Dilagno le rivolte nei Paesi arabi, dall'Algeria allo Yemen
Non si ferma l’onda lunga delle rivolte nei Paesi del mondo arabo, dove vengono chiesti
più diritti e democrazia. L’effetto domino ha contagiato da giorni Algeria, Yemen,
Bahrein e Mauritania. In Tunisia, poi, la situazione è ancora lontana dal ritorno
alla normalità dopo le dimissioni del ministro degli Esteri del governo di transizione.
Il servizio di Marco Guerra:
I focolai
della rivoluzione egiziana contagiano il mondo arabo. "Dopo Mubarak, Ali" urlava
la folla questa mattina nella capitale dello Yemen, Sana'a. Manifestazioni
anche nella città industriale di Taiz dove le forze di sicurezza hanno sparato proiettili
in aria per disperdere la folla. Le manifestazioni vanno avanti da giorni nonostante
il presidente Ali Abdallah Saleh, al potere da 32 anni, abbia annunciato l’apertura
di un dialogo con le opposizioni, impegnandosi a non ricandidarsi per un altro mandato
e di non passare il potere a suo figlio. Tensione ancora alta anche in Algeria dopo
le proteste di sabato scorso. Oggi il ministro degli Esteri ha ribadito che a giorni
sarà revocato lo stato di emergenza in vigore da 19 anni ma ha precisato che la situazione
non è quella dell’Egitto. E sempre oggi in Baharein si svolge la “giornata
della rabbia” indetta dall’opposizione sciita. Al momento si registrano 14 feriti
in scontri fra manifestanti e polizia. A scendere in piazza in Mauritania sono invece
i sindacati, che ieri hanno manifestato per l’aumento dei salari. “Resteremo
mobilitati fino all'apertura dei negoziati”, ha detto il presidente della Confederazione
generale dei lavoratori. In tutti questi Paesi assistiamo allo scontro tra
strutture politiche autoritarie e istanze emergenti della popolazione. I Paesi non
interessati dalla rivolta seguono comunque con attenzione l’evolversi della situazione
che sarà al centro dei lavori del prossimo vertice della lega araba del 29
marzo a Baghdad. Interessato agli eventuali risvolti politici anche lo stato
di Israele: il primo ministro Netanyahu ha detto che i militari israeliani
si dicono “pronti ad ogni evenienza”, perché “la pace con i nostri vicini si basa
sull'esercito israeliano”. “Un terremoto sta scuotendo il mondo arabo e musulmano
e non sappiamo come andrà a finire”, ha poi commentato il premier dello stato ebraico.