Libia: ancora violenze. I Paesi Nato studiano l'uso della forza
La Libia continua ad essere scossa da scontri e violenze. Secondo fonti locali, almeno
tre persone sono state uccise da uomini fedeli a Muammar Gheddafi, durante la scorsa
notte a Misurata. Il regime ha anche minacciato bombardamenti per porre fine alle
proteste. L’Unione Europea, intanto, è pronta ad affrontare un flusso massiccio di
profughi dalla Libia e segue attentamente l’evoluzione delle rivolte nei Paesi arabi.
Il servizio di Amedeo Lomonaco:
La comunità
internazionale studia diverse opzioni per trovare una soluzione alla crisi libica.
Il portavoce del Pentagono ha reso noto che Gli Stati Uniti stanno dispiegando forze
navali intorno alle coste libiche per essere pronti ad ogni eventualità. Secondo il
quotidiano britannico Times, in particolare, i Paesi della Nato si stanno preparando
a un piano che preveda l’uso della forza per costringere il leader libico a lasciare
il Paese. La Casa Bianca considera l’esilio di Muammar Gheddafi “una possibilità”
da prendere in considerazione. Per il Ministero degli esteri israeliano c’è il “pericolo
di un genocidio” e alla Libia dovrebbe essere imposta una no-fly zone. E mentre
si ipotizza il divieto di sorvolo per i velivoli libici, il regime minaccia di bombardare
i manifestanti di Al Zawiya, a 50 chilometri da Tripoli. L’Unione Europea, dopo aver
adottato sanzioni che prevedono anche l’embargo sulla vendita di armi, sta predisponendo
il congelamento dei beni del colonnello. Ma il leader libico non cede, resta nel bunker
di Tripoli, e ai microfoni della Bbc afferma di essersi sentito tradito da
alcuni Paesi occidentali. L’area ancora sotto il controllo del regime è ormai limitata
solo alla capitale e il commissario europeo all’Energia, Gunther Oettinger, ha anche
dichiarato che le forze fedeli a Gheddafi non controllano più i principali pozzi di
petrolio. Sono migliaia, ogni giorno, coloro che decidono di fuggire dal Paese. Secondo
stime dell’Onu, sono almeno 75 mila le persone che dal 20 febbraio scorso ad oggi
hanno varcato il confine con la Tunisia. Secondo le Nazioni Unite, la situazione alla
frontiera sta raggiungendo "il punto di crisi". Ed è sempre più drammatica
anche la situazione di migliaia di eritrei, etiopi, somali, sudanesi e profughi provenienti
dall’Africa Occidentale che vengono considerati dei mercenari dagli insorti e degli
agitatori dai sostenitori del regime. Sulla loro vicenda si sofferma, al microfono
di Fabio Colagrande, don Mussie Zerai, sacerdote
eritreo responsabile a Roma dell’agenzia Habesha, Ong che si occupa dell’accoglienza
dei migranti africani:
R. – E’ quasi una caccia allo straniero africano:
vengono additati come mercenari del regime perché questo ha utilizzato mercenari africani
per sparare sui manifestanti. Non solo, i mercenari in alcune carceri libiche, nelle
quali c’erano detenuti africani, sono stati costretti dai militari ad imbracciare
le armi. Chi si è rifiutato è stato ucciso. I profughi sono terrorizzati. La Chiesa
sta cercando di fronteggiare come può. Chiediamo che venga dato loro asilo in Paesi
europei e che venga loro garantita protezione.
D. – Si tratta di eritrei
o etiopi o di cittadini di altri Paesi africani che si trovano in Libia che sono tra
due fuochi… R. – Tra due fuochi, esatto. Perché anche dopo il discorso di
Gheddafi dell’altra sera, che additava come agitatori gli stranieri, sono stati picchiati
anche dai sostenitori del regime. Quindi, da una parte li aggrediscono i sostenitori
di Gheddafi, dall’altra i manifestanti contro il governo, che li additano come mercenari.
E in mezzo ai due fuochi, diverse persone sono morte. (gf)