Libia, raid aerei e centinaia di morti. Il nunzio, mons. Caputo: i religiosi non lasciano
la popolazione. Padre Samir: i popoli oppressi uniti nella primavera araba
In Libia, per il secondo giorno consecutivo l’aviazione avrebbe compiuto raid aerei
sui manifestanti riuniti nel centro di Tripoli. Le informazioni mancano di verifiche,
ma si parla ancora di centinaia di morti. E intanto, mentre si procede all’evacuazione
degli stranieri, si segnala il progressivo stop delle forniture di gas verso i Paesi
esteri. Lo si apprende da fonti qualificate di settore, che spiegano come la situazione
sia particolarmente complicata. La cronaca delle ultime ore, nel servizio di Amina
Belkassem:
Continua
il massacro in Libia. Secondo il canale satellitare Al Jazeera, uno dei pochi presenti
nel Paese, nuovi raid aerei sono avvenuti anche questa mattina su Tripoli, mentre
siti dell’opposizione parlano di migliaia di manifestanti diretti verso la Piazza
Verde nel centro della capitale. Alcuni abitanti riferiscono di continui scontri e
di un vero e proprio massacro compiuto contro i manifestanti che reclamano la fine
del regime del colonnello Gheddafi, al potere da 42 anni – un record per l’Africa
e per tutto il mondo arabo. Dopo le voci che lo davano in fuga verso il Venezuela,
Gheddafi ha fatto ieri notte una breve apparizione alla televisione di Stato: “Sono
a Tripoli”, ha esclamato. Seif al Islam, uno dei figli del leader, ritenuto suo probabile
successore – almeno fino alla rivolta di questi giorni – ha ammesso che sono stati
effettuati dei bombardamenti dell’esercito, però non contro la popolazione ma su depositi
di armi lontani dai centri abitati. Intanto, continua l’esodo degli stranieri. L’aeroporto
di Tripoli è nel caos, mentre si segnala la fuga via terra di migliaia di tunisini.
Anche l’Anp si è detta pronta ad accogliere gli sfollati palestinesi, mentre l’esercito
egiziano ha annunciato che rafforzerà i confini con la Libia, lasciati ormai senza
nessun controllo. Un valico, ha comunque assicurato il Cairo, sarà aperto per permettere
il passaggio dei feriti.
In queste ore, sono stati approntati diversi piani
di evacuazione per consentire ai cittadini stranieri di lasciare la Libia, teatro
di sanguinosi scontri e violenze. Ma c’è anche chi non vuole abbandonare il territorio
libico per continuare a manifestare la propria vicinanza alla popolazione. E’ il caso
di sacerdoti, religiosi e religiose presenti in Libia, come ricorda il nunzio apostolico
nel Paese, mons. Tommaso Caputo, intervistato da Amedeo Lomonaco:
D. - In merito
alla grave situazione che si è determinata negli ultimi giorni in Libia, le comunità
religiose che operano nei due vicariati apostolici di Tripoli e Bengasi continuano
ad essere pienamente al servizio della popolazione e dei fedeli. La maggioranza delle
16 comunità femminili composte da suore provenienti da diverse nazioni presta la propria
opera nel settore sanitario e in queste ore ha intensificato l’assistenza alla popolazione.
D.
– La comunità della Chiesa, quindi, resta accanto alla popolazione…
R.
– Le religiose hanno espresso la volontà di restare accanto a chi soffre. Allo stesso
modoanche i due vescovi e i 15 sacerdoti proseguono il loro servizio ed intendono
continuare la missione loro affidata. Pur nel difficile frangente che il Paese si
trova a vivere l’atteggiamento dei missionari presenti in Libia mira ad infondere
coraggio e ad assicurare ogni forma di assistenza possibile alla comunità cattolica,
che è di circa 100 mila fedeli, e all’intera popolazione. (bf)
In Libia,
come in diversi Paesi del Nordafrica e del mondo arabo, le popolazioni che hanno conosciuto
regimi durati anche decenni sembrano ora unite in una sorta di "primavera araba".
E’ quanto sottolinea al microfono di Amedeo Lomonaco il gesuita egiziano, padre
Samir Khalil Samir, docente di Storia della Cultura araba e d'Islamologia presso
l'Università "Saint Joseph" a Beirut, in Libano:
R. – Il mondo
arabo sta vivendo la sua “primavera araba”: c’è un denominatore comune dappertutto.
La gente è stufa di regni o repubbliche che durano da decenni, che non danno spazio
alla democrazia, alla libertà, all’uguaglianza, alla condivisione delle decisioni,
e soprattutto con una situazione economica e sociale in cui molta gente si trova a
disagio. Questo è un movimento che ormai non si può più fermare. In particolare, grazie
a Internet, Youtube, Facebook, Twitter, la comunicazione istantanea arriva in un minuto
in tutto il mondo, in tutte le agenzie. La globalizzazione, per me, è questa: la globalizzazione
delle idee, dei desideri, delle attese del popolo sta passando attraverso Internet.
Tutti trovano normale che succeda da noi quello che è successo altrove. Magari non
sanno niente di quello che è successo nel blocco dell’est europeo durante gli anni
Ottanta, ma sanno che ormai hanno diritto ad avere gli stessi diritti umani di tutti.
D.
– C’è però una differenza, rispetto alla rivoluzione nel mondo sovietico: in questo
caso della “primavera araba”, come lei l’ha chiamata, il futuro sembra ancora più
incerto, ovvero sono diversi i possibili scenari che possono aprirsi nel post-Mubarak,
nel post-Gheddafi …
R. – Sì, proprio perché non è guidato da un partito.
E’ un movimento popolare che dice: non vogliamo più questi governi, vogliamo libertà
etc. Ma come si concretizzerà? Questa è la domanda. Manca un leader, in questi Paesi.
La paura che c’è in Occidente è in sostanza questa: chi prenderà la leadership
di questi movimenti? Saranno gli estremisti musulmani? Non credo che sarà possibile,
proprio perché questa “primavera”, questa rivoluzione è contraria a tutti i pesi che
gravano su di noi. Il 90 per cento della gente si dirà musulmana, ma non vogliono
essere musulmani secondo il modo islamico di tale gruppo o gruppuscolo. La gente preferisce
dire: ognuno segua la propria coscienza.
D. – Padre Samir, queste caratteristiche
della “primavera araba”, ovvero la mancanza di un leader di riferimento e di partiti,
ci fa capire che siamo di fronte ad un laboratorio politico popolare?
R.
– Lo spero. Il motivo è molto concreto: siccome talvolta i partiti sono stati vietati,
si formeranno – penso – partiti che non saranno identici a quelli dell’Occidente.
Si tratterà di vedere un partito più religioso, un partito più liberale economicamente…
Tutto questo è ancora un punto interrogativo. Mi ha colpito il fatto che finora in
nessuno di questi movimenti di massa abbiamo visto alcuna affermazione contro l’estero:
il problema è interno; vogliamo risolvere il problema interno del mondo arabo tra
musulmani. Il primo mondo – l’Occidente – può aiutarci incoraggiando la giustizia,
la democrazia, senza paura e senza intervenire, perché questo è un aspetto odiato:
l’ingerenza negli affari locali. Ricordandoci però i principi che sono alla base anche
dell’Europa e dell’Occidente, per dimostrare che si tratta di un movimento mondiale
e che siamo alla ricerca di un mondo più pulito e più giusto. (gf)
La crisi
che sta sconvolgendo la Libia è destinata ad avere fortissime ripercussioni economiche
in tutta l’Unione Europea. Immediate sono state, ad esempio, le reazioni dei mercati
energetici, con la crescita del prezzo del greggio e la minaccia di sospensione delle
forniture di gas. Una situazione pericolosa, generata soprattutto dagli stretti interessi
energetici e finanziari, che negli anni hanno legato questo Paese arabo – e in particolare
la sua leadership politica – ai sistemi economici degli Stati membri. Ad Andrea
Santini, docente di Diritto dell’Unione Europea, Stefano Leszczynski ha
chiesto come mai l’Unione non abbia mai messo in pratica i principi etici a quali
è giuridicamente vincolata:
R. – Il trattato
come modificato dal Trattato di Lisbona contiene chiare indicazioni sui principi e
gli obiettivi dell’azione esterna dell’Unione ed è molto chiaro nel dire che l’azione
dell’Unione sulla scena internazionale si fonda su principi che comprendono, tra l’altro,
la democrazia, lo stato di diritto, l’universalità ed indivisibilità dei diritti dell’uomo
e il rispetto della dignità umana. Quindi, questi principi sono enunciati come chiari
riferimenti che l’Unione ha nel costruire relazioni con Paesi terzi.
D.
– Tuttavia, professore, sembra che questa condizionalità spesso ceda il passo a interessi
economici…
R. – Questo, se vogliamo, è poi anche uno dei problemi concreti
nel passare dalle affermazioni di principio alla fattiva realizzazione di questi principi.
E questo fa sì che, in effetti, queste clausole di condizionalità siano state applicate
fino ad oggi solamente in situazioni estreme, mentre in altro modo sono state aggirate,
hanno trovato applicazioni molto più flebili in situazioni pur difficili ma non così
estreme.
D. – Oltre al malfunzionamento tecnico della politica estera
europea, a volte si ha un po’ l’impressione che l’Europa abbia paura di andare contro
i propri interessi. E’ così?
R. – Certamente, in questo momento probabilmente
l’Unione sta vivendo anche una sorta di crisi di identità, in questo come – direi
– anche in altri settori più prettamente economici, se vogliamo.
D.
– Cosa dovrebbe fare l’Unione Europea per recuperare terreno, rispetto a quanto sta
avvenendo ora nel Mediterraneo?
R. – Innanzitutto, l’Unione Europea
sarà necessariamente costretta, in qualche modo, dagli sviluppi più recenti che riguardano
la Libia da ultima, ma che nei giorni scorsi hanno riguardato l’Egitto e, prima ancora,
la Tunisia, a ripensare in qualche modo la propria politica nei confronti del Mediterraneo.
D.
- Insomma, una interpretazione del Mediterraneo che vada un al di là della mera fucina
di migranti clandestini…
R. – Sì: migranti da un lato; energia, forse,
dall’altro. Finora, i rapporti con il Mediterraneo sono stati probabilmente troppo
centrati solo ed esclusivamente su questi due aspetti. (gf)