Violenze domestiche: quando la vittima è il bambino che assiste. Rapporto di Save
the children
Sono almeno 400 mila i minori in Italia che assistono in casa a episodi di violenza
di vario genere in cui è vittima la loro madre. Ma, viste le conseguenze, è come se
a venire violati fossero i bambini stessi. E’ una consapevolezza che ancora non c’è
né a livello istituzionale né di opinione pubblica. Da qui nasce il rapporto presentato
oggi a Roma da Save the Children e dal Garante dei diritti dell’Infanzia del Lazio,
nell’ambito del progetto comunitario Daphne III. Il titolo è “Spettatori e vittime:
i minori e la violenza assistita in ambito domestico. Analisi dell’efficienza del
sistema di protezione”. Approfondite anche tre realtà regionali del Lazio, del Piemonte
e della Calabria. Gabriella Ceraso ne ha parlato con Raffaela Milano
responsabile dei programmi Italia - Europa di Save the Children:
R. - Una
delle cifre più significative è la stima del numero dei minori vittime di questa violenza
assistita, almeno 400 mila, ma questo è un fenomeno sommerso su cui c’è ancora poca
attenzione, quindi immaginiamo che i numeri possano essere anche molto più alti. C’è
bisogno di sensibilizzare l’opinione pubblica sul fatto che un bambino che assiste
ad una violenza è vittima di questa violenza diretta o indiretta che sia. Allo stesso
tempo, noi abbiamo in Italia dei centri eccellenti di sostegno alle donne, centri
antiviolenza, case rifugio. Però, questa rete non è diffusa su tutto il territorio
nazionale, perciò tutto quello che noi chiediamo è che questo servizio diventi uno
standard di tutta Italia.
D. – Quindi più servizi, più coordinati, ma
anche una legislazione apposita?
R. – Per i bambini, in effetti, non
c’è una legge specifica. Quindi, spesso, questo tema rientra come violenza psicologica,
cioè diventa un aggravante per la persona che maltratta una donna. Certamente, è importante
anche un intervento legislativo che rafforzi questa tutela dei minori: alcune regioni
si sono mosse in questa direzione, anche se a livello nazionale questo resta ancora
da fare.
D. – Dal Rapporto emerge pure che, spesso, le donne sono le
prime a essere inconsapevoli di quanto può subire il bambino...
R.
– Sì, è una frase ricorrente: “Con me è violento, però è un buon padre”. Su questo,
è necessario far capire invece i danni enormi che si possono verificare nella crescita
di un bambino.
D. – Ci sono i danni, ma ci sono anche soluzioni...
R.
– E’ vero che non ci sono leggi specifiche, però l’Italia ha una buona legislazione
sulla volenza, sulle donne, ed è importante non arrendersi ad una situazione di questo
tipo. (ma)
Ma quali sono le conseguenze effettive sui minori della violenza
domestica assistita e quale il ruolo dei servizi sul territorio? Gabriella Ceraso
lo ha chiesto a Paola Re, psicoterapeuta dell’età evolutiva:
R. – Assistere
alla violenza vuol dire subire un trauma. Le conseguenze sono molteplici, a volte
non immediate in rapporto all’età: alcune sono più somatiche, alcune destrutturano
l’apparato psichico del bambino... Cosa vuol dire? Che il bambino è inondato da forme
di aggressività non contenute, alle quali non può dare un nome: ne derivano confusione
e meccanismi di difesa forti per contenere questa angoscia. Ne deriva un impoverimento
dell’io e delle sue funzioni.
D. – Quindi, questo vuol dire che non
si tratta solo di un problema del presente, ma che è anche un problema del futuro?
R.
– Gli stessi bambini possono, se non aiutati assieme al nucleo familiare, mettere
in atto la stessa aggressività. Ciò può essere un tentativo per superare il trauma.
D.
- Dal Rapporto sembrerebbe che, in realtà, in Italia oggi siamo un po’ indietro con
i servizi. Che tipo di assistenza ci dovrebbe essere?
R. – Più che interventi
specializzati, che ci sono, manca veramente una rete che accompagni le varie istituzioni.
O, potremmo dire, che ci sono dei "buchi" in questa rete. Quindi, è necessario un
coordinamento tra i vari interventi e promuovere servizi finalizzati a tutta la famiglia.
Altro aspetto che il Rapporto delinea è quello della cultura e della prevenzione,
dove venga veramente sottolineato che la violenza non può essere qualcosa di circolante
all’interno delle mura familiari e che il legame non può essere di aggressività non
gestita. (bf)