Le religioni al servizio della pace nelle situazioni di conflitto
In questo periodo di grave crisi per diversi Stati dell’Africa e del Medio Oriente, vogliamo
interrogarci su quale possa essere il contributo della Chiesa Cattolica e delle comunità
cristiane locali in favore del benessere dei loro paesi e delle nazioni alle quali
appartengono.
Sono decine di migliaia gli sfollati al confine tra la Libia
e la Tunisia, disperati in cerca di una via di fuga dalle violenze scaturite dalla
repressione delle manifestazioni, in un contesto di emergente crisi. Il mondo deve
agire, e con rapidità, per prevenire un disastro umanitario ancora più grande. Istituzioni
ecclesiastiche e organizzazioni non governative di ispirazione cattolica come la Caritas
Internationalis, la Comunità di Sant’Egidio, il Catholic Relief Services (CRS) e il
Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) sono in prima linea nell'assistenza ai
rifugiati a livello mondiale, come ha recentemente ricordato Josette Sheeran, Direttore
Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (PAM), ricevuta in
udienza privata dal Papa. Attraverso gli appelli dei Vescovi locali, inoltre, la Chiesa
chiama associazioni e governi a fare di più per difendere le vite di questi indifesi.
I
moti di piazza interessano una regione nella quale l’Islam è indubbiamente la religione
più diffusa. Tuttavia, sono sociali e politiche le ragioni alla base del disagio manifestato
dalle popolazioni. Si tratta di avvenimenti che riflettono cambiamenti profondi nel
mondo contemporaneo e in modo speciale in Africa del Nord. Mutamenti strutturali che
esigono una risposta nuova, conforme alle ricche tradizioni culturali dei diversi
popoli e Nazioni, ma che parta sempre dal riconoscimento della dignità della persona
umana, della libertà individuale e sociale, quali condizioni necessarie allo sviluppo
culturale delle popolazioni. La Chiesa, presente e attiva in tutti questi Paesi,
da sempre promuove la ricerca di una pace nel rispetto delle convinzioni religiose
di ciascuno.
È significativo, al riguardo, il messaggio lanciato dai Vescovi
della CERNA (Conferenza Episcopale del nordafrica), a chiusura della loro annuale
Plenaria che si è tenuta ad Algeri dal 29 gennaio al 2 febbraio scorso. Al centro
della discussione è stata infatti una “migliore convivenza per la Chiesa con le diverse
comunità religiose”, anche finalizzata allo sviluppo economico e sociale della regione. In
tale prospettiva di rafforzamento del “vivere insieme”, i Vescovi hanno manifestato
l’auspicio di un rapporto solidale costante con i rappresentanti della comunità musulmana,
da realizzare attraverso il confronto e la condivisione di esperienze. In questa chiave
si contribuirà anche al rafforzamento di quei diritti umani e civili considerati la
condizione essenziale per il raggiungimento di una pace duratura. In particolare,
è stato deciso di incrementare i momenti di contatto con i musulmani finalizzati
non a discussioni di natura teologica, ma alla promozione di iniziative concrete di
sviluppo, ad esempio nel campo della formazione scolastica e professionale, del sostegno
alle attività produttive, nell’educazione al rispetto dei diritti delle donne e di
tutte le componenti sociali. Nel documento conclusivo i Vescovi dell’Algeria, del
Marocco, della Tunisia e della Libia hanno sottolineato che i moti che attraversano
i loro Paesi costituiscono una rivendicazione di libertà e di dignità, specialmente
delle giovani generazioni, che chiedono di essere riconosciuti tutti come cittadini
responsabili.
In questo momento cruciale i cristiani, a pieno titolo cittadini
degli Stati in questione, non possono essere messi da parte. Sono chiamati a giocare
il loro ruolo sia dal punto di vista dell'affermazione della libertà religiosa e della
ricerca del dialogo; sia in nome del contributo importante che la Chiesa può fornire
nella costruzione della pace e nel contenimento – come naturale conseguenza della
presenza in loco delle comunità cristiane - delle derive più estremiste, anche di
carattere religioso.
In un’intervista raccolta dalla Radio Vaticana, il cardinale
Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti, ha confermato che “una ventata
di democrazia, di uguaglianza e di cittadinanza sta investendo il nordafrica… Adesso
sentiamo che c’è un vero cambiamento”. Anche l’arcivescovo di Tunisi mons. Lahham
e il Vicario Apostolico di Tripoli mons. Martinelli hanno precisato che, al di là
della grande preoccupazione per le violenze perpetrate ai danni delle popolazioni,
questi eventi suscitano molte speranze. Speranze per i giovani che ne sono i veri
protagonisti; speranze per le generazioni future, che la Chiesa vuole accompagnare
e sostenere.
È un compito educativo e di salvaguardia dei valori umani e spirituali,
ma anche di promozione della giustizia e della libertà che la Chiesa intende ricoprire
anche nei contesti più caldi, continuando a infondere coraggio e ad assicurare ogni
forma di aiuto possibile. Lo dimostrano gli appelli, che si susseguono da giorni,
lanciati dai Vescovi alle Istituzioni politiche, affinché forniscano il massimo sostegno
ai numerosissimi sfollati concentrati alle frontiere nordafricane ed europee. Lo conferma
la tenacia di vari sacerdoti tra cui lo stesso mons. Martinelli (in Libia dal 1971
come sacerdote e dal 1985 come vescovo), che pur avendo ricevuto l’invito a partire
dichiara: “Non lascerò mai la Libia finché avrò respiro. E dove vado? Questa è la
mia Chiesa. Me ne andrò solo se mi cacciano”. Lo testimoniamo le religiose al servizio
negli ospedali nei vari Paesi colpiti dalle violenze, che sono rimaste accanto alla
popolazione intensificando anzi l’assistenza anche laddove la situazione è più calda
o la comunità cattolica maggiormente isolata, come nella zona di Beida, Tripoli e
Bengasi.
Infine, ne danno prova tutte le chiese, rimaste aperte, e le comunità
di fedeli, che in chiesa hanno continuato ad andare a pregare.
I contrasti
che caratterizzano l’epoca moderna sono una sfida che coinvolge le religioni nella
proclamazione della Parola di Dio e nella difesa della dignità di ogni persona umana.
Varie volte Benedetto XVI ha rivolto ai rappresentanti delle altre religioni messaggi
di comunione che scaturiscono dal condiviso riconoscimento di un Unico Dio, un unico
creatore che si prende cura e ama l'intera umanità, al di là delle articolazioni specifiche
di ciascun credo. Dobbiamo dunque compiere lo sforzo di superare le barriere concettuali
imposte dalle diverse visioni antropologiche e dai singoli sistemi teologici, perché
la collaborazione interreligiosa è essenziale alla promozione della dignità di tutti
gli uomini e alla difesa dei loto diritti fondamentali.