Libia: scontri tra insorti e fedelissimi di Gheddafi. Migliaia i profughi
Si continua a combattere in Libia: situazione incerta a Brega, dove governativi e
ribelli rivendicano di aver ripreso il controllo della città. Intanto il leader libico
Muammar Gheddafi è riapparso in pubblico con un discorso sulla tv di stato libica
in cui accusa al Qaeda di aver guidato i primi scontri armati contro l’esercito regolare.
Per gli ultimi aggiornamenti sentiamo Marco Guerra:
La situazione
sul terreno vede la controffensiva dei fedelissimi di Gheddafi che assediano la città
della cirenaica Brega. La propaganda del regime riferisce che le forze armate controllano
l'aeroporto e il porto della città, contraddicendo la versione dei insorti, secondo
i quali l'attacco sarebbe stato respinto. Giungono infatti notizie contrastanti sull'esito
della battaglia in corso nell'importante terminal petrolifero della Libia. Questa
mattina anche un portavoce del governo di Tripoli aveva espresso dubbi sul contrattacco.
La giornata di oggi è stata però segnata dal nuovo intervento pubblico di Gheddafi,
che ha parlato alla Tv di Stato in occasione del 34.mo anniversario “del passaggio
dei poteri al popolo”, come viene definito dalla stessa emittente. “Combatteremo per
la Libia all'ultimo uomo e donna" ha garantito l’anziano colonnello. Il futuro della
Libia è "nelle mani del popolo libico", ha aggiunto, spiegando non avere alcun ruolo
politico nel Paese. Il rais ha anche chiesto all'Onu di inviare una commissione di
inchiesta per investigare sulle accuse di aver ucciso dimostranti pacifici. Gheddafi
ha infine puntato il dito contro Al Qaeda, accusandola di aver innescato l’insurrezione.
Il tentativo di scaricare le colpe sulla rete del terrore tradisce un isolamento internazionale
sempre più profondo. Oggi la Spagna ha annunciato il congelamento dei beni che Gheddafi
possiede nel Paese iberico. Il presidente della Commissione europea Manuel
Barroso si unito al coro di chi chiede ufficialmente le dimissioni del leader libico.
Intanto, mentre resta sospesa l’ipotesi di un intervento militare internazionale,
due navi da guerra statunitensi, stanno attraversando il Canale di Suez e arriveranno
nel Mediterraneo a metà pomeriggio, per dirigersi a largo della Libia.
Intanto
cresce l’emergenza umanitaria al confine tra Libia ed Egitto e Libia e Tunisia. Per
quest’ultima zona L’Unhcr, l'Alto commissariato Onu per i rifugiati, ha lanciato un
allarme per una fila di persone lunga diversi chilometri e propone l’utilizzo di aerei
per smaltire la folla. Alla frontiera libico-tunisina si trova Barbara Schiavulli
raggiunta telefonicamente da Giancarlo La Vella:
R. - Ci sono
migliaia di persone asserragliate al di là del confine, quindi ancora in parte libica
che non vengono fatte entrare. Ci sono già 75 mila persone da questa parte che sono
state alloggiate nei modi migliori possibili, quindi nelle scuole, nelle tende, molti
ancora bivaccano sulle strade, dormono sopra le proprie valige. Però, dall’altra parte
il problema si sta ingigantendo perché c’è veramente un fiume di persone che non ha
accesso a niente. Stanno lì da giorni senza avere possibilità di mangiare, di ricevere
assistenza medica perché non fanno passare, i poliziotti libici, neanche i medici
delle varie organizzazioni che si sono precipitate qui. Ho sentito questa mattina
Medici Senza Frontiere che cercava di far passare almeno le medicine per assistere
i primi che arrivano, perché dopo giorni che stanno al confine, ovviamente hanno bisogno
di tutto.
D. – Hai notizie di persone che stanno cercando invece di
imbarcarsi alla volta delle coste italiane o europee?
R. – Due giorni
fa è partita questa grande nave che è arrivata proprio a Lampedusa e qui i ragazzi
- quello che raccontano nei caffè - vogliono soprattutto dire che hanno il diritto
di andare a cercarsi un lavoro, vogliono venire in Europa perché vedono l’Europa come
un paradiso. Quindi, ci sono molte persone che organizzano questi barconi di minimo
12 metri, barche che ci mettono dalle 17 alle 20 ore per arrivare in Italia. Tra l’altro,
stanotte, ne è partita una che quindi arriverà stasera probabilmente. Ieri abbiamo
incontrato, invece, una madre che ha perso il figlio in un incidente che c’è stato
proprio su una di queste barche di disperati che è partito a metà febbraio scorso;
la nave è stata speronata da un’ altra barca della polizia di frontiera tunisina,
sono state salvate la maggior parte delle persone, ci sono cinque cadaveri recuperati
e 20 dispersi, tra cui il figlio di questa signora, che si appellava al fatto che
sperava che le Autorità italiane potessero trovare il cadavere. (ma)
Dunque
cresce l’emergenza profughi legata alla crisi libica e la comunità internazionale
si mobilita. Ieri sera l’Italia, in attesa delle prossime decisioni europee, ha deciso
l’invio nel giro di 48 ore di una missione umanitaria. Intanto stamani a Lampedusa
e a Linosa si segnala l’arrivo di alcune centinaia di immigrati. Sta seguendo da vicino
la situazione anche la Caritas italiana. Sentiamo, al microfono di Luca Collodi,
il responsabile dell’ufficio Immigrazione dell’organismo caritativo della Chiesa,
Oliviero Forti:
R. – Si tratta
di migliaia di persone, ormai si parla di oltre 100 mila persone che sono ammassate
ai confini libici, quindi al confine tunisino e al confine egiziano, cercando di trovare
salvezza da una situazione che chiaramente sta sempre più degenerando. Poi, peraltro,
stanotte sono ripresi gli sbarchi verso Lampedusa e anche verso Linosa. C’è una situazione
in quest’area veramente calda che dev’essere seguita con molta attenzione, soprattutto,
per quanto ci riguarda, in termini di accoglienza e tutela di queste persone.
D.
– Dalle vostre fonti Caritas in Libia la situazione qual è? Che idea vi siete fatti?
R.
– In Libia abbiamo in particolare una situazione fortemente drammatica che riguarda
la presenza, che sappiamo essere storica, di rifugiati dal Corno d’Africa, e mi riferisco
agli eritrei, che attualmente in numero di qualche migliaia erano ospiti addirittura
della cattedrale di Tripoli: il vescovo l’ha aperta per cercare di dare un minimo
di risposte a chi cerca di fuggire da un contesto sociale assolutamente degradato
e che vede nei migranti, soprattutto dell’Africa subsahariana, il primo bersaglio
delle milizie non solo di Tripoli ma anche, purtroppo, in alcuni casi, dei rivoltosi.
La nostra preoccupazione e il nostro invito è che si proceda subito a una evacuazione
umanitaria di questi soggetti che sono tra i più vulnerabili. Sappiamo che il governo
italiano si è fatto carico di un numero, però, molto limitato, una cinquantina di
persone; ne rimangono migliaia ancora sprovviste di qualsiasi tutela, quindi un’azione
internazionale in tal senso è auspicabile.
D. – Voi vi siete appellati
anche alle diocesi italiane per questa emergenza…
R. - Chiaramente loro
saranno chiamate in una seconda fase, quella successiva agli arrivi in Italia, affinché
possano dare risposte in termini di alloggio, vitto e tutto ciò che è necessario per
una corretta accoglienza e integrazione sul territorio. Per questo stiamo censendo
le strutture presenti nelle varie diocesi italiane, 220 diocesi, per capire di quanti
posti possiamo disporre e possiamo mettere a disposizione delle autorità con le quali
siamo costantemente in contatto per un piano di emergenza che coinvolge chiaramente
tutti e che ci deve vedere lavorare in piena sinergia. (bf)