Mesajul papei Benedict al XVI-lea pentru Postul Mare 2011 în limbile italiană, engleză,
franceză şi germană
(RV - 22 februarie 2011) A fost prezentat marţi la Sala de presă a Sfântului
Scaun Mesajul papei Benedict al XVI-lea pentru Postul Mare 2011. Tema mesajului
se inspirtă din Scrisoarea Sfântului Paul către Coloseni: "Înmormântaţi fiind împreună
cu Cristos prin botez, prin el aţi şi fost înviaţi” (2,12).
Propunem succesiv
textul Mesajului în limibile italiană, engleză, franceză şi germană:
MESSAGGIO
DEL SANTO PADRE “Con Cristo siete sepolti nel Battesimo, con lui siete anche
risorti” (cfr Col 2,12) Cari fratelli e sorelle, la Quaresima, che ci conduce
alla celebrazione della Santa Pasqua, è per la Chiesa un tempo liturgico assai prezioso
e importante, in vista del quale sono lieto di rivolgere una parola specifica perché
sia vissuto con il dovuto impegno. Mentre guarda all'incontro definitivo con il suo
Sposo nella Pasqua eterna, la Comunità ecclesiale, assidua nella preghiera e nella
carità operosa, intensifica il suo cammino di purificazione nello spirito, per attingere
con maggiore abbondanza al Mistero della redenzione la vita nuova in Cristo Signore
(cfr Prefazio I di Quaresima).
1. Questa stessa vita ci è già stata trasmessa
nel giorno del nostro Battesimo, quando, "divenuti partecipi della morte e risurrezione
del Cristo", è iniziata per noi "l'avventura gioiosa ed esaltante del discepolo"(Omelia
nella Festa del Battesimo del Signore, l0 gennaio 2010). San Paolo, nelle sue Lettere,
insiste ripetutamente sulla singolare comunione con il Figlio di Dio realizzata in
questo lavacro. Il fatto che nella maggioranza dei casi il Battesimo si riceva da
bambini mette inevidenza che si tratta di un dono di Dio: nessuno merita la vita eterna
con le proprie forze. La misericordia di Dio, che cancella il peccato e permette di
vivere nella propria esistenza "gli stessi sentimenti di Cristo Gesù" (Fil 2,5), viene
comunicata all'uomo gratuitamente . L'Apostolo delle genti, nella Lettera ai Filippesi,
esprime il senso della trasformazione che si attua con la partecipazione alla morte
e risurrezione di Cristo, indicandone la meta: che "io possa conoscere lui, la
potenza della sua risurrezione, la comunione alle sue sofferenze, facendomi conforme
alla sua morte, nella speranza di giungere alla risurrezione dai morti" (Fil 3,10-11).
Il Battesimo, quindi, non è un rito del passato, ma l'incontro con Cristo che informa
tutta l'esistenza del battezzato, gli dona la vita divina e lo chiama ad una conversione
sincera, avviata e sostenuta dalla Grazia, che lo porti a raggiungere la statura adulta
del Cristo. Un nesso particolare lega il Battesimo alla Quaresima come momento favorevole
per sperimentare la Grazia che salva. I Padri del Concilio Vaticano II hanno richiamato
tutti i Pastori della Chiesa ad utilizzare "più abbondantemente gli elementi battesimali
propri della liturgia quaresimale" (Cost. Sacrosanctum Concilium, 109). Da sempre,
infatti, la Chiesa associa la Veglia Pasquale alla celebrazione del Battesimo: in
questo Sacramento si realizza quel grande mistero per cui l'uomo muore al peccato,
è fatto partecipe della vita nuova in CristoRisorto e riceve lo stesso Spirito di
Dio che ha risuscitato Gesù dai morti (cfr Rm 8, Il). Questo dono gratuito deve essere
sempre ravvivato in ciascuno di noi e la Quaresima ci offre un percorso analogo al
catecumenato, che per i cristiani della Chiesa antica, come pure per i catecumeni
d'oggi, è una scuola insostituibile di fede e di vita cristiana: davvero essi vivono
il Battesimo come un atto decisivo per tutta la loro esistenza.
2. Per intraprendere
seriamente il cammino verso la Pasqua e prepararci a celebrare la Risurrezione del
Signore - la festa più gioiosa e solenne di tutto l'Anno liturgico - che cosa può
esserci di più adatto che lasciarci condurre dalla Parola di Dio? Per questo la Chiesa,
nei testi vangelici delle domeniche di Quaresima, ci guida ad un incontro particolarmente
intenso con il Signore, facendoci ripercorrere le tappe del cammino dell'iniziazione
cristiana: per i catecumeni, nella prospettiva di ricevere il Sacramento della rinascita,
per chi è battezzato, in vista di nuovi e decisivi passi nella sequela di Cristo e
nel dono più pieno a Lui. La prima domenica dell'itinerario quaresimale evidenzia
la nostra condizione dell'uomo su questa terra. Il combattimento vittorioso contro
le tentazioni, che dà inizio alla missione di Gesù, è un invito a prendere consapevolezza
della propria fragilità per accogliere la Grazia che libera dal peccato e infonde
nuova forza in Cristo, via, verità e vita (cfr Ordo Initiationis Christianae Adultorum,
n. 25). È un deciso richiamo a ricordare come la fede cristiana implichi, sull'esempio
di Gesù e in unione con Lui, una lotta "contro i dominatori di questo mondo tenebroso"
(Ef 6,12), nel quale il diavolo è all'opera e non si stanca, neppure oggi, di tentare
l'uomo che vuole vvicinarsi al Signore: Cristo ne esce vittorioso, per aprire anche
il nostro cuore alla speranza e guidarci a vincere le seduzioni del male. Il Vangelo
della Trasfigurazione del Signore pone davanti ai nostri occhi la gloria di Cristo,
che anticipa la risurrezione e che annuncia la divinizzazione dell'uomo. La comunità
cristiana prende coscienza di essere condotta, come gli apostoli Pietro, Giacomo e
Giovanni, "in disparte, su un alto monte" (Mt 17,1), per accogliere nuovamente in
Cristo, quali figli nel Figlio, il dono della Grazia di Dio: "Questi è il Figlio mio,
l'amato: in lui ho posto il mio compiacimento. Ascoltatelo" (v. 5). È l'invito a prendere
le distanze dal rumore del quotidiano per immergersi nella presenza di Dio: Egli vuole
trasmetterci, ogni giorno, una Parola che penetra nelle profondità del nostro spirito,
dove discerne il bene e il male (cfr Eb 4,12) e rafforza la volontà di seguire
il Signore. La domanda di Gesù alla Samaritana: "Dammi da bere" (Gv 4,7),che viene
proposta nella liturgia della terza domenica, esprime la passione di Dio per ogni
uomo e vuole suscitare nel nostro cuore il desiderio del dono dell’"acqua che zampilla
per la vita eterna" (v. 14): è il dono dello Spirito Santo, che fa dei cristiani "veri
adoratori" in grado di pregare il Padre "in spirito e verità" (v. 23). Solo quest'acqua
può estinguere la nostra sete di bene, di verità e di bellezza! Solo quest'acqua,
donataci dal Figlio, irriga i deserti dell'anima inquieta e insoddisfatta, "finché
non riposa in Dio", secondo le celebri parole di sant'Agostino. La domenica del cieco
nato presenta Cristo come luce del mondo. Il Vangelo interpella ciascuno di noi: "Tu,
credi nel Figlio dell'uomo?"."Credo, Signore!" (Gv 9,35.38), afferma con gioia il
cieco nato, facendosi voce di ogni credente. Il miracolo della guarigione è il segno
che Cristo, insieme alla vista, vuole aprire il nostro sguardo interiore, perché la
nostra fede diventi sempre più profonda e possiamo riconoscere in Lui l'unico nostro
Salvatore. Egli illumina tutte le oscurità della vita e porta l'uomo a vivere da "figlio
della luce". Quando, nella quinta domenica, ci viene proclamata la risurrezione di
Lazzaro, siamo messi di fronte al mistero ultimo della nostra esistenza: "lo sono
la risurrezione e la vita ... Credi questo?" (Gv Il,25-26). Per la comunità cristiana
è il momento di riporre con sincerità, insieme a Marta, tutta la speranza in Gesù
di Nazareth: "Sì, o Signore, io credo che tu sei il Cristo, il Figlio di Dio, colui
che viene nel mondo"(v. 27). La comunione con Cristo in questa vita ci prepara a superare
il confine della morte, per vivere senza fine in Lui. La fede nella risurrezione dei
morti e la speranza della vita eterna aprono il nostro sguardo al senso ultimo della
nostra esistenza: Dio ha creato l'uomo perla risurrezione e per la vita, e questa
verità dona la dimensione autentica e definitiva alla storia degli uomini, alla loro
esistenza personale e al loro vivere sociale, alla cultura, alla politica, all'economia.
Privo della luce della fede l'universo intero finisce rinchiuso dentro un sepolcro
senza futuro, senza speranza. Il percorso quaresimale trova il suo compimento nel
Triduo Pasquale, particolarmente nella Grande Veglia nella Notte Santa: rinnovando
le promesse battesimali, riaffermiamo che Cristo è il Signore della nostra vita, quella
vita che Dio ci ha comunicato quando siamo rinati "dall'acqua e dallo Spirito Santo",
e riconfermiamo il nostro fermo impegno di corrispondere all'azione della Grazia per
essere suoi discepoli.
3. Il nostro immergerci nella morte e risurrezione
di Cristo attraverso il Sacramento del Battesimo, ci spinge ogni giorno a liberare
il nostro cuore dal peso delle cose materiali, da un legame egoistico con la "terra",
che ci impoverisce e ci impedisce di essere disponibili e apertia Dio e al prossimo.
In Cristo, Dio si è rivelato come Amore (cfr 1Gv 4,7-10). La Croce di Cristo, la "parola
della Croce" manifesta la potenza salvifica di Dio (cfr 1Cor 1,18), che si dona per
rialzare l'uomo e portargli la salvezza: amore nella sua forma più radicale (cfr Enc.
Deus caritas est, 12). Attraverso le pratiche tradizionali del digiuno, dell'elemosina
e della preghiera, espressioni dell'impegno di conversione, la Quaresima educa a vivere
in modo sempre più radicale l'amore di Cristo. Il digiuno, che può avere diverse motivazioni,
acquista per il cristiano un significato profondamente religioso: rendendo più povera
la nostra mensa impariamo a superare l'egoismo per vivere nella logica del dono e
dell'amore; sopportando la privazione di qualche cosa -e non solo di superfluo - impariamo
a distogliere lo sguardo dal nostro "io", per scoprire Qualcuno accanto a noi e riconoscere
Dio nei volti di tanti nostri fratelli. Per il cristiano il digiuno non ha nulla di
intimistico, ma apre maggiormente a Dio e alle necessità degli uomini, e fa sì che
l'amore per Dio sia anche amore per il prossimo (cfr Mc 12,31). Nel nostro cammino
ci troviamo di fronte anche alla tentazione dell'avere, dell'avidità di denaro, che
insidia il primato di Dio nella nostra vita. La bramosia del possesso provoca violenza,
prevaricazione e morte; per questo la Chiesa, specialmente nel tempo quaresimale,
richiama alla pratica dell'elemosina, alla capacità, cioè, di condivisione. L'idolatria
dei beni, invece, non solo allontana dall'altro, ma spoglia l'uomo, lo rende infelice,
lo inganna, lo illude senza realizzare ciò che promette, perché colloca le cose materiali
al posto di Dio, unica fonte della vita. Come comprendere la bontà paterna di Dio
se il cuore è pieno di sé e dei propri progetti, con i quali ci si illude di potersi
assicurare il futuro? La tentazione è quella di pensare, come il ricco della parabola:
"Anima mia, hai a disposizione molti beni per molti anni ...". Conosciamo il giudizio
del Signore: "Stolto, questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita ..." (Lc 12,19-20).
La pratica dell'elemosina è un richiamo al primato di Dio e all'attenzione verso l'altro,
per riscoprire il nostro Padre buono e ricevere la sua misericordia. In tutto il periodo
quaresimale, la Chiesa ci offre con particolare abbondanza la Parola di Dio. Meditandola
ed interiorizzandola per viverla quotidianamente, impariamo una forma preziosa e insostituibile
di preghiera, perché l'ascolto attento di Dio, che continua a parlare al nostro cuore,
alimenta il cammino di fede che abbiamo iniziato nel giorno del Battesimo. La preghiera
ci permette anche di acquisire una nuova concezione del tempo: senza la prospettiva
dell'eternità e della trascendenza, infatti, esso scandisce semplicemente i nostri
passi verso un orizzonte che non ha futuro. Nella preghiera troviamo, invece, tempo
per Dio, per conoscere che "le sue parole non passeranno" (cfr Mc13,31), per entrare
in quell'intima comunione con Lui "che nessuno potrà toglierci" (cfr Gv 16,22) e che
ci apre alla speranza che non delude, alla vita eterna. In sintesi, l'itinerario quaresimale,
nel quale siamo invitati a contemplare il Mistero della Croce, è "farsi conformi alla
morte di Cristo" (Fil 3, l0), per attuare una conversione profonda della nostra vita:
lasciarci trasformare dall'azione dello Spirito Santo, come san Paolo sulla via di
Damasco; orientare con decisione la nostra esistenza secondo la volontà di Dio; liberarci
dal nostro egoismo, superando l'istinto di dominio sugli altri e aprendoci alla carità
di Cristo. Il periodo quaresimale è momento favorevole per riconoscere la nostra debolezza,
accogliere, con una sincera revisione di vita, la Grazia rinnovatrice del Sacramento
della Penitenza e camminare con decisione verso Cristo. Cari fratelli e sorelle,
mediante l'incontro personale col nostro Redentore e attraverso il digiuno, l'elemosina
e la preghiera, il cammino di conversione verso la Pasqua ci conduce a riscoprire
il nostro Battesimo. Rinnoviamo in questa Quaresima l'accoglienza della Grazia che
Dio ci ha donato in quel momento, perché illumini e guidi tutte le nostre azioni.
Quanto il Sacramento significa e realizza, siamo chiamati a viverlo ogni giorno in
una sequela di Cristo sempre più generosa e autentica. In questo nostro itinerario,
ci affidiamo alla Vergine Maria, che ha generato il Verbo di Dio nella fede e nella
carne, per immergerci come Lei nella morte e risurrezione del suo Figlio Gesù ed avere
la vita eterna.
Dal Vaticano, 4 novembre 2010
BENEDICTUS PP XVI
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! TRADUZIONE IN LINGUA INGLESE “You were buried with him in baptism, in
which you were also raised with him.” (cf. Col 2: 12) Dear Brothers and Sisters, The
Lenten period, which leads us to the celebration of Holy Easter, is for the Church
a most valuable and important liturgical time, in view of which I am pleased to
offer a specific word in order that it may be lived with due diligence. As she
awaits the definitive encounter with her Spouse in the eternal Easter, the Church
community, assiduous in prayer and charitable works, intensifies her journey in
purifying the spirit, so as to draw more abundantly from the Mystery of Redemption
the new life in Christ the Lord (cf. Preface I of Lent).
1. This very life
was already bestowed upon us on the day of our Baptism, when we “become sharers
in Christ’s death and Resurrection”, and there began for us “the joyful and exulting
adventure of his disciples” (Homily on the Feast of the Baptism of the Lord, 10 January,
2010). In his Letters, St. Paul repeatedly insists on the singular communion with
the Son of God that this washing brings about. The fact that, in most cases, Baptism
is received in infancy highlights how it is a gift of God: no one earns eternal
life through their own efforts. The mercy of God, which cancels sin and, at the
same time, allows us to experience in our lives “the mind of Christ Jesus” (Phil
2: 5), is given to men and women freely.The Apostle to the Gentiles, in the Letter
to the Philippians, expresses the meaning of the transformation that takes place
through participation in the death and resurrection of Christ, pointing to its goal:
that “I may come to know him and the power of his resurrection, and partake of
his sufferings by being molded to the pattern of his death, striving towards the
goal of resurrection from the dead” (Phil 3: 10-11). Hence, Baptism is not a rite
from the past, but the encounter with Christ, which informs the entire existence
of the baptized, imparting divine life and calling for sincere conversion; initiated
and supported by Grace, it permits the baptized to reach the adult stature of Christ. A
particular connection binds Baptism to Lent as the favorable time to experience this saving
Grace. The Fathers of the Second Vatican Council exhorted all of the Church’s Pastors to
make greater use “of the baptismal features proper to the Lenten liturgy” (Constitution
on the Sacred Liturgy Sacrosanctum concilium, n. 109). In fact, the Church has
always associated the Easter Vigil with the celebration of Baptism: this Sacrament
realizes the great mystery in which man dies to sin, is made a sharer in the new
life of the Risen Christ and receives the same Spirit of God who raised Jesus from
the dead (cf. Rm 8: 11). This free gift must always be rekindled in each one of
us, and Lent offers us a path like that of the catechumenate, which, for the Christians
of the early Church, just as for catechumens today, is an irreplaceable school of
faith and Christian life. Truly, they live their Baptism as an act that shapes
their entire existence.
2. In order to undertake more seriously our journey
towards Easter and prepare ourselves to celebrate the Resurrection of the Lord
– the most joyous and solemn feast of the entire liturgical year – what could be
more appropriate than allowing ourselves to be guided by the Word of God? For this
reason, the Church, in the Gospel texts of the Sundays of Lent, leads us to a particularly
intense encounter with the Lord, calling us to retrace the steps of Christian initiation:
for catechumens, in preparation for receiving the Sacrament of rebirth; for the baptized,
in light of the new and decisive steps to be taken in the sequela Christi and a fuller giving
of oneself to him. The First Sunday of the Lenten journey reveals our condition
as human beings here on earth. The victorious battle against temptation, the starting
point of Jesus’ mission, is an invitation to become aware of our own fragility
in order to accept the Grace that frees from sin and infuses new strength in Christ
– the way, the truth and the life (cf. Ordo Initiationis Christianae Adultorum,
n. 25). It is a powerful reminder that Christian faith implies, following the example
of Jesus and in union with him, a battle “against the ruling forces who are masters of
the darkness in this world” (Eph 6: 12), in which the devil is at work and never tires
– even today – of tempting whoever wishes to draw close to the Lord: Christ emerges
victorious to open also our hearts to hope and guide us in overcoming the seductions
of evil. The Gospel of the Transfiguration of the Lord puts before our eyes the
glory of Christ, which anticipates the resurrection and announces the divinization
of man. The Christian community becomes aware that Jesus leads it, like the Apostles
Peter, James and John “up a high mountain by themselves” (Mt 17: 1), to receive
once again in Christ, as sons and daughters in the Son, the gift of the Grace of
God: “This is my Son, the Beloved; he enjoys my favor. Listen to him” (Mt 17: 5).
It is the invitation to take a distance from the noisiness of everyday life in
order to immerse oneself in God’s presence. He desires to hand down to us, each day,
a Word that penetrates the depths of our spirit, where we discern good from evil
(cf. Heb 4:12), reinforcing our will to follow the Lord. The question that Jesus
puts to the Samaritan woman: “Give me a drink” (Jn 4: 7), is presented to us in
the liturgy of the third Sunday; it expresses the passion of God for every man and
woman, and wishes to awaken in our hearts the desire for the gift of “a spring of
water within, welling up for eternal life” (Jn 4: 14): this is the gift of the
Holy Spirit, who transforms Christians into “true worshipers,” capable of praying
to the Father “in spirit and truth” (Jn 4: 23). Only this water can extinguish
our thirst for goodness, truth and beauty! Only this water, given to us by the
Son, can irrigate the deserts of our restless and unsatisfied soul, until it “finds rest
in God”, as per the famous words of St. Augustine. The Sunday of the man born blind
presents Christ as the light of the world. The Gospel confronts each one of us
with the question: “Do you believe in the Son of man?” “Lord, I believe!” (Jn 9:
35. 38), the man born blind joyfully exclaims, giving voice to all believers. The miracle
of this healing is a sign that Christ wants not only to give us sight, but also open
our interior vision, so that our faith may become ever deeper and we may recognize
him as our only Savior. He illuminates all that is dark in life and leads men and
women to live as “children of the light”. On the fifth Sunday, when the resurrection
of Lazarus is proclaimed, we are faced with the ultimate mystery of our existence:
“I am the resurrection and the life… Do you believe this?” (Jn 11: 25-26). For
the Christian community, it is the moment to place with sincerity – together with
Martha – all of our hopes in Jesus of Nazareth: “Yes, Lord, I believe that you are
the Christ, the Son of God, the one who was to come into this world” (Jn 11: 27).
Communion with Christ in this life prepares us to overcome the barrier of death,
so that we may live eternally with him. Faith in the resurrection of the dead and
hope in eternal life open our eyes to the ultimate meaning of our existence: God
created men and women for resurrection and life, and this truth gives an authentic
and definitive meaning to human history, to the personal and social lives of men
and women, to culture, politics and the economy. Without the light of faith, the entire
universe finishes shut within a tomb devoid of any future, any hope. The Lenten
journey finds its fulfillment in the Paschal Triduum, especially in the Great Vigil
of the Holy Night: renewing our baptismal promises, we reaffirm that Christ is the
Lord of our life, that life which God bestowed upon us when we were reborn of “water
and Holy Spirit”, and we profess again our firm commitment to respond to the action
of the Grace in order to be his disciples.
3. By immersing ourselves into
the death and resurrection of Christ through the Sacrament of Baptism, we are moved
to free our hearts every day from the burden of material things, from a self-centered
relationship with the “world” that impoverishes us and prevents us from being available
and open to God and our neighbor. In Christ, God revealed himself as Love (cf. 1Jn 4:
7-10). The Cross of Christ, the “word of the Cross”, manifests God’s saving power
(cf. 1Cor 1: 18), that is given to raise men and women anew and bring them salvation:
it is love in its most extreme form (cf. Encyclical Deus caritas est, n. 12). Through
the traditional practices of fasting, almsgiving and prayer, which are an expression
of our commitment to conversion, Lent teaches us how to live the love of Christ
in an ever more radical way. Fasting, which can have various motivations, takes
on a profoundly religious significance for the Christian: by rendering our table
poorer, we learn to overcome selfishness in order to live in the logic of gift and
love; by bearing some form of deprivation – and not just what is in excess – we
learn to look away from our “ego”, to discover Someone close to us and to recognize
God in the face of so many brothers and sisters. For Christians, fasting, far from
being depressing, opens us ever more to God and to the needs of others, thus allowing
love of God to become also love of our neighbor (cf. Mk 12: 31). In our journey,
we are often faced with the temptation of accumulating and love of money that undermine
God’s primacy in our lives. The greed of possession leads to violence, exploitation
and death; for this, the Church, especially during the Lenten period, reminds us to practice
almsgiving – which is the capacity to share. The idolatry of goods, on the other hand, not
only causes us to drift away from others, but divests man, making him unhappy, deceiving him,
deluding him without fulfilling its promises, since it puts materialistic goods in
the place of God, the only source of life. How can we understand God’s paternal
goodness, if our heart is full of egoism and our own projects, deceiving us that
our future is guaranteed? The temptation is to think, just like the rich man in
the parable: “My soul, you have plenty of good things laid by for many years to
come…”. We are all aware of the Lord’s judgment: “Fool! This very night the demand
will be made for your soul…” (Lk 12: 19-20). The practice of almsgiving is a reminder
of God’s primacy and turns our attention towards others, so that we may rediscover
how good our Father is, and receive his mercy. During the entire Lenten period,
the Church offers us God’s Word with particular abundance. By meditating and internalizing
the Word in order to live it every day, we learn a precious and irreplaceable form
of prayer; by attentively listening to God, who continues to speak to our hearts,
we nourish the itinerary of faith initiated on the day of our Baptism. Prayer also
allows us to gain a new concept of time: without the perspective of eternity and transcendence,
in fact, time simply directs our steps towards a horizon without a future. Instead, when
we pray, we find time for God, to understand that his “words will not pass away” (cf.
Mk 13: 31), to enter into that intimate communion with Him “that no one shall take
from you” (Jn 16: 22), opening us to the hope that does not disappoint, eternal
life. In synthesis, the Lenten journey, in which we are invited to contemplate
the Mystery of the Cross, is meant to reproduce within us “the pattern of his death”
(Ph 3: 10), so as to effect a deep conversion in our lives; that we may be transformed
by the action of the Holy Spirit, like St. Paul on the road to Damascus; that we
may firmly orient our existence according to the will of God; that we may be freed
of our egoism, overcoming the instinct to dominate others and opening us to the
love of Christ. The Lenten period is a favorable time to recognize our weakness
and to accept, through a sincere inventory of our life, the renewing Grace of the Sacrament
of Penance, and walk resolutely towards Christ. Dear Brothers and Sisters, through
the personal encounter with our Redeemer and through fasting, almsgiving and prayer,
the journey of conversion towards Easter leads us to rediscover our Baptism. This
Lent, let us renew our acceptance of the Grace that God bestowed upon us at that
moment, so that it may illuminate and guide all of our actions. What the Sacrament signifies
and realizes, we are called to experience every day by following Christ in an ever
more generous and authentic manner. In this our itinerary, let us entrust ourselves
to the Virgin Mary, who generated the Word of God in faith and in the flesh, so
that we may immerse ourselves – just as she did – in the death and resurrection
of her Son Jesus, and possess eternal life. From the Vatican, 4 November, 2010 BENEDICTUS
PP XVI
! TRADUZIONE IN LINGUA FRANCESE «Ensevelis avec le Christ lors
du Baptême, vous en êtes aussi ressuscités avec lui» (Cf. Col 2, 12) Chers Frères
et Soeurs, Le Carême, qui nous conduit à la célébration de la Pâques très Sainte,
constitue pour l’Eglise un temps liturgique vraiment précieux et important. Aussi
est-ce avec plaisir que je vous adresse ce message, afin que ce Carême puisse être
vécu avec toute l’ardeur nécessaire. Dans l’attente de la rencontre définitive
avec son Epoux lors de la Pâque éternelle, la Communauté ecclésiale intensifie
son chemin de purification dans l’esprit, par une prière assidue et une charité
active, afin de puiser avec plus d’abondance, dans le Mystère de la Rédemption,
la vie nouvelle qui est dans le Christ Seigneur (cf. Préface I de Carême).
1.
Cette vie nous a déjà été transmise le jour de notre Baptême lorsque, «devenus participants
de la mort et de la résurrection du Christ», nous avons commencé «l'aventure joyeuse
et exaltante du disciple» (Homélie en la Fête du Baptême du Seigneur, 10 janvier 2010).
Dans ses épîtres, Saint Paul insiste à plusieurs reprises sur la communion toute particulière
avec le Fils de Dieu, qui se réalise au moment de l’immersion dans les eaux baptismales.
Le fait que le Baptême soit reçu le plus souvent en bas-âge, nous indique clairement
qu’il est un don de Dieu: Nul ne mérite la vie éternelle par ses propres forces. La miséricorde
de Dieu, qui efface le péché et nous donne de vivre notre existence avec «les mêmes
sentiments qui sont dans le Christ Jésus» (Ph 2,5), est communiquée à l’homme gratuitement. Dans
sa lettre aux Philippiens, l’Apôtre des Gentils nous éclaire sur le sens de la transformation
qui s’effectue par la participation à la mort et à la résurrection du Christ, en nous indiquant
le but poursuivi: «le connaître lui, avec la puissance de sa résurrection et la communion
à ses souffrances, lui devenir conforme dans sa mort, afin de parvenir si possible à
ressusciter d’entre les morts» (Ph 3, 10-11). Le Baptême n’est donc pas un rite du
passé, il est la rencontre avec le Christ qui donne forme à l’existence toute entière
du baptisé, lui transmet la vie divine et l’appelle à une conversion sincère, mue
et soutenue par la Grâce, lui permettant ainsi de parvenir à la stature adulte
du Christ. Un lien spécifique unit le Baptême au Carême en tant que période favorable
pour expérimenter la grâce qui sauve. Les Pères du Concile Vatican II ont lancé
un appel à tous les Pasteurs de l’Eglise pour que soient «employés plus abondamment
les éléments baptismaux de la liturgie quadragésimale» (Const. Sacrosanctum Concilium,
109). En effet, dès ses origines, l’Eglise a uni la Veillée Pascale et la célébration
du Baptême: dans ce sacrement s’accomplit le grand Mystère où l’homme meurt au
péché, devient participant de la vie nouvelle dans le Christ ressuscité, et reçoit
ce même Esprit de Dieu qui a ressuscité Jésus d’entre les morts (cf. Rm 8,11).
Ce don gratuit doit être constamment ravivé en chacun de nous, et le Carême nous offre
un parcours analogue à celui du catéchuménat qui, pour les chrétiens de l’Eglise primitive comme
pour ceux d’aujourd’hui, est un lieu d’apprentissage indispensable de foi et de vie chrétienne:
ils vivent vraiment leur Baptême comme un acte décisif pour toute leur existence.
2.
Pour emprunter sérieusement le chemin vers Pâques et nous préparer à célébrer la Résurrection
du Seigneur – qui est la fête la plus joyeuse et solennelle de l’année liturgique
–, qu’est-ce qui pourrait être le plus adapté si ce n’est de nous laisser guider
par la Parole de Dieu? C’est pourquoi l’Eglise, à travers les textes évangéliques
proclamés lors des dimanches de Carême, nous conduit-elle à une rencontre particulièrement
profonde avec le Seigneur, nous faisant parcourir à nouveau les étapes de l’initiation
chrétienne: pour les catéchumènes en vue de recevoir le sacrement de la nouvelle
naissance; pour ceux qui sont déjà baptisés, en vue d’opérer de nouveaux pas décisifs
à la suite du Christ, dans un don plus plénier. Le premier dimanche de l’itinéraire
quadragésimal éclaire notre condition terrestre. Le combat victorieux de Jésus
sur les tentations qui inaugure le temps de sa mission, est un appel à prendre
conscience de notre fragilité pour accueillir la Grâce qui nous libère du péché et
nous fortifie d’une façon nouvelle dans le Christ, chemin, vérité et vie (cf. Ordo
Initiationis Christianae Adultorum, n. 25). C’est une invitation pressante à nous
rappeler, à l’exemple du Christ et en union avec lui, que la foi chrétienne implique
une lutte contre les «Puissances de ce monde de ténèbres» (Ep 6,12) où le démon
est à l’oeuvre et ne cesse, même de nos jours, de tenter tout homme qui veut s’approcher
du Seigneur: le Christ sort vainqueur de cette lutte, également pour ouvrir notre
coeur à l’espérance et nous conduire à la victoire sur les séductions du mal. L’évangile
de la Transfiguration du Seigneur nous fait contempler la gloire du Christ qui anticipe
la résurrection et annonce la divinisation de l’homme. La communauté chrétienne découvre
qu’à la suite des apôtres Pierre, Jacques et Jean, elle est conduite «dans un lieu
à part, sur une haute montagne» (Mt 17,1) afin d’accueillir d’une façon nouvelle,
dans le Christ, en tant que fils dans le Fils, le don de la Grâce de Dieu: «Celui-ci
est mon Fils bien-aimé, qui a toute ma faveur, écoutez-le» (v.5). Ces paroles nous
invitent à quitter la rumeur du quotidien pour nous plonger dans la présence de
Dieu: Il veut nous transmettre chaque jour une Parole qui nous pénètre au plus
profond de l’esprit, là où elle discerne le bien et le mal (cf. He 4,12) et affermit notre
volonté de suivre le Seigneur. «Donne-moi à boire» (Jn 4,7). Cette demande de Jésus
à la Samaritaine, qui nous est rapportée dans la liturgie du troisième dimanche,
exprime la passion de Dieu pour tout homme et veut susciter en notre coeur le désir
du don de «l’eau jaillissant en vie éternelle» (v.14): C’est le don de l’Esprit
Saint qui fait des chrétiens de «vrais adorateurs», capables de prier le Père «en esprit
et en vérité» (v.23). Seule cette eau peut assouvir notre soif de bien, de vérité
et de beauté! Seule cette eau, qui nous est donnée par le Fils, peut irriguer les
déserts de l’âme inquiète et insatisfaite «tant qu’elle ne repose en Dieu», selon
la célèbre expression de saint Augustin. Le dimanche de l’aveugle-né nous présente
le Christ comme la lumière du monde. L’Evangile interpelle chacun de nous: «Crois-tu
au Fils de l’homme?» «Oui, je crois Seigneur!» (Jn 9, 35-38), répond joyeusement
l’aveugle-né qui parle au nom de tout croyant. Le miracle de cette guérison est
le signe que le Christ, en rendant la vue, veut ouvrir également notre regard intérieur
afin que notre foi soit de plus en plus profonde et que nous puissions reconnaître
en lui notre unique Sauveur. Le Christ illumine toutes les ténèbres de la vie et
donne à l’homme de vivre en «enfant de lumière». Lorsque l’évangile du cinquième
dimanche proclame la résurrection de Lazare, nous nous trouvons face au mystère
ultime de notre existence: «Je suis la résurrection et la vie... le croistu? »
(Jn 11, 25-26). A la suite de Marthe, le temps est venu pour la communauté chrétienne
de placer, à nouveau et en conscience, toute son espérance en Jésus de Nazareth:
«Oui Seigneur, je crois que tu es le Christ, le Fils de Dieu, qui vient dans le
monde» (v.27). La communion avec le Christ, en cette vie, nous prépare à franchir
l’obstacle de la mort pour vivre éternellement en Lui. La foi en la résurrection
des morts et l’espérance en la vie éternelle ouvrent notre intelligence au sens
ultime de notre existence: Dieu a créé l’homme pour la résurrection et la vie;
cette vérité confère une dimension authentique et définitive à l’histoire humaine,
à l’existence personnelle, à la vie sociale, à la culture, à la politique, à l’économie. Privé
de la lumière de la foi, l’univers entier périt, prisonnier d’un sépulcre sans avenir
ni espérance. Le parcours du Carême trouve son achèvement dans le Triduum Pascal,
plus particulièrement dans la Grande Vigile de la Nuit Sainte: en renouvelant les
promesses du Baptême, nous proclamons à nouveau que le Christ est le Seigneur de
notre vie, de cette vie que Dieu nous a donnée lorsque nous sommes renés «de l’eau
et de l’Esprit Saint», et nous réaffirmons notre ferme propos de correspondre à
l’action de la Grâce pour être ses disciples.
3. Notre immersion dans la mort
et la résurrection du Christ, par le sacrement du Baptême, nous pousse chaque jour
à libérer notre coeur du poids des choses matérielles, du lien égoïste avec la
«terre», qui nous appauvrit et nous empêche d’être disponibles et accueillants à Dieu et
au prochain. Dans le Christ, Dieu s’est révélé Amour (cf. 1 Jn 4,7-10). La Croix du
Christ, le «langage de la Croix» manifeste la puissance salvifique de Dieu (cf.
1 Cor 1,18) qui se donne pour relever l’homme et le conduire au salut: il s’agit
de la forme la plus radicale de l’amour (cf. Enc. Deus caritas est, 12). Par la
pratique traditionnelle du jeûne, de l’aumône et de la prière, signes de notre
volonté de conversion, le Carême nous apprend à vivre de façon toujours plus radicale
l’amour du Christ. Le jeûne, qui peut avoir des motivations diverses, a pour le chrétien
une signification profondément religieuse: en appauvrissant notre table, nous apprenons
à vaincre notre égoïsme pour vivre la logique du don et de l’amour; en acceptant la privation
de quelque chose – qui ne soit pas seulement du superflu –, nous apprenons à détourner
notre regard de notre «moi» pour découvrir Quelqu’un à côté de nous et reconnaître Dieu
sur le visage de tant de nos frères. Pour le chrétien, la pratique du jeûne n’a rien d’intimiste,
mais ouvre tellement à Dieu et à la détresse des hommes; elle fait en sorte que l’amour
pour Dieu devienne aussi amour pour le prochain (cf. Mc 12,31). Sur notre chemin,
nous nous heurtons également à la tentation de la possession, de l’amour de l’argent,
qui s’oppose à la primauté de Dieu dans notre vie. L’avidité de la possession engendre
la violence, la prévarication et la mort; c’est pour cela que l’Eglise, spécialement
en temps de Carême, appelle à la pratique de l’aumône, c’est à dire au partage.
L’idolâtrie des biens, au contraire, non seulement nous sépare des autres mais
vide la personne humaine en la laissant malheureuse, en lui mentant et en la trompant
sans réaliser ce qu’elle lui promet, puisqu’elle substitue les biens matériels
à Dieu, l’unique source de vie. Comment pourrionsnous donc comprendre la bonté
paternelle de Dieu si notre coeur est plein de lui-même et de nos projets qui donnent
l’illusion de pouvoir assurer notre avenir? La tentation consiste à penser comme
le riche de la parabole: «Mon âme, tu as quantité de biens en réserve pour de nombreuses
années...». Nous savons ce que répond le Seigneur: «Insensé, cette nuit même, on va
te redemander ton âme...» (Lc 19,19-20). La pratique de l’aumône nous ramène à la
primauté de Dieu et à l’attention envers l’autre, elle nous fait découvrir à nouveau
la bonté du Père et recevoir sa miséricorde. Pendant toute la période du Carême,
l’Eglise nous offre avec grande abondance la Parole de Dieu. En la méditant et
en l’intériorisant pour l’incarner au quotidien, nous découvrons une forme de prière
qui est précieuse et irremplaçable. En effet l’écoute attentive de Dieu qui parle sans
cesse à notre coeur, nourrit le chemin de foi que nous avons commencé le jour de notre Baptême.
La prière nous permet également d’entrer dans une nouvelle perception du temps: Sans
la perspective de l’éternité et de la transcendance, en effet, le temps n’est qu’une
cadence qui rythme nos pas vers un horizon sans avenir. En priant, au contraire,
nous prenons du temps pour Dieu, pour découvrir que ses «paroles ne passeront pas»
(Mc 13,31), pour entrer en cette communion intime avec Lui «que personne ne pourra
nous enlever» (cf. Jn 16,22), qui nous ouvre à l’espérance qui ne déçoit pas, à
la vie éternelle. En résumé, le parcours du Carême, où nous sommes invités à contempler
le mystère de la Croix, consiste à nous rendre «conformes au Christ dans sa mort»
(Ph 3,10), pour opérer une profonde conversion de notre vie: nous laisser transformer
par l’action de l’Esprit Saint, comme saint Paul sur le chemin de Damas; mener
fermement notre existence selon la volonté de Dieu; nous libérer de notre égoïsme
en dépassant l’instinct de domination des autres et en nous ouvrant à la charité
du Christ. La période du Carême est un temps favorable pour reconnaître notre fragilité,
pour accueillir, à travers une sincère révision de vie, la Grâce rénovatrice du Sacrement
de Pénitence et marcher résolument vers le Christ. Chers Frères et Soeurs, par
la rencontre personnelle avec notre Rédempteur et par la pratique du jeûne, de
l’aumône et de la prière, le chemin de conversion vers Pâques nous conduit à découvrir
d’une façon nouvelle notre Baptême. Accueillons à nouveau, en ce temps de Carême,
la Grâce que Dieu nous a donnée au moment de notre Baptême, afin qu’elle illumine
et guide toutes nos actions. Ce que ce Sacrement signifie et réalise, nous sommes appelés
à le vivre jour après jour, en suivant le Christ avec toujours plus de générosité
et d’authenticité. En ce cheminement, nous nous confions à la Vierge Marie qui
a enfanté le Verbe de Dieu dans sa foi et dans sa chair, pour nous plonger comme
Elle dans la mort et la résurrection de son Fils Jésus et avoir la vie éternelle. Du
Vatican, le 4 novembre 2010 BENEDICTUS PP XVI
* * * * *
! TRADUZIONE
IN LINGUA TEDESCA „Mit Christus wurdet ihr in der Taufe begraben, mit ihm auch
auferweckt!“ (vgl. Kol 2,12) Liebe Brüder und Schwestern! Die Fastenzeit, die
uns zur Feier des heiligen Osterfestes hinführt, ist für die Kirche eine überaus
kostbare und wichtige liturgische Zeit. Im Hinblick darauf freue ich mich, ein besonderes
Wort an euch zu richten, da sie mit entsprechendem Eifer gelebt werden soll. Während
die Gemeinschaft der Kirche der endgültigen Vereinigung mit ihrem Bräutigam beim ewigen
Ostern entgegenharrt, verstärkt sie, unermüdlich im Gebet und in Werken der Liebe, ihre
Anstrengungen auf dem Weg der Reinigung im Geist, um mit größerer Fülle aus dem Geheimnis
der Erlösung das neue Leben in Christus zu schöpfen (vgl. Präfation für die Fastenzeit
I).
1. Dieses Leben ist uns schon am Tag unserer Taufe geschenkt worden, als
für uns, die wir „mit der Taufe am Tod und an der Auferstehung Christi Anteil haben“,
„das freudige und erhebende Abenteuer der Jüngerschaft“ begonnen hat (Homilie am
Fest der Taufe des Herrn, 10. Januar 2010). Der heilige Paulus betont in seinen
Briefen immer wieder die einzigartige Gemeinschaft mit dem Sohn Gottes, die durch
dieses Bad der Taufe gewirkt wird. Die Tatsache, dass man die Taufe in den meisten
Fällen als Kind empfängt, macht deutlich, dass es sich um ein Geschenk Gottes handelt:
Keiner verdient sich das ewige Leben aus eigener Kraft heraus. Das Erbarmen Gottes,
das die Sünde hinweg nimmt und es ermöglicht, so zu leben, „wie es dem Leben in
Christus Jesus entspricht“ (Phil 2,5), wird dem Menschen unentgeltlich geschenkt. Der
Völkerapostel erläutert in seinem Brief an die Philipper den Sinngehalt der Umwandlung,
welche sich durch die Teilnahme am Tod und an der Auferstehung Christi vollzieht,
indem er ihr Ziel aufzeigt: „Christus will ich erkennen und die Macht seiner Auferstehung
und die Gemeinschaft mit seinen Leiden; sein Tod soll mich prägen. So hoffe ich, auch
zur Auferstehung von den Toten zu gelangen“ (Phil 3,10-11). Die Taufe ist also kein
Ritus der Vergangenheit, sondern die Begegnung mit Christus, der die ganze Existenz
des Getauften formt, ihm göttliches Leben verleiht und ihn zu einer aufrichtigen
Umkehr ruft, die von der Gnade begonnen und getragen wird und so die Vollgestalt
Christi erreichen lässt. Die Taufe steht in einer besonderen Beziehung zur Fastenzeit
als einem günstigen Moment, um die rettende Gnade zu erfahren. Die Väter des Zweiten
Vatikanischen Konzils haben alle Hirten der Kirche dazu aufgerufen, „die der Fastenliturgie
eigenen Taufmotive stärker“ zu nutzen (Konstitution Sacrosanctum Concilium, 109).
Denn immer schon verbindet die Kirche die Osternacht mit der Feier der Taufe: In
diesem Sakrament wird jenes große Geheimnis wirksam, in dem der Mensch der Sünde
stirbt, des neuen Lebens im auferstandenen Christus teilhaftig wird und denselben
Geist Gottes empfängt, der Jesus von den Toten auferweckt hat (vgl. Röm 8,11).
Dieses unentgeltliche Geschenk muss immer wieder neu in jedem von uns entfacht
werden, und die Fastenzeit bietet uns einen dem Katechumenat ähnlichen Weg an, der für
die Christen der frühen Kirche wie auch für die Taufbewerber von heute eine unersetzbare Schule
des Glaubens und des christlichen Lebens ist: Sie erleben die Taufe wirklich als einen entscheidenden
Moment für ihre ganze Existenz.
2. Was könnte sich besser eignen, um ernsthaft
den Weg auf Ostern zu beschreiten und uns auf die Feier der Auferstehung des Herrn
– das freudigste und feierlichste Fest des ganzen Kirchenjahres – vorzubereiten,
als sich vom Wort Gottes leiten zu lassen? Deshalb führt uns die Kirche in den
Evangelientexten der Sonntage der Fastenzeit hin auf eine besonders innige Begegnung
mit dem Herrn, indem sie uns die Etappen der christlichen Initiation noch einmal durchlaufen
lässt: für die Katechumenen im Hinblick auf den Empfang des Sakramentes der Wiedergeburt;
für die schon Getauften, um neue und maßgebende Schritte in der Nachfolge Christi
und in der vollkommeneren Hingabe an Ihn zu setzen. Der erste Sonntag des Weges
durch die Fastenzeit macht die Verfassung unseres Menschseins auf dieser Erde deutlich.
Der siegreiche Kampf gegen die Versuchungen, mit dem die Sendung Jesu beginnt,
ist eine Einladung, sich der eigenen Schwachheit bewusst zu werden, um die Gnade
zu empfangen, die von Sünden frei macht und neue Kraft in Christus ausgießt, der
Weg, Wahrheit und Leben ist (vgl. Die Feier der Eingliederung Erwachsener in die Kirche, Nr.
25). Er ist ein deutlicher Aufruf, sich daran zu erinnern, dass der christliche Glaube,
nach dem Beispiel Jesu und in Gemeinschaft mit Ihm, einen Kampf „gegen die Beherrscher
dieser finsteren Welt“ (Eph 6,12) einschließt, in welcher der Teufel am Werk ist,
der auch heute nicht müde wird, den Menschen, der sich dem Herrn nähern will, zu
versuchen: Christus geht daraus als Sieger hervor, um auch unser Herz für die Hoffnung
zu öffnen und uns darin zu leiten, die Verführungen des Bösen zu besiegen. Das
Evangelium von der Verklärung des Herrn stellt uns die Herrlichkeit Christi vor Augen,
die die Auferstehung vorwegnimmt und die Vergöttlichung des Menschen ankündigt. Die
Gemeinschaft der Christen erkennt, dass sie wie die Apostel Petrus, Jakobus und Johannes „beiseite
[…] auf einen hohen Berg“ (Mt 17,1) geführt wird, um in Christus, als Söhne im Sohn, wieder
das Geschenk der göttlichen Gnade zu empfangen: „Das ist mein geliebter Sohn, an dem ich
Gefallen gefunden habe; auf ihn sollt ihr hören.“ (V. 5). Es ist eine Einladung, vom
Lärm des Alltags Abstand zu nehmen, um in die Gegenwart Gottes einzutauchen: Er
möchte uns tagtäglich ein Wort zukommen lassen, das tief in unseren Geist eindringt,
wo es Gut und Böse unterscheidet (vgl. Hebr 4,12), und das den Willen stärkt, dem
Herrn nachzufolgen. Die Bitte Jesu an die samaritische Frau: „Gib mir zu trinken!“
(Joh 4,7), die ihren Platz in der Liturgie des dritten Sonntages hat, drückt die
Leidenschaft Gottes für jeden Menschen aus und möchte in unserem Herzen den Wunsch
nach dem Geschenk der „sprudelnden Quelle […], deren Wasser ewiges Leben schenkt“
(V. 14), wecken: Es ist die Gabe des Heiligen Geistes, der die Christen zu „wahren
Beter[n]“ macht, die fähig sind, den Vater „im Geist und in der Wahrheit“ (V. 23)
anzubeten. Nur dieses Wasser vermag unseren Durst nach dem Guten, nach der Wahrheit
und nach der Schönheit zu löschen! Nur dieses Wasser, das uns der Sohn gibt, bewässert
die Wüsten der unruhigen und unzufriedenen Seele, „bis sie ruht in Gott“, wie es das bekannte
Wort des heiligen Augustinus sagt. Der Sonntag des Blindgeborenen stellt uns Christus
als das Licht der Welt vor Augen. Das Evangelium fragt jeden einzelnen von uns:
„Glaubst du an den Menschensohn?“. „Ich glaube, Herr!“ (Joh 9,35.38), bestätigt
freudig der Blindgeborene und macht sich so zur Stimme eines jeden Glaubenden.
Das Heilungswunder ist das Zeichen dafür, dass Christus zusammen mit dem Augenlicht
auch unseren inneren Blick öffnen möchte, damit unser Glaube immer tiefer wird
und wir in Ihm unseren einzigen Retter erkennen können. Er erhellt alle Dunkelheit
des Lebens und lässt den Menschen als „Kind des Lichtes“ leben. Wenn uns am
fünften Sonntag die Auferweckung des Lazarus verkündet wird, werden wir mit dem
letzten Geheimnis unserer Existenz konfrontiert: „Ich bin die Auferstehung und das Leben.
[…] Glaubst du das?” (Joh 11,25-26). Für die christliche Gemeinschaft ist das der Augenblick,
mit Marta offen alle Hoffnung auf Jesus von Nazaret zu setzen: „Ja, Herr, ich glaube,
dass du der Messias bist, der Sohn Gottes, der in die Welt kommen soll“ (V. 27). Die Gemeinschaft
mit Christus in diesem Leben bereitet uns darauf vor, die Grenze des Todes zu überwinden,
um für immer in Ihm zu leben. Der Glaube an die Auferstehung der Toten und die Hoffnung
auf das ewige Leben öffnen unseren Blick für den letzten Sinn unserer Existenz: Gott hat
den Menschen für die Auferstehung und das Leben erschaffen, und diese Wahrheit gibt
der Geschichte der Menschen, ihrer persönlichen Existenz und ihrem Leben in der
Gesellschaft wie auch der Kultur, der Politik und der Wirtschaft ihren wahren und
letztgültigen Sinn. Ohne das Licht des Glaubens endet das ganze Universum eingeschlossen
in einem Grab ohne Zukunft, ohne Hoffnung. Der Weg durch die Fastenzeit findet
seine Vollendung in den Drei Österlichen Tagen, besonders in der großen Vigil der
Osternacht: Bei der Erneuerung des Taufversprechens bekennen wir von neuem, dass
Christus der Herr unseres Lebens ist, jenes Lebens, das Gott uns geschenkt hat,
als wir „aus dem Wasser und dem Heiligen Geist“ wiedergeboren wurden, und wir bekräftigen
von neuem unseren festen Entschluss, dem Werk der Gnade zu entsprechen, um seine
Jünger zu sein.
3. Unser Eingetaucht-Sein in Tod und Auferstehung Christi durch
das Sakrament der Taufe drängt uns jeden Tag aufs neue dazu, unser Herz von der
Last der materiellen Dinge zu befreien, von jener egoistischen Bindung an die „Erde“,
die uns arm macht und uns daran hindert, für Gott und den Nächsten bereit und offen
zu sein. In Christus hat sich Gott als die Liebe offenbart (vgl. 1 Joh 4,7-10).
Das Kreuz Christi, das „Wort vom Kreuz“ verdeutlicht die rettende Kraft Gottes
(vgl. 1 Kor 1,18), die geschenkt wird, um den Menschen aufzurichten und ihm das
Heil zu bringen: Liebe in ihrer radikalsten Form (vgl. Enzyklika Deus caritas est,
12). Durch die traditionellen Übungen des Fastens, des Almosengebens und des Gebetes, Ausdrucksweisen
der Verpflichtung zur Umkehr, erzieht die Fastenzeit dazu, die Liebe Christi immer
radikaler zu leben. Das Fasten, das unterschiedlich begründet sein kann, hat für den Christen
einen tief religiösen Sinn: Indem wir unseren Tisch ärmer machen, lernen wir unseren Egoismus
zu überwinden, um in der Logik des Schenkens und der Liebe zu leben; indem wir den
Verzicht auf etwas auf uns nehmen – nicht bloß auf etwas Überflüssiges – lernen wir, unseren
Blick vom eigenen „Ich“ abzuwenden, um jemanden an unserer Seite zu entdecken und Gott
im Angesicht vieler unserer Brüder zu erkennen. Für den Christen hat das Fasten nichts mit
einer Ichbezogenheit zu tun, sondern es öffnet mehr und mehr auf Gott hin und auf
die Bedürfnisse der Menschen und sorgt dafür, dass die Liebe zu Gott auch die Liebe
zum Nächsten einschließt (vgl. Mk 12,31). Auf unserem Weg sehen wir uns auch
der Versuchung des Haben-Wollens gegenüber, der Habsucht nach Geld, die die Vorrangstellung
Gottes in unserem Leben gefährdet. Die Besitzgier bringt Gewalt, Missbrauch und
Tod hervor; aus diesem Grunde erinnert die Kirche besonders in der Fastenzeit an
die Übung des Almosengebens, das heißt an das Teilen. Die Vergötterung der Güter
hingegen entfernt nicht nur vom anderen, sondern sie entblößt den Menschen, macht
ihn unglücklich, betrügt ihn, weckt falsche Hoffnungen, ohne das zu verwirklichen,
was sie verspricht, weil sie die materiellen Dinge an die Stelle Gottes setzt, der allein
Quelle des Lebens ist. Wie kann man die Vatergüte Gottes verstehen, wenn das Herz
voll von sich selbst und den eigenen Plänen ist, mit denen man sich einbildet,
sich die Zukunft sichern zu können? Es ist die Versuchung, so zu denken wie der
Reiche im Gleichnis: „Nun hast du einen großen Vorrat, der für viele Jahre reicht…“.
Wir kennen das Urteil des Herrn: „Du Narr! Noch in dieser Nacht wird man dein Leben
von dir zurückfordern…“ (Lk 12,19-20). Die Übung des Almosengebens ist ein Aufruf,
Gott den Vorrang zu geben und dem anderen gegenüber aufmerksam zu sein, um unseren
guten Vater neu zu entdecken und sein Erbarmen zu empfangen. In der gesamten
Fastenzeit bietet uns die Kirche das Wort Gottes sehr reichlich an. Wenn wir es
betrachten und verinnerlichen, um es tagtäglich zu leben, lernen wir eine kostbare
und unersetzbare Form des Gebetes kennen. Denn das aufmerksame Hören auf Gott,
der unaufhörlich zu unserem Herzen spricht, nährt den Weg des Glaubens, den wir
am Tag der Taufe begonnen haben. Das Gebet erlaubt uns auch, eine neue Auffassung
der Zeit zu gewinnen: Ohne die Perspektive der Ewigkeit und der Transzendenz unterteilt
sie nämlich nur unsere Schritte auf einen Horizont hin, der keine Zukunft hat.
Im Gebet finden wir hingegen Zeit für Gott, um zu erkennen, dass „seine Worte nicht
vergehen werden“ (vgl. Mk 13,31), um einzutreten in jene innige Gemeinschaft mit
Ihm, die „niemand uns nimmt“ (vgl. Joh 16,22) und die uns für die Hoffnung öffnet,
die nicht zugrunde gehen lässt, für das ewige Leben. Kurz gesagt, der Weg durch
die Fastenzeit, auf dem wir eingeladen sind, das Geheimnis des Kreuzes zu betrachten,
bedeutet, dass „sein Tod mich prägen soll“ (Phil 3,10), um eine tiefe Umkehr in
unserem Leben verwirklichen zu können: sich verwandeln lassen durch das Wirken des
Heiligen Geistes wie der hl. Paulus auf dem Weg nach Damaskus; unsere Existenz mit Entschiedenheit
am Willen Gottes ausrichten; uns von unserem Egoismus befreien, indem wir die Machtsucht
über die andern überwinden und uns der Liebe Christi öffnen. Die Fastenzeit ist
eine geeignete Zeit, um unsere Schwachheit einzugestehen und nach einer ehrlichen
Prüfung unseres Lebens die erneuernde Gnade des Sakramentes der Versöhnung zu empfangen
sowie entschieden auf Christus zuzugehen. Liebe Brüder und Schwestern, durch
die persönliche Begegnung mit unserem Erlöser und durch Fasten, Almosengeben und
Gebet führt uns der Weg der Umkehr auf Ostern hin zur Wiederentdeckung unserer
Taufe. Empfangen wir in dieser Fastenzeit wieder neu die Gnade, die Gott uns in
jenem Moment geschenkt hat, damit er all unser Handeln erleuchte und leite. Was
das Sakrament bezeichnet und bewirkt, sollen wir jeden Tag in der Nachfolge Christi großzügiger
und überzeugender leben. Auf diesem unseren Weg vertrauen wir uns der Jungfrau Maria
an, die das Wort Gottes im Glauben und im Fleisch geboren hat, um wie sie in den Tod und
die Auferstehung ihres Sohnes Jesus einzutauchen und das ewige Leben zu erlangen. Aus
dem Vatikan, am 4. November 2010