Egitto: cruciale il ruolo dei militari nella fase di transizione. Giallo sulle sorti
di Mubarak
In Egitto è iniziato il periodo della transizione: i militari hanno avviato un percorso
che nei prossimi mesi dovrebbe portare alla riforma della Costituzione e a nuove elezioni
legislative e presidenziali. Si alternano poi voci discordanti sulla sorte di Hosni
Mubarak, fuggito in Germania per un quotidiano israeliano o in stato di coma nella
sua residenza di Sharm El-Sheikh, secondo fonti di stampa locali. Su questa cruciale
fase politica per il Paese e per tutta la regione ascoltiamo, al microfono di Amedeo
Lomonaco, l’inviato della ‘Stampa’ al Cairo, Paolo Mastrolilli:
R. - Dopo
la grande festa dei giorni scorsi, seguita alle dimissioni di Mubarak, adesso si fanno
i conti con la realtà e si cerca di riavviare il Paese. I militari hanno preso in
maniera definitiva il controllo del governo con il comunicato di ieri. Si tratta di
vedere se effettivamente manterranno la promessa di utilizzare questi sei mesi, in
cui pensano di conservare il potere, per favorire una transizione democratica e quindi
portare il Paese, con una nuova Costituzione, ad elezioni parlamentari e presidenziali.
D.
- Soffermiamoci proprio sul ruolo dei militari…
R. - Le opposizioni
si sono un po’ divise nei giudizi. Alcuni di questi sono stati più positivi, come
quello di Ayman Nour - l’ex candidato presidenziale - che ha salutato le decisioni
dei militari come la prova che non intendono trasformare quello che è avvenuto negli
ultimi giorni in un colpo di Stato con il quale si impossesseranno in maniera definitiva
del Paese ma favoriranno la transizione democratica. Altri, come El Baradei e come
i Fratelli musulmani, sono stati un po’ più scettici: vogliono vedere effettivamente
chi comporrà questa commissione che deve riformare la Costituzione, se si arriverà
davvero alle elezioni, se saranno elezioni libere e democratiche in cui il potere
potrà tornare ai civili.
D. - E dalla scena politica è uscito dunque,
in questo momento, l’ex presidente Hosni Mubarak. Si dice che in realtà abbia già
lasciato il Paese e sia in Germania, altre voci affermano che sia in coma. Ecco, queste
voci quali ripercussioni hanno in Egitto, in questo momento?
R. - Il
fatto che sia andato in Germania per farsi curare è stato smentito dal governo tedesco,
però naturalmente è una possibilità. Può darsi che una cosa del genere avvenga in
riservatezza e quindi non vogliano confermarla. Alcuni giornali locali hanno scritto
che invece sta male, che è in coma e viene curato a Sharm El Sheik. Il Paese naturalmente
segue questi avvenimenti, perché la figura di Mubarak è stata dominante nella storia
dell’Egitto degli ultimi 30 anni, però viene più seguito per il ruolo che ha svolto
in passato che non per quello che può svolgere adesso, nel futuro del Paese.
D.
- E c’è poi, in Egitto, la consapevolezza che il futuro di questo Paese possa, in
qualche modo, essere da guida anche per altri Stati arabi…
R. - Questa
è certamente una sensazione che esiste. Gli stessi ragazzi protagonisti della protesta
hanno detto che la protesta in Tunisia li ha spinti a scendere in piazza e pensano
che quello che loro hanno fatto in Egitto possa essere altrettanto d’ispirazione per
gli altri Paesi arabi. Anche Amr Moussa, che era il segretario generale della Lega
araba che si è dimesso pochi giorni fa, ci ha detto in un’intervista che ritiene che
questo sia effettivamente l’inizio di una nuova era nel mondo arabo e questo, probabilmente,
è l’avvio di un processo che covava sotto le ceneri e che adesso sta emergendo in
tutti i Paesi arabi.
D. - Un processo che però, tra i rischi, pone anche
quelli legati all’immigrazione…
R. - Certo, i problemi sono i rischi
dell’immigrazione, di persone che per paura o perché non si trovano più bene nei loro
Paesi continuano a fuggire verso l’estero, come accade appunto verso le coste italiane.
C’è anche il pericolo che questi movimenti popolari vengano deragliati dall’intervento
dei militari - come potrebbe avvenire in Egitto - oppure c’è il pericolo di derive
fondamentaliste, che potrebbero allontanare questi Paesi dalla collaborazione con
l’Occidente. Con una situazione come quella che si è creata negli ultimi giorni, con
queste rivolte e tensioni, diventa più difficile controllare questi flussi. (vv)