Emergenza umanitaria in Libia: l'Onu chiede 160 milioni di dollari di aiuti. Ancora
scontri sul terreno
Le Nazioni Unite si preparano ad assistere fino a 200 mila profughi che potrebbero
ancora fuggire dalla Libia e che si sommerebbero ai 200 mila che hanno già abbandonato
il Paese. Inoltre, circa 600 mila persone potrebbero aver bisogno di aiuti all'interno
della Libia. L’Onu chiede fondi. Il servizio di Fausta Speranza:
Prima
le minacciose parole del figlio di Gheddafi, Seif al Islam, sul rischio che la Libia
“diventi la Somalia del Mediterraneo e l'Europa sia invasa da milioni di migranti'',
ovviamente se non aiuta il regime. Poi un non ben precisato messaggio di apertura
al dialogo con i ribelli che però non contiene nessuna possibile concessione da parte
del colonnello. Si tratta del messaggio lanciato dalla Tv di Stato da Jadallah Azous
al-Talhi, una nota personalità dell'establishment del regime libico che fu primo ministro
negli anni '80. Chiede dialogo nazionale per fermare lo spargimento di sangue e il
dilagare della presenza straniera. Il Consiglio nazionale libico costituito a Bengasi
nell'Est risponde che non ci puo' essere dialogo se Gheddafi non lascia il potere.
Questa la cronaca delle ultime ore dalla Libia insieme con la conferma di due raid
sulla citta' portuale di Ras Lanuf, in apparenza ancora sotto il controllo dei rivoltosi.
Secondo testimoni, gli oppositori hanno risposto con l'artiglieria anti aerea. Poi
ci sono le dichiarazioni del quotidiano britannico Independent che sostiene che gli
Stati Uniti hanno chiesto all'Arabia Saudita di fornire armi ai ribelli libici, per
evitare un coinvolgimento diretto di Washington nella guerra civile, ma Gedda finora
non ha risposto all'appello, presa anche da fatti interni. In tutto questo l’ONU chiede
che si raccolgano 160 milioni di dollari per le attivita' umanitarie nei prossimi
tre mesi.
Delle immediate necessità e dell’assistenza già in atto, Fausta
Speranza ha parlatocon Paolo Beccegato, responsabile dell’area
internazionale della Caritas italiana:
R. -
Abbiamo appena contattato e ricevuto anche un rapporto dettagliato sia sul fronte
tra la Libia e l’Egitto, sia sul fronte tra la Libia e la Tunisia e sia internamente
alla Libia, oltre che qualcosa su quello che sta succedendo verso Sud e quindi soprattutto
verso il Niger e in parte il Ciad. Complessivamente parlando, c’è molta preoccupazione
riguardo ai migranti, cioè alle persone che lavoravano in Libia e che stanno scappando,
ma che non sono però libici. In particolare ci sono migliaia di asiatici - soprattutto
bengalesi, pachistani e filippini - che sono in condizioni molto difficili, perché
sostanzialmente non sanno cosa fare e non sanno dove andare. Un secondo gruppo di
persone problematico è rappresentato dei sub-sahariani, che vorrebbero tornare al
loro Paese d’origine o comunque fuggire: anche lì i trasporti sono molto difficoltosi,
perché c’è tutto il deserto verso Sud e quindi c’è anche il problema di ponti aerei
che si vorrebbero fare per rimpatriarli e in particolare dal Mali e dal Sudan, dove
la situazione è già difficile internamente. Queste persone sostanzialmente non sanno
cosa fare, perché anche lì sul referendum che è stato appena fatto ci sono ancora
dei dubbi. L’altro problema riguarda i diritti di tutte le persone che una volta che
riescono ad uscire dal Paese - per esempio al confine con la Tunisia e con l’Egitto
- non trovano rappresentanti consolari o dell’ambasciata che possono fornire loro
indicazioni ed i visti per muoversi, anche solo per tornare nei loro Paesi di origine.
Quello che si sta facendo è cercare di contattare i governi - e in particolare il
governo del Bangladesh è già stato contattato - per mettere a disposizione personale
dell’ambasciata e del consolato per dare risposte a queste persone.
D.
- Possiamo dire che la Caritas sta in Libia?
R. - Sì, in Libia c’è una
piccola Caritas che sta lavorando soprattutto a favore delle minoranze rifugiate ed
immigrate in Libia e in particolare di una grande comunità di eritrei. Queste poche
unità che stanno facendo questi interventi - ripeto certo non enormi rispetto ai bisogni,
ma comunque siamo presenti un po’ su tutto il Paese e soprattutto a Tripoli - dove
c’è questa grande comunità di eritrei in particolare che viene assistita dalla Caritas.
Poi ci sono dei gruppi e delle missioni che stanno lavorando al confine tra Libia
ed Egitto; in Egitto, soprattutto nel Nord; un’altra missione è in corso al confine
tra Libia e Tunisia; in Tunisia e soprattutto nel Nord; e poi c’è una minima accoglienza
rispetto al Sud: sappiamo in particolare di alcune centinaia di persone che stanno
cercando di scappare verso Sud e che hanno già raggiunto il Niger. I bisogni sono
enormi: si parla di circa 100 mila persone - minimo - che sono già fuggite verso Ovest;
più o meno altrettante verso est e quindi verso l’Egitto. Assistiamo ad un’onda crescente
verso Nord e non si parla affatto delle centinaia di persone che stanno scappando
verso sud e molte delle quali - noi temiamo - possano anche vivere dei veri e propri
drammi attraversando il deserto verso Sud. (mg)