Giornata mondiale delle malattie rare per abbattere barriere e discriminazioni
“Rari, ma uguali”: è questo lo slogan della quarta Giornata mondiale delle malattie
rare che viene celebrata oggi con l’obiettivo di abbattere le diseguaglianze che contribuiscono
a isolare i pazienti sia in ambito medico che sociale. Ieri il Papa all’Angelus ha
incoraggiato la ricerca in questo settore. A tutt’oggi si conoscono circa ottomila
patologie di questo tipo: la maggior parte è ancora senza cure e tante sono croniche,
degenerative e dolorose; circa l’80 per cento ha un’origine genetica, mentre il restante
è dovuto a infezioni, allergie o cause ambientali. In Europa sono oltre 30 milioni
le persone colpite da queste malattie; due milioni solo in Italia, di cui il 70 per
cento sono bambini. E sono molto difficili da diagnosticare. Ascoltiamo in proposito
l’esperienza del prof. Giovanni Neri, direttore dell’Istituto di genetica medica
dell’Università Cattolica del Sacro Cuore di Roma, intervistato da Eliana Astorri:
R. - Quando
si ha di fronte un bambino in ambulatorio con una condizione - nel nostro caso, in
genere, si tratta di sindromi, malformazioni o non malformazioni con ritardo dello
sviluppo intellettivo - bisogna capire in primo luogo che cosa ha questo bambino.
Ci sono condizioni che sono abbastanza facilmente diagnosticabili, ma ce ne sono altre
che proprio per la loro rarità rappresentano un problema diagnostico molto significativo.
Infatti, ancora oggi, nonostante i grandi progressi che sono stati compiuti dalla
genetica, dal progetto genoma e dagli avanzamenti tecnologici, una buona parte di
questi bambini rimane non diagnosticato. In un certo modo, nella categoria delle malattie
rare ci vorrebbe anche la categoria “sconosciuto” perché, effettivamente, ci sono
tanti pazienti che sicuramente hanno una malattia rara alla quale noi però non riusciamo
a dare un nome.
D. - Professor Neri, la cura delle malattie rare è più
difficile perché essendo tali, e quindi riguardando pochi pazienti, le case farmaceutiche
non hanno interesse ad investire nella ricerca e quindi nella scoperta di nuovi farmaci:
è così?
R. - Questo è sicuramente stato così e probabilmente lo è ancora
in parte. Però, anche per esperienza diretta, devo dire che alcune cose si stanno
muovendo in maniera abbastanza importante. Innanzitutto, c’è un fiorire di piccole
compagnie biotech che si occupano di farmaci orfani, però ci sono anche delle grandi
multinazionali del farmaco che si stanno attivamente impegnando nella ricerca di farmaci
per malattie rare. Questo è un segnale importante che va colto e che va sottolineato.
D.
- Le famiglie del paziente affetto da malattia rara hanno bisogno di sostegno…
R.
- Hanno bisogno di sostegno perché per quanti sforzi siano stati compiuti - e devo
dire che l'Italia è stata in prima linea nell’integrazione dei ragazzi con delle disabilità
-, ciò nonostante, rimane ancora il fatto che questi ragazzi vengono spesso isolati
dagli altri. E se, oltre ad avere questo problema, per di più vengono in qualche maniera
anche puniti attraverso un’emarginazione, questo veramente è qualcosa di inaccettabile.
(ma)