L'arcivescovo di Algeri: le proteste portino alla nascita di una società nuova e aperta
al dialogo
In Algeria, si è svolta oggi la prima marcia di protesta, dopo la revoca dello stato
d’emergenza decisa giovedì scorso. Nella capitale Algeri si segnalano scontri tra
sostenitori e oppositori del governo, con l’esercito che è intervenuto per dividere
le due fazioni. Nel Paese è sempre alto il timore di una deriva fondamentalista. Per
mons. Ghaleb Moussa Abdalla Bader, arcivescovo di Algeri, “la convivenza tra
le culture e il dialogo interreligioso non è più una scelta, ma un fatto compiuto
che si impone tanto nelle società mediorientali quanto in quelle occidentali”. Il
cristianesimo – spiega mons. Bader – ci chiama a testimoniare che gli uomini, pur
nella diversità, sono figli dell’unico Dio e quindi possono vivere pacificamente insieme.
Il presule al microfono di Paolo Ondarza:
R. – Siamo
chiamati a vivere insieme. Non c’è scelta: o ci si scontra o s’impara ad accettarci,
a rispettarci, ad aiutarci a vicenda. Non c’è alternativa. Questo non è un fatto che
riguarda esclusivamente i Paesi che hanno una minoranza cristiana, come avviene nella
mia regione mediorientale o dell’Africa del Nord, ma è oggi un fatto universale che
coinvolge l’Europa, l’America. Siamo chiamati a vivere insieme, ad imparare a vivere
insieme.
D. – Talvolta, questa convivenza porta alla luce delle diversità
che fanno paura. Come arginare lo scontro?
R. – Vivere insieme non significa
voler cancellare quelle che sono le nostre differenze. Le differenze rimarranno differenze:
chi è musulmano rimarrà musulmano, chi è buddista rimarrà buddista, io che sono cristiano
rimarrò cristiano. Ci saranno sempre delle differenze. E’ importante imparare ad accettare
che l’altro può pensarla in un’altra maniera, che l’altro appartiene a un’altra religione,
che l’altro possa avere un altro modo di vedere le cose.
D. – Premessa
per il dialogo interreligioso è la considerazione del valore dell’uomo, figlio di
Dio e quindi ne consegue che tutti gli uomini sono fratelli…
R. – Finché,
non ci convinciamo che siamo tutti uomini, tutte creature di Dio, figli di Dio. Devo
essere convinto che l’altro è un uomo come me e che ha quindi gli stessi diritti e
gli stessi doveri che ho anche io. Se non arriviamo a questa convinzione, allora è
inutile: non si può obbligare ad amare. E’ mio dovere, da cristiano, perché è la mia
religione che me lo dice, dire a tutto il mondo che l’uomo è la creatura di Dio: l’uomo
cristiano, l’uomo musulmano, l’uomo buddista e anche l’uomo non credente è figlio
di Dio, è redento da Dio e Cristo è morto anche per lui.
D. – In alcuni
Paesi del Medio Oriente – ed è la sua convinzione – ci sono dei fattori precisi che
ostacolano il dialogo: uno di questi è la diffusione di determinati testi scolastici
che, a suo parere, andrebbero rivisti e corretti…
R. – Il modo di presentare
la storia e di interpretare gli eventi storici presenti nei libri, credo sia da rivedere.
Io facevo cenno alla nostra regione del Medio Oriente, dove tutti i libri di lingua,
di storia e perfino di letteratura islamica sono testi islamici: non vorrei che i
testi scolastici diventino, quindi, dei manuali di catechismo. C’è un altro luogo
per insegnare la religione. Questo anche sul vocabolario, perché chiamare ancora gli
altri “infedeli” oggi non è più accettabile. Nemmeno per alcuni musulmani: non accettano
più di chiamare i cristiani e gli altri fedeli kuffar. Nessuno lo accetta più
oggi.
D. – Ciò che sta accadendo con le diverse rivolte nel mondo arabo
crede possa contribuire alla nascita di una nuova società, più disposta all’incontro?
R.
– Questa è la sfida e questo è l’augurio: solo se ci sarà una generazione capace di
prendere in mano la situazione, dopo questi eventi, per creare una società nuova.
E’ una sfida ed è un augurio. (mg)