La storia del mondo e le memorie degli uomini: ci parlano di questo un pugno di film
che scorrono sugli schermi della Berlinale, nel momento in cui il festival si avvia
alla cerimonia di chiusura, quando i giurati porranno fine alle attese di pubblico
e media designando i vincitori della 61.ma edizione. Il conflitto israelo-palestinese
fa da sfondo a “Odem” di Jonathan Sagall, anche se poi l’azione si svolge nella Londra
contemporanea. È qui che s’incontrano due amiche che hanno lasciato il Paese anni
prima. L’incontro sembrerebbe a prima vista pieno di nostalgia. Invece dai ricordi
uscirà il volto brutale di una violenza subita e mai dimenticata. Se tema affrontato
e sviluppo drammatico sono i punti forti del film, esso riesce raramente a superare
il livello di una routine professionale e quasi mai entra nella profondità spirituale
dei personaggi. Più forti in questo senso, anche se contaminati da un eccesso di eleganza
formale, risultano “Innocent Saturday” di Alexander Mindadze e “If not us, who” di
Andres Veiel. Il regista e sceneggiatore russo ci riporta ai momenti tragici di una
catastrofe improvvisa che sconvolse l’Europa, l’esplosione del reattore nucleare di
Chernobyl. Il teatro dell’azione è la cittadina che ospita i lavoratori della centrale.
Il tempo che lo percorre è quello della più banale quotidianità, fra i doveri e i
piaceri dell’esistenza. Mentre il disastro sta per abbattersi sugli ignari abitanti
della zona, solo un giovane funzionario di partito coglie il senso reale del pericolo
che li sovrasta e cerca inutilmente di spingerli alla fuga. Mindadze crea intorno
alla vicenda un sottile reticolo di relazioni umane, mentre il suo operatore scivola
con la macchina da presa sui volti e i corpi dei personaggi, immortalandoli in una
sorta di dolente Spoon River cinematografica che ci rammenta l’ineluttabile scorrere
della vita. “If not us, who” rievoca invece la Germania degli anni 60, quando dalle
ceneri di una generazione convivente col nazismo, germogliarono i semi della ribellione
giovanile e di una nuova presa di coscienza del mondo. Protagonisti della vicenda
sono Bernward Vesper e Gudrun Ensslin. Lui è il figlio di un poeta celebrato dal Fuhrer,
teso a riabilitare l’opera e la memoria del padre, lei la figlia di un pastore protestante
avviata a una brillante carriera. Barcamenandosi fra convenzioni dell’epoca, necessità
economiche, vincoli familiari, i due compiono un percorso sentimentale e ideologico
che li porterà via via verso le frange più estreme del movimento rivoluzionario. Si
potrebbe dire che è materia già vista e trattata dal cinema. Tuttavia, lavorando su
una sceneggiatura abilmente costruita, unendo alle performance degli attori un vasto
spettro di materiali d’archivio e di musiche d’epoca, il cineasta tedesco riesce a
dare il senso di un tempo ormai passato e di una gioventù perduta nella sua propria
utopia. (Da Berlino, Luciano Barisone)