, deve rispondere di appropriazione
indebita di fondi pubblici e abuso di potere: accuse risalenti al periodo nel quale
era sindaco della capitale francese.
Giappone: superindice economico a +0,9
punti a Gennaio Segnali di miglioramento nell'economia nipponica. É salito
di + 0.9 punti il superindice economico di gennaio, segnando il terzo rialzo di fila
su base mensile. Lo ha reso noto l'Ufficio di gabinetto, secondo cui l'indicatore
relativo all'evoluzione dello scenario economico dei prossimi mesi si è portato a
quota 106,2. Per la prima volta in 15 mesi, la valutazione generale dell’economia
passa da “ferma” a in “pausa con segnali di miglioramento”. (Panoramica internazionale
a cura di Marco Guerra)
Bollettino del Radiogiornale della Radio
Vaticana Anno LV no. 66