Haiti: la ricostruzione non decolla e la popolazione vive nell’insicurezza alimentare
“È impossibile che nonostante sia stato speso un miliardo di dollari per Haiti, la
situazione sia quella che ancora vediamo e che l’epidemia di colera ancora non si
riesca a controllare”. É la denuncia di Evel Fanfan, presidente dell’organizzazione
Aumohd (Action des Unite’s Motive’es pour une Haiti de Droit), associazioni di avvocati
che dal 2002 si occupa della difesa dei diritti umani e civili della popolazione haitiana.
Dopo il devastante terremoto, infatti, la situazione nel Paese resta difficile. “Haiti
ha bisogno di circa un miliardo di dollari per realizzare i progetti di ricostruzione
approvati dalla Commissione ad Interim per la ricostruzione di Haiti”, ha annunciato
all’agenzia Fides il primo ministro del Paese, Jean Max Bellerive, durante una riunione
con l’ex presidente Usa Bill Clinton, giunto nell’isola in qualità di inviato speciale
dell’Onu. I progetti riguardano l'istruzione, la salute, i complessi abitativi, l’energia,
la raccolta di detriti, il lavoro, l’agricoltura. Inoltre, secondo una valutazione
del ministero haitiano della sanità pubblica e della popolazione, ci sono più di 225
mila persone infettate da colera. Nonostante gli sforzi per contenere l’epidemia,
dallo scorso ottobre sono morte più di 4 mila persone, una cifra che, secondo l’ultimo
rapporto del Ministero della salute datato 3 febbraio, è destinata ad aumentare. Inoltre,
più di tre milioni di haitiani, quasi un terzo della popolazione, vivono ancora in
una situazione di insicurezza alimentare. Lo ha denunciato il Coordinamento nazionale
per la sicurezza alimentare (Cnsa), precisando che a patire i disagi alimentari non
sono soltanto gli sfollati a causa del terremoto, ma anche la popolazione del nordovest
e del sud del Paese. Secondo il Cnsa, sono tanti i beni alimentari che hanno subito
un notevole incremento di prezzo, il riso è aumentato del 25% negli ultimi mesi. Sicuramente
il mercato ha subito le ripercussioni dell’epidemia del colera (molti consumatori
e commercianti hanno scartato i prodotti provenienti dalla regione centrale dell’Artibonite,
focolaio dell’epidemia), ma è anche vero che alcune terre sono sfruttate da consorzi
stranieri per produzioni destinate essenzialmente all’esportazione. (M.I.)