2011-03-01 15:18:02

Libia, la comunità internazionale non esclude l’uso della forza. Le analisi sulla crisi


La Libia continua ad essere scossa da scontri e violenze. Secondo fonti locali, almeno tre persone sono state uccise da uomini fedeli a Muammar Gheddafi, durante la scorsa notte a Misurata. Il regime ha anche minacciato bombardamenti per porre fine alle proteste. L’Unione Europea, intanto, è pronta ad affrontare un flusso massiccio di profughi dalla Libia e segue attentamente l’evoluzione delle rivolte nei Paesi arabi. Il servizio di Amedeo Lomonaco:RealAudioMP3

La comunità internazionale studia diverse opzioni per trovare una soluzione alla crisi libica. Il portavoce del Pentagono ha reso noto che Gli Stati Uniti stanno dispiegando forze navali intorno alle coste libiche per essere pronti ad ogni eventualità. Secondo il quotidiano britannico Times, in particolare, i Paesi della Nato si stanno preparando a un piano che preveda l’uso della forza per costringere il leader libico a lasciare il Paese. La Casa Bianca considera l’esilio di Muammar Gheddafi “una possibilità” da prendere in considerazione. Per il Ministero degli esteri israeliano c’è il “pericolo di un genocidio” e alla Libia dovrebbe essere imposta una no-fly zone. E mentre si ipotizza il divieto di sorvolo per i velivoli libici, il regime minaccia di bombardare i manifestanti di Al Zawiya, a 50 chilometri da Tripoli. L’Unione Europea, dopo aver adottato sanzioni che prevedono anche l’embargo sulla vendita di armi, sta predisponendo il congelamento dei beni del colonnello. Ma il leader libico non cede, resta nel bunker di Tripoli, e ai microfoni della Bbc afferma di essersi sentito tradito da alcuni Paesi occidentali. L’area ancora sotto il controllo del regime è ormai limitata solo alla capitale e il commissario europeo all’Energia, Gunther Oettinger, ha anche dichiarato che le forze fedeli a Gheddafi non controllano più i principali pozzi di petrolio. Sono migliaia, ogni giorno, coloro che decidono di fuggire dal Paese. Secondo stime dell’Onu, sono almeno 75 mila le persone che dal 20 febbraio scorso ad oggi hanno varcato il confine con la Tunisia. Secondo le Nazioni Unite, la situazione alla frontiera sta raggiungendo "il punto di crisi". Ed è sempre più drammatica anche la situazione di migliaia di eritrei, etiopi, somali, sudanesi e profughi provenienti dall’Africa Occidentale che vengono considerati dei mercenari dagli insorti e degli agitatori dai sostenitori del regime. Sulla loro vicenda si sofferma, al microfono di Fabio Colagrande, don Mussie Zerai, sacerdote eritreo responsabile a Roma dell’agenzia Habesha, Ong che si occupa dell’accoglienza dei migranti africani:

R. – E’ quasi una caccia allo straniero africano: vengono additati come mercenari del regime perché questo ha utilizzato mercenari africani per sparare sui manifestanti. Non solo, i mercenari in alcune carceri libiche, nelle quali c’erano detenuti africani, sono stati costretti dai militari ad imbracciare le armi. Chi si è rifiutato è stato ucciso. I profughi sono terrorizzati. La Chiesa sta cercando di fronteggiare come può. Chiediamo che venga dato loro asilo in Paesi europei e che venga loro garantita protezione.

D. – Si tratta di eritrei o etiopi o di cittadini di altri Paesi africani che si trovano in Libia che sono tra due fuochi…

R. – Tra due fuochi, esatto. Perché anche dopo il discorso di Gheddafi dell’altra sera, che additava come agitatori gli stranieri, sono stati picchiati anche dai sostenitori del regime. Quindi, da una parte li aggrediscono i sostenitori di Gheddafi, dall’altra i manifestanti contro il governo, che li additano come mercenari. E in mezzo ai due fuochi, diverse persone sono morte. (gf)

In molte zone della Libia gli insorti hanno sostituito il vessillo verde voluto dal colonnello Gheddafi con la bandiera monarchica dei tempi di re Idris. Pagine della storia recente potrebbero dunque convergere nel futuro del Paese. Ma a questa eredità del passato si aggiunge, come in altri Paesi del Nord Africa e del mondo arabo, anche una significativa pluralità di voci, come ricorda il prof. Paolo Branca, docente di Lingua araba e islamistica alla Cattolica di Milano:

R. – Un’ondata del genere ovviamente cercheranno di cavalcarla un po’ tutti, tra cui i rappresentanti dei vecchi regimi, che tenteranno alla maniera del “Gattopardo” di far cambiare tutto affinché tutto rimanga come prima. Ma cercheranno di cavalcarla anche i movimenti islamici, che certamente non sono scomparsi. Di colpo giocheranno il loro ruolo. Però, il fatto che ci siano più voci e che il dibattito sia aperto e si sia comunque impostato tutto su obiettivi condivisi, non marcatamente religiosi, è già un buon inizio che non dovremmo congelare per nostra pigrizia e indifferenza.

D. – C’è, secondo lei, un insegnamento che arriva ai governi europei da quello che sta accadendo nel Maghreb e nei Paesi arabi?

R. – Ai governi sicuramente quello di guardare di più a obiettivi di medio e lungo periodo. E all’Europa intera - che sta invecchiando in fretta e male, piena di paure, aggrappata ai suoi peraltro sempre più fragili privilegi - la forza di queste nuove generazioni. (gf)

L’ondata di proteste, nel Nord Africa e nel mondo arabo, è alimentata in gran parte dai giovani che manifestano, soprattutto, per il mancato rispetto della dignità umana. E’ quanto sottolinea, al microfono di Fabio Colagrande, la teologa musulmana Sharzad Housmand, docente di Studi islamici presso l’Istituto di Studi interdisciplinari su Religioni e Culture della Pontificia Università Gregoriana:

R. – Sono giovani stanchi non solo di una forma stretta di visione religiosa, ma soprattutto dell’ingiustizia, della violenza, dell’oppressione, di essere derubati nei loro averi e nei loro tesori sia materiali sia spirituali. Sappiamo, ad esempio, che quel giovane tunisino che si è dato fuoco non lo ha fatto per una questione economica, ma soprattutto per rivendicare il diritto alla dignità umana. Quello che oggi sta succedendo in quei Paesi è esattamente questo: sono umiliati nella loro dignità umana.

D. – In molti, però, sottolineano il rischio che questi movimenti giovanili non abbiano dei veri e propri leader…

R. – Non c’è bisogno nemmeno di un leader. Sono giovani e sono le masse che fanno i leader. I pensatori e i maestri di queste società, con l’aiuto del mondo occidentale, possono prendere meglio la parola per il bene comune di tutti, musulmani e non, del nostro unico pianeta! (gf)

E l’onda delle proteste, dopo il Maghreb, diventa sempre più imponente in diversi Paesi arabi. Nello Yemen, migliaia di manifestanti hanno protestato stamani nel centro di San’a. I dimostranti hanno chiesto a gran voce le dimissioni del presidente, Ali Abdullah Saleh. Almeno due persone sono morte in seguito agli scontri.







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