Gheddafi accerchiato. A breve l'approvazione delle sanzioni ONU
Situazione di calma apparente in Libia, mentre nella comunità internazionale c’è intesa
su sanzioni mirate contro Gheddafi, tra cui il congelamento dei suoi beni, un embargo
sulle armi, e sui viaggi. Per il presidente Usa Obama Tripoli ha violato la decenza
comune e deve essere ritenuta responsabile anche di crimini di guerra. Intanto sembra
che il controllo del rais si stia indebolendo: molti ufficiali della base militare
di Tobruk sono passati dalla parte dei rivoltosi. Cecilia Seppia:
Gheddafi sarebbe
dunque asserragliato nel suo bunker e l’assalto alla capitale da parte delle forze
ribelli, che hanno conquistato la Cirenaica e diverse città dell’ovest, sarebbe questione
di ore. Il figlio invece parla di trattative in corso con i ribelli. La moglie di
Gheddafi, Ayesh e la figlia Aisha, avrebbero lasciato la Libia e sarebbero a Vienna.
Come altri diplomatici nei giorni scorsi, anche l'ambasciatore libico in Iran ha fatto
oggi defezione chiedendo che Gheddafi lasci il potere. Il servizio di Fausta Speranza:
Sono migliaia
i profughi egiziani, indiani, tunisini che da giorni scappano dalle milizie di Gheddafi
e, in un flusso continuo, superano la frontiera con la Tunisia a Ras Jedir. Dove
i militari hanno messo su una tendopoli che ospita tra i quattro e i cinquemila profughi,
via via smistati su autobus. Barbara Schiavulli, che si trova
sul posto, riferisce che non sono più solo gli stranieri a fuggire dalla Libia:
Per
la prima volta arrivano anche i libici. Loro non tornano a casa come gli stranieri
di questi giorni, ma cercano di mettersi al sicuro. Murad, ingegnere di 52 anni, ha
portato la sua famiglia in salvo e ora freme per tornare indietro. Vuole unirsi ai
ribelli per esserci il giorno in cui Gheddafi cadrà: “Ho visto cose orribili - racconta
- come buttare giù porte di casa, entrare e sparare... I mercenari e le forze speciali
sono ovunque, ma al colonnello non resta altro, il popolo è unito contro di lui”.
Racconta dell’esercito, ormai dalla parte della gente, di combattimenti a Tripoli
da dove lui viene... “Siamo gente perbene”, ci dice Murad, che ci dà appuntamento
per lunedì nella Tripoli liberata.
Quelli che varcano le frontiere parlano
della ferocia della milizia di Gheddafi e di vere e proprie esecuzioni contro gente
inerme. E c’è il caso di 25 lavoratori italiani rimasti bloccati, derubati e ormai
senza viveri nella cittadina di Amal, nel sud della Libia. Il ministro italiano della
Difesa, Ignazio La Russa, ha spiegato che dopo il tentativo ieri di riportarli in
patria in aereo, oggi si sta provvedendo via nave. D’altra parte, in tutto il caos
libico, i profughi sono al centro delle raccomandazioni dell’Onu, che dopo un accordo
di massima sta mettendo a punto le sanzioni da varare. Da parte sua, il presidente
degli Stati Uniti, Barack Obama, ha annunciato le misure di Washington contro la Libia:
congelare i beni della famiglia Gheddafi, ma non quelli che appartengono al popolo
libico. Dell’isolamento internazionale, parliamo con Luigi Geninazzi,
editorialista di Avvenire.
R. – Sì, certo, è un isolamento perché
l’embargo delle armi arriva sull’onda di una risoluzione dell’Onu, dopo che – mi pare
– era già stata decisa da vari Paesi europei e anche dall’amministrazione Obama. Diciamo,
però, che è una misura, come dire, un po’ scontata e tardiva: sarebbe stato meglio
non dare negli anni passati le armi che adesso stanno usando. E’ chiaro ora che nessuno
può mettersi in testa di fornirgliele ancora in modo lecito e legale. Però, è un segnale
importante ed è un segnale politico perché, ovviamente, Gheddafi è isolato non solo
sul piano interno, assediato nella sua Tripoli, nel suo bunker, ma anche a livello
internazionale.
D. – A questo punto,l il figlio di Gheddafi parla ancora
con i ribelli di trattative in corso: c’è margine, secondo te?
R. –
Non credo. Anche se nessuno può dare giudizi netti e definitivi sulla situazione così
confusa e caotica che c’è in Libia oggi. Però, mi sembra che i ribelli, che ormai
avevano conquistato non solo la Cirenaica ma anche altre città della Tripolitania,
si mettano a patteggiare o meglio a prendere tempo con il figlio del dittatore. Siamo
davanti a uno scenario di totale incertezza, con possibili ricadute ancora più tragiche
degli eventi che abbiamo vissuto nei giorni scorsi.
D. – Come può essere
il dopo Gheddafi?
R. – Le domande che ci facevamo in Tunisia e in Egitto
erano domande con alcune incognite, ma c’erano dei binari sui quali il treno della
crisi poteva correre senza deragliare. In Egitto, abbiamo visto l’esercito che ha
fatto una specie di golpe, ma ha promesso alla popolazione di mantenere il potere
in modo provvisorio fino alle prossime elezioni e di garantire un passaggio democratico
dei poteri. In Tunisia, la situazione è un po’ più confusa, però c’è un governo civile.
In Libia, c’è il totale caos e come dicono gli storici che conoscono il Paese - e
di loro dobbiamo fidarci più dei politici che hanno sbagliato tutte le previsioni
e tutti gli accordi. La Libia non solo non ha mai avuto la democrazia, ma è sempre
rimasto divisa in tante tribù, in tanti gruppi che si possono scontrare di nuovo e
che il dittatore Gheddafi aveva ammansito con il potere dei soldi derivanti dagli
incassi petroliferi. Adesso, tutto questo mondo è crollato e su queste macerie non
sappiamo che cosa succederà. Io direi solo una cosa: non facciamo subito i profeti
di sventura, affermando che sicuramente accadrà il peggio, che al Qaeda prenderà il
potere. Al Qaeda è stata presa alla sprovvista, gli integralisti islamici sono stati
presi alla sprovvista non solo dagli eventi in Libia, ma da questa grande ondata di
libertà che percorre il Maghreb e l’intero mondo arabo. Quindi, la partita è molto
aperta e in Libia è più che mai aperta. (bf)
E’ evidente che la crisi
libica, pur rientrando nello stesso vento di rivolta che ha animato il Nord Africa
e il Medio Oriente, si caratterizza per la scarsità e frammentarietà delle notizie.
Per l’assenza di giornalisti stranieri e soprattutto perché, a differenza della Tunisia
e dell’Egitto, Internet non ha rappresentato un fattore determinante: l’infrastruttura
da questo punto di vista era nettamente inferiore. In più, la rivolta in Libia ha
preso subito la piega della guerra civile. Pertanto è difficile anche capire chi siano
i ribelli. Luca Collodi ha chiesto aiuto a Fabrizio
Maronta,docente di Geografia politica ed economica all’Università
Roma Tre e collaboratore della rivista di geopolitica Limes:
R.
– Anche questo è un elemento piuttosto difficile perché l’elemento fondamentale dell’Egitto
- se vogliamo fare un paragone molto vicino nel tempo e anche nello spazio - era l’esercito,
quindi un’istituzione riconoscibile, fondamentalmente laica e anche, direi, socialmente
omogenea. Invece, adesso ci troviamo di fronte a un fattore di estrema frammentazione,
quello tribale. Vale la pena ricordare questo dato, perché non lo sento citato molto
spesso e invece mi sembra un aspetto fondamentale: la Libia ha oltre 140 tribù il
cui peso in questa insurrezione è in realtà ancora da appurare bene. La mia impressione
è che 42 anni di dominio di Gheddafi - che ha mirato proprio a diluire il potere delle
tribù, il quale era chiaramente un fattore di divisione che rendeva difficile governare
lo Stato in modo unitario e soprattutto autoritario - abbiano in qualche modo un po’
diminuito il fattore tribale ma non lo abbiano assolutamente annullato. In questo
momento, ripeto, credo che il fattore più determinante, ancor prima di quello religioso
- spesso paventato nell’ipotesi dell’avvento di una situazione di islamismo estremo
- sia proprio quello tribale. Da questo punto di vista, in realtà, è ben difficile
fare analisi perché non si sa bene da che parte stiano le tribù. Per gli occidentali,
soprattutto, è molto difficile poter trattare con esse, che non si presentano come
un’istituzione unitaria ma come un "arcipelago" di istanze.
D. – L’elemento
religioso che ruolo può avere nello sviluppo della situazione libica?
R.
– Finora, Al Qaeda nel Maghreb è stata relativamente - e dico relativamente - assente
dalla Libia perché, in realtà, la Libia è stata fondamentalmente un Paese di transito
delle correnti migratorie e di conseguenza anche delle componenti estremiste. Il problema
fondamentale è che tra le prime porte a essere aperte, ancora prima di quelle dei
varchi di confine per accogliere i rifugiati tunisini e egiziani, sono state quelle
delle carceri di massima sicurezza, soprattutto a Tripoli. Si pensa che questo fatto
abbia permesso la fuoriuscita di una serie di elementi incarcerati dal regime di Gheddafi,
perché ritenuti pericolosi anche per la stabilità del regime e che adesso potrebbero
confondersi con i flussi migratori. (bf)