2011-02-25 15:22:56

Africa sub-sahariana: governi allarmati per il vento delle rivolte popolari


In questi giorni di profonde trasformazioni nel Maghreb e non solo, la stampa africana si interroga sulla possibilità che il vento delle rivolte popolari in Libia, Egitto e Tunisia “riesca ad attraversare il deserto e travolga, come uno tsunami, le roccaforti sub-sahariane dei regimi autocratici”. A riferirlo è l’Agenzia missionaria Misna, che riporta le riflessioni di diverse testate giornalistiche del Continente. Ce ne parla padre Carmine Curci, direttore della Misna, intervistato da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – C’è soprattutto un fermento molto forte da parte dei giovani, che ha accompagnato ed accompagna, attraverso i canali televisivi internazionali, quello che è successo – a partire dal 17 dicembre – prima in Tunisia, poi in Egitto ed ora in Libia. I giovani africani a Sud del Sahara hanno cominciato a sentire dentro di loro un po’ questa rabbia. Questo esiste tra i giovani e i giornali lo hanno percepito. Ci sono, però, anche delle differenze: se nei Paesi del Maghreb, Internet, Facebook e Youtube hanno giocato un ruolo molto importante, nel Sud del Sahara invece Internet non è ancora alla portata di tanta gente, anche se – per esempio - in Africa ci sono circa 500 milioni di cellulari. Esistono quindi delle differenze, soprattutto dal punto di vista della comunicazione.

D. – Nei Paesi dell’Africa sub-sahariana ci sono dei fattori che potrebbero, in qualche modo, collegarsi ai motivi all’origine delle proteste di Tunisi, del Cairo, di Tripoli?

R. – Sì. Anzitutto il problema della disoccupazione giovanile; l’oppressione di alcuni governi dittatoriali che abbiamo nel Sud del Sahara; il tasso di alfabetizzazione: tutti questi elementi possono collegarci a ciò che è successo nelle rivolte del Maghreb. La gente del Sud del Sahara è stanca delle promesse fatte dai loro presidenti.

D. – In alcuni Paesi ci sono presidenti che sono al potere da quasi 30 anni, con nuove generazioni di africani che hanno conosciuto solo un capo di Stato…

R. – Effettivamente sì. Pensiamo che il 60 per cento della popolazione africana ha meno di 18 anni e che è nata con l’immagine - in casa o per la strada - della faccia di un solo presidente. Conoscono solo questo tipo di politica. E’ importante la televisione, che sta facendo vedere altri modi di fare politica. Incide pure il fatto che molti giovani abbiano studiato: il senso della democrazia sta prendendo piede nei loro cuori.

D. – Quindi sembra di capire che se da un lato ci sono fattori simili alle ragioni delle rivolte nel Maghreb, dall’altro ci sono fattori che, invece, impediscono o comunque rendono più difficile una protesta di piazza. Allora cosa c’è da aspettarsi per i prossimi mesi nell’Africa sub-sahariana?

R. – Il fatto che in alcuni Paesi comincino a sentire questo desiderio indica una possibilità di muoversi. Vorrei ricordare che nel 1989 cominciò a farsi sentire in Benin, da parte dei giovani, il desiderio di un multipartitismo: furono proprio i giovani delle università a scendere in piazza. E’ possibile che nei prossimi mesi – ancora una volta – rivedremo i giovani nelle città africane muoversi, per chiedere una partecipazione politica nelle scelte dei loro Paesi. (mg)







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