Il sacerdozio secondo il Concilio Vaticano II: una rilettura della "Presbyterorum
Ordinis"
Sacerdoti nuovi per una Chiesa realmente nuova. Fu questo lo spirito di fondo che
guidò il Vaticano II quando si trattò di ridefinire il ministero sacerdotale, alla
luce degli orizzonti aperti dal Concilio. Il frutto della riflessione conciliare si
condensò nel decreto Presbyterorum Ordinis, che Paolo VI promulgò il 7 dicembre
1965. Il gesuita padre Dariusz Kowalczyk ne parla nella 16.ma puntata della
rubrica dedicata alla riscoperta dei documenti conciliari:
Non c'è rinnovamento
nella Chiesa senza rinnovamento dei presbiteri. Tale affermazione non è segno di mentalità
clericale ma la verità, radicata nella struttura della Chiesa voluta dal Signore.
Il Concilio ricorda che Cristo stesso promosse alcuni dei discepoli “come ministri,
in modo che nel seno della società dei fedeli avessero la sacra potestà dell'ordine
per offrire il sacrificio e perdonare i peccati” (n. 2).
Il Vaticano
II ricorda “a tutti l'alta dignità dell'ordine dei presbiteri” (n. 1) ma dall'altro
lato insegna invece che i presbiteri non “cadono dal cielo”, ma vengono presi dal
popolo dei fedeli e “vivono in mezzo agli altri uomini come fratelli in mezzo ai fratelli”
(n. 3). I sacerdoti quindi devono essere consapevoli della grandezza della loro vocazione,
senza celebrare se stessi, in quanto non possiedono nulla che non abbiano ricevuto.
Sono, infatti, da ricordare le parole di sant’Agostino: “Per voi io sono vescovo,
con voi sono cristiano”.
Il decreto Presbyterorum Ordinis indica
i tre doveri fondamentali dei presbiteri: proclamare la parola di Dio, celebrare i
sacramenti, e esercitare il ministero della carità. Il sacerdote deve ricordare che
il suo compito “non è di insegnare una propria sapienza [come vorrebbero alcuni teologi],
bensì di insegnare la parola di Dio” (n. 4). Tuttavia, tale insegnamento non consiste
nel ripetere automaticamente le stesse formule, ma nell’"applicare la perenne verità
del Vangelo alle circostanze concrete della vita” (n. 4).
Il Concilio
sottolinea la necessità di comunione nei rapporti tra vescovi, presbiteri e
diaconi, tra clero e religiosi (NMI, 45). Non si tratta però di una solidarietà nel
nascondere i problemi che invece dovrebbero essere analizzati e risolti. Il Concilio
indica piuttosto quella “spiritualità di comunione”, che permette ai presbiteri di
aiutarsi vicendevolmente, contribuendo insieme al bene della Chiesa.