2011-02-22 15:12:38

Violenze domestiche: quando la vittima è il bambino che assiste. Rapporto di Save the children


Sono almeno 400 mila i minori in Italia che assistono in casa a episodi di violenza di vario genere in cui è vittima la loro madre. Ma, viste le conseguenze, è come se a venire violati fossero i bambini stessi. E’ una consapevolezza che ancora non c’è né a livello istituzionale né di opinione pubblica. Da qui nasce il rapporto presentato oggi a Roma da Save the Children e dal Garante dei diritti dell’Infanzia del Lazio, nell’ambito del progetto comunitario Daphne III. Il titolo è “Spettatori e vittime: i minori e la violenza assistita in ambito domestico. Analisi dell’efficienza del sistema di protezione”. Approfondite anche tre realtà regionali del Lazio, del Piemonte e della Calabria. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Raffaela Milano responsabile dei programmi Italia - Europa di Save the Children:RealAudioMP3

R. - Una delle cifre più significative è la stima del numero dei minori vittime di questa violenza assistita, almeno 400 mila, ma questo è un fenomeno sommerso su cui c’è ancora poca attenzione, quindi immaginiamo che i numeri possano essere anche molto più alti. C’è bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che un bambino che assiste ad una violenza è vittima di questa violenza diretta o indiretta che sia. Allo stesso tempo, noi abbiamo in Italia dei centri eccellenti di sostegno alle donne, centri antiviolenza, case rifugio. Però, questa rete non è diffusa su tutto il territorio nazionale, perciò tutto quello che noi chiediamo è che questo servizio diventi uno standard di tutta Italia.

D. – Quindi più servizi, più coordinati, ma anche una legislazione apposita?

R. – Per i bambini, in effetti, non c’è una legge specifica. Quindi, spesso, questo tema rientra come violenza psicologica, cioè diventa un aggravante per la persona che maltratta una donna. Certamente, è importante anche un intervento legislativo che rafforzi questa tutela dei minori: alcune regioni si sono mosse in questa direzione, anche se a livello nazionale questo resta ancora da fare.

D. – Dal Rapporto emerge pure che, spesso, le donne sono le prime a essere inconsapevoli di quanto può subire il bambino...

R. – Sì, è una frase ricorrente: “Con me è violento, però è un buon padre”. Su questo, è necessario far capire invece i danni enormi che si possono verificare nella crescita di un bambino.

D. – Ci sono i danni, ma ci sono anche soluzioni...

R. – E’ vero che non ci sono leggi specifiche, però l’Italia ha una buona legislazione sulla volenza, sulle donne, ed è importante non arrendersi ad una situazione di questo tipo. (ma)

Ma quali sono le conseguenze effettive sui minori della violenza domestica assistita e quale il ruolo dei servizi sul territorio? Gabriella Ceraso lo ha chiesto a Paola Re, psicoterapeuta dell’età evolutiva:RealAudioMP3

R. – Assistere alla violenza vuol dire subire un trauma. Le conseguenze sono molteplici, a volte non immediate in rapporto all’età: alcune sono più somatiche, alcune destrutturano l’apparato psichico del bambino... Cosa vuol dire? Che il bambino è inondato da forme di aggressività non contenute, alle quali non può dare un nome: ne derivano confusione e meccanismi di difesa forti per contenere questa angoscia. Ne deriva un impoverimento dell’io e delle sue funzioni.

D. – Quindi, questo vuol dire che non si tratta solo di un problema del presente, ma che è anche un problema del futuro?

R. – Gli stessi bambini possono, se non aiutati assieme al nucleo familiare, mettere in atto la stessa aggressività. Ciò può essere un tentativo per superare il trauma.

D. - Dal Rapporto sembrerebbe che, in realtà, in Italia oggi siamo un po’ indietro con i servizi. Che tipo di assistenza ci dovrebbe essere?

R. – Più che interventi specializzati, che ci sono, manca veramente una rete che accompagni le varie istituzioni. O, potremmo dire, che ci sono dei "buchi" in questa rete. Quindi, è necessario un coordinamento tra i vari interventi e promuovere servizi finalizzati a tutta la famiglia. Altro aspetto che il Rapporto delinea è quello della cultura e della prevenzione, dove venga veramente sottolineato che la violenza non può essere qualcosa di circolante all’interno delle mura familiari e che il legame non può essere di aggressività non gestita. (bf)










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