La Libia in rivolta contro Gheddafi: a Tripoli aerei sparano sui manifestanti. Oltre
250 i morti
Dilaga la rivolta anti Gheddafi in Libia, in molte città è il caos. La situazione
più grave a Tripoli: dopo i saccheggi e gli incendi a edifici governativi nella mattinata,
questo pomeriggio durante una manifestazione,secondo la tv araba al Jazira, i jet
militari avrebbero aperto il fuoco sulla gente. Oltre 250 i morti. E mentre la comunita'
internazionale accelera il rimpatrio dei propri cittadini da uffici e aziende, dai
ministri degli esteri dell’Unione europea come dall’Onu, arriva la condanna della
repressione e l’appello alle parti alla moderazione. Il servizio di Gabriella Ceraso
Dalla
Libia, oltre a notizie incomplete e frammentarie, arrivano anche testimonianze telefoniche
di giovani che chiedono cambiamenti tangibili. Ma quali sono le richieste che accompagnano
questa dura protesta alla quale aderiscono soprattutto le nuove generazioni? Amedeo
Lomonaco lo ha chiesto vicario apostolico di Tripoli, mons. Giovanni Innocenzo
Martinelli, raggiunto telefonicamente nella capitale libica:
R. - La Libia
non è un Paese povero come l’Egitto, come la Tunisia. Ci sono delle richieste giuste
per cui il popolo reclama. E le richieste sono le richieste fondamentali dei giovani:
poter avere una casa, poter avere uno stipendio migliore, poter avere un posto di
lavoro. Sono tutte richieste giuste, però la Libia - forse a differenza di altri Paesi
- ha la possibilità di soddisfare queste richieste, perché è un Paese che sta bene.
E’ qui forse che nasce un po’ la crisi nei giovani che vedono un Paese che potrebbe
fare, ma che secondo loro purtroppo non li aiuta.
D. - Come vive la Chiesa
in Libia questi momenti di grande tensione?
R. - Per quanto riguarda la Chiesa,
in generale, non ci sono problemi particolari. Qualche difficoltà, invece, l’abbiamo
a Bengasi, dove si trovano le suore in diverse località. Le comunità religiose e le
suore lavorano negli ospedali, lo fanno anche con dedizione e vogliono anche restare.
Lavorano tutte quante con generosità, in situazioni difficili, soprattutto negli ospedali.
Le autorità sanitarie e il popolo sono vicini a queste religiose, che donano se stesse
in questo servizio. Anche i sacerdoti sono rimasti in loco, dove ci sono cristiani,
soprattutto filippini. Tutti sono rimasti e tutti vogliono continuare a rimanere,
finché sarà possibile, proprio anche per essere a servizio del popolo libico.
D.
- Qual è a questo punto il cammino auspicabile per la Libia?
R. - E’ difficile
poter discernere un cammino. Noi desideriamo - e lo vogliamo proprio con tutto il
cuore - una forma di riconciliazione, affinché il popolo libico abbia veramente quello
che è giusto. Questa crisi, io la chiamo una crisi generazionale: ci sono tanti giovani
che hanno bisogno della casa, del lavoro, etc… Ma è importante ritrovare una fase
di dialogo tra le parti.
D. - Motore della protesta in vari Paesi arabi è
stata la rete di Internet, che nelle situazioni di crisi, però, non sempre è attiva.
E’ così anche in Libia?
R. - Internet non mi sembra che funzioni in questo
momento ed io mi rendo conto che è importante per comunicare. Purtroppo c’è la zona
di Beida, a 200 chilometri da Bengasi, dove da due giorni non riesco a comunicare
con le suore. Ci sono due comunità religiose e non riusciamo a comunicare sia telefonicamente
sia attraverso Internet.
D. - Abbiamo parlato dell’impegno in Libia dei religiosi.
A questo si deve aggiungere anche quello di tanti laici…
R. - Sì. Ci sono le
suore che fanno tanto, ma ci sono anche tanti laici. Ci sono tante donne filippine
che lavorano negli ospedali e nelle diverse zone, anche le più isolate nel deserto,
e lo fanno con tanta passione, in nome della fede e in nome della fraternità.