2011-03-02 13:52:22

Le religioni al servizio della pace nelle situazioni di conflitto


In questo periodo di grave crisi per diversi Stati dell’Africa e del Medio Oriente,
vogliamo interrogarci su quale possa essere il contributo della Chiesa Cattolica e delle comunità cristiane locali in favore del benessere dei loro paesi e delle nazioni alle quali appartengono.

Sono decine di migliaia gli sfollati al confine tra la Libia e la Tunisia, disperati in cerca di una via di fuga dalle violenze scaturite dalla repressione delle manifestazioni, in un contesto di emergente crisi. Il mondo deve agire, e con rapidità, per prevenire un disastro umanitario ancora più grande. Istituzioni ecclesiastiche e organizzazioni non governative di ispirazione cattolica come la Caritas Internationalis, la Comunità di Sant’Egidio, il Catholic Relief Services (CRS) e il Servizio dei Gesuiti per i Rifugiati (JRS) sono in prima linea nell'assistenza ai rifugiati a livello mondiale, come ha recentemente ricordato Josette Sheeran, Direttore Esecutivo del Programma Alimentare Mondiale delle Nazioni Unite (PAM), ricevuta in udienza privata dal Papa. Attraverso gli appelli dei Vescovi locali, inoltre, la Chiesa chiama associazioni e governi a fare di più per difendere le vite di questi indifesi.

I moti di piazza interessano una regione nella quale l’Islam è indubbiamente la religione più diffusa. Tuttavia, sono sociali e politiche le ragioni alla base del disagio manifestato dalle popolazioni. Si tratta di avvenimenti che riflettono cambiamenti profondi nel mondo contemporaneo e in modo speciale in Africa del Nord. Mutamenti strutturali che esigono una risposta nuova, conforme alle ricche tradizioni culturali dei diversi popoli e Nazioni, ma che parta sempre dal riconoscimento della dignità della persona umana, della libertà individuale e sociale, quali condizioni necessarie allo sviluppo culturale delle popolazioni.
La Chiesa, presente e attiva in tutti questi Paesi, da sempre promuove la ricerca di una pace nel rispetto delle convinzioni religiose di ciascuno.

È significativo, al riguardo, il messaggio lanciato dai Vescovi della CERNA (Conferenza Episcopale del nordafrica), a chiusura della loro annuale Plenaria che si è tenuta ad Algeri dal 29 gennaio al 2 febbraio scorso. Al centro della discussione è stata infatti una “migliore convivenza per la Chiesa con le diverse comunità religiose”, anche finalizzata allo sviluppo economico e sociale della regione.
In tale prospettiva di rafforzamento del “vivere insieme”, i Vescovi hanno manifestato l’auspicio di un rapporto solidale costante con i rappresentanti della comunità musulmana, da realizzare attraverso il confronto e la condivisione di esperienze. In questa chiave si contribuirà anche al rafforzamento di quei diritti umani e civili considerati la condizione essenziale per il raggiungimento di una pace duratura. In particolare, è stato deciso di incrementare i momenti di contatto con i musulmani finalizzati non a discussioni di natura teologica, ma alla promozione di iniziative concrete di sviluppo, ad esempio nel campo della formazione scolastica e professionale, del sostegno alle attività produttive, nell’educazione al rispetto dei diritti delle donne e di tutte le componenti sociali.
Nel documento conclusivo i Vescovi dell’Algeria, del Marocco, della Tunisia e della Libia hanno sottolineato che i moti che attraversano i loro Paesi costituiscono una rivendicazione di libertà e di dignità, specialmente delle giovani generazioni, che chiedono di essere riconosciuti tutti come cittadini responsabili.

In questo momento cruciale i cristiani, a pieno titolo cittadini degli Stati in questione, non possono essere messi da parte. Sono chiamati a giocare il loro ruolo sia dal punto di vista dell'affermazione della libertà religiosa e della ricerca del dialogo; sia in nome del contributo importante che la Chiesa può fornire nella costruzione della pace e nel contenimento – come naturale conseguenza della presenza in loco delle comunità cristiane - delle derive più estremiste, anche di carattere religioso.

In un’intervista raccolta dalla Radio Vaticana, il cardinale Antonios Naguib, patriarca di Alessandria dei copti, ha confermato che “una ventata di democrazia, di uguaglianza e di cittadinanza sta investendo il nordafrica… Adesso sentiamo che c’è un vero cambiamento”.
Anche l’arcivescovo di Tunisi mons. Lahham e il Vicario Apostolico di Tripoli mons. Martinelli hanno precisato che, al di là della grande preoccupazione per le violenze perpetrate ai danni delle popolazioni, questi eventi suscitano molte speranze. Speranze per i giovani che ne sono i veri protagonisti; speranze per le generazioni future, che la Chiesa vuole accompagnare e sostenere.

È un compito educativo e di salvaguardia dei valori umani e spirituali, ma anche di promozione della giustizia e della libertà che la Chiesa intende ricoprire anche nei contesti più caldi, continuando a infondere coraggio e ad assicurare ogni forma di aiuto possibile. Lo dimostrano gli appelli, che si susseguono da giorni, lanciati dai Vescovi alle Istituzioni politiche, affinché forniscano il massimo sostegno ai numerosissimi sfollati concentrati alle frontiere nordafricane ed europee. Lo conferma la tenacia di vari sacerdoti tra cui lo stesso mons. Martinelli (in Libia dal 1971 come sacerdote e dal 1985 come vescovo), che pur avendo ricevuto l’invito a partire dichiara: “Non lascerò mai la Libia finché avrò respiro. E dove vado? Questa è la mia Chiesa. Me ne andrò solo se mi cacciano”.
Lo testimoniamo le religiose al servizio negli ospedali nei vari Paesi colpiti dalle violenze, che sono rimaste accanto alla popolazione intensificando anzi l’assistenza anche laddove la situazione è più calda o la comunità cattolica maggiormente isolata, come nella zona di Beida, Tripoli e Bengasi.

Infine, ne danno prova tutte le chiese, rimaste aperte, e le comunità di fedeli, che in chiesa hanno continuato ad andare a pregare.

I contrasti che caratterizzano l’epoca moderna sono una sfida che coinvolge le religioni nella proclamazione della Parola di Dio e nella difesa della dignità di ogni persona umana. Varie volte Benedetto XVI ha rivolto ai rappresentanti delle altre religioni messaggi di comunione che scaturiscono dal condiviso riconoscimento di un Unico Dio, un unico creatore che si prende cura e ama l'intera umanità, al di là delle articolazioni specifiche di ciascun credo. Dobbiamo dunque compiere lo sforzo di superare le barriere concettuali imposte dalle diverse visioni antropologiche e dai singoli sistemi teologici, perché la collaborazione interreligiosa è essenziale alla promozione della dignità di tutti gli uomini e alla difesa dei loto diritti fondamentali.







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