Il Papa riceve il patriarca libanese Sfeir. Intervista con mons. Eid sui cambiamenti
nel mondo arabo
Il Papa ha ricevuto oggi in Vaticano il cardinale Nasrallah Pierre Sfeir, patriarca
di Antiochia dei Maroniti, in Libano. Il porporato aveva partecipato mercoledì scorso
alla cerimonia di benedizione della statua di San Marone, il fondatore della Chiesa
maronita, posta in una nicchia esterna della Basilica Vaticana. All’evento era presente
anche il capo di Stato libanese Michel Sleiman, che ieri ha avuto con il Papa un cordiale
colloquio, incentrato anche sui recenti avvenimenti in alcuni Paesi arabi e nel quale
è emersa la comune convinzione dell’urgenza di risolvere i conflitti ancora aperti
nella Regione. A questo proposito il responsabile del Programma arabo della Radio
Vaticana, padre Jean Mouhanna, ha raccolto la riflessione del vescovo maronita
del Cairo, mons. François Eid, che ha fatto parte della delegazione del cardinale
Sfeir:
R. - (parole
in arabo) Ciò che vediamo è un travaglio molto complicato dal quale dovrebbero
nascere nuovi governi, diversi da quelli vecchi che hanno trascurato il bene dei popoli,
impossessandosi di tutte le ricchezze dei loro rispettivi Paesi. Invece di instaurare
lo stato di diritto hanno creato dei regimi di stampo familiare e questo ha allargato
il fossato con il popolo. Dinanzi a questa situazione i giovani si sono trovati davanti
ad una decisione: quella di cambiare. Una scelta non facile perché questi regimi sono
armati, mentre i giovani hanno dalla loro parte solo la conoscenza e la cultura. In
questo i mass media e le nuove tecnologie di comunicazione hanno molto aiutato i giovani.
Il miracolo è iniziato in Tunisia: abbiamo visto e vediamo strade stracolme di giovani
che chiedono giustizia. Noi ci auguriamo che non si infiltrino alcuni partiti religiosi
per sfruttare, per i loro scopi, questa rivoluzione dei giovani trasformandola in
una ideologia e in una situazione negativa.
D. - Quali sono ora le
prospettive?
R. - (parole in arabo) Non c’è dubbio che il
cambiamento è iniziato e non si può tornare indietro! I giovani aspirano solo ad uno
Stato che sia per tutti i cittadini, a prescindere dall’appartenenza, culturale, religiosa,
etnica o tribale. Sappiamo che Paesi come la Libia e lo Yemen sono strutturati su
base tribale. I giovani invece si sentono di appartenere a un villaggio nazionale
e universale, non tribale. Il loro sogno è quello di costruire uno Stato migliore
capace di realizzare le loro aspirazioni. Dicono che ogni regime basato sull’ingiustizia
deve finire. Cercano il pane, il lavoro, una vita dignitosa, la libertà, il diritto,
perché la dignità di un semplice cittadino è uguale alla dignità di chi governa. Questi
regimi invece sono fallimentari. I giovani hanno capito che anche i progressi compiuti
da questi Paesi andavano solo a vantaggio dei corrotti. Il popolo non ha ottenuto
nulla da questi progressi. Ora aspettano di ritrovare la loro dignità.