2011-02-11 14:54:30

Mubarak lascia Il Cairo mentre proseguono le proteste e la lotta di potere al vertice dell'Egitto


Ore di forte concitazione in Egitto, dove Mubarak ha lasciato Il Cairo per raggiungere la località turistica di Sharm el-Sheikh. E mentre continuano le proteste di piazza, si fa più serrato il dialogo tra poteri per gestire il processo di transizione. Il servizio di Marco Guerra: RealAudioMP3

Dopo il rincorrersi di voci e smentite su una possibile fuga del presidente, Hosni Mubarak, le ultime notizie riferite da Al Alrabiya parlano dell’arrivo del capo dello Stato egiziano e dalla sua famiglia nella località turistica di Sharm el-Sheikh. Intanto, la situazione sul terreno resta completamente fuori controllo: i manifestanti hanno bloccato le vie d’accesso al palazzo presidenziale e verso l'aeroporto della capitale. Un altro corteo si è formato dalla moschea di Abbasseya e piazza Tahrir è gremita di diverse centinaia di migliaia di persone, che continuano ad arrivare da varie direzioni. Per oggi, venerdì di preghiera, era stata fissata una grande manifestazione, già prima del discorso di ieri di Mubarak, il quale ha parlato del passaggio dei poteri al suo vice, Suleiman, di una transizione pacifica e della volontà di restare in carica fino alle elezioni del prossimo settembre. Di dimissioni, insomma, nemmeno a parlarne. I vertici delle istituzioni lavorano però per accelerare il processo di transizione. In mattinata, il Consiglio supremo delle Forze armate egiziane ha auspicato un ritorno alla “vita normale” e ha fatto sapere che garantirà “il pacifico passaggio dei poteri” ed “elezioni libere". E c’è attesa per un comunicato annunciato per le prossime ore da ambienti militari. Ma il potere al momento è di fatto in mano dello stesso Suleiman, che ha ordinato al primo ministro di nominare un altro vicepremier, da scegliersi tra i membri di un consiglio di saggi con il quale si sono aperte le consultazioni per cercare una soluzione alla crisi. I colloqui sono però contestati da parte della piazza, secondo cui si tratta di un mero espediente per non rispondere alle vere esigenze della popolazione. Per la stessa ragione, uno dei partiti interpellati ha annunciato che d'ora in poi boicotterà ogni contatto del genere. “Continuiamo a sperare che l'esercito venga dalla nostra parte”, scrive su Twitter il Premio Nobel, El Baradei, chiudendo anche lui ogni porta al negoziato.

Nonostante le incertezze provocate dalla rivolta egiziana, tutti gli analisti sono concordi nell'individuare un punto di svolta epocale in quanto sta avvenendo nel mondo arabo, tanto che alcuni paragonano la situazione attuale del Mediterraneo a quella provocata dalla caduta del Muro di Berlino. Stefano Leszczynski ha intervistato Francesca Sibani, responsabile Africa e Medio oriente del settimanale Internazionale:RealAudioMP3

R. – In realtà sì, perché - essendosi diffuse le proteste poi anche in Siria, in Yemen e in Giordania - vediamo popoli che chiedono nuove libertà e più democrazia, rispetto all’immagine di inerzia che davano di fronte ai regimi autoritari.

D. – Non vediamo una partecipazione dell’islam radicale, così come è temuto dall’Occidente. Tuttavia, questo pericolo viene sempre e costantemente evocato. Perché?

R. – Per mantenere la situazione sotto controllo evocano lo spettro di un possibile nemico islamista, che potrebbe radicalizzare la situazione nel Paese, imporre leggi come la sharia, portare questi Paesi ancora più lontani dall’Occidente e cioè creare un divario tra l’Occidente e il mondo islamizzato.

D. – Possiamo dire che, in realtà, la partita più grande sia quella che la politica internazionale che si giocherà sull’Egitto?

R. – Di certo, il futuro dell’Egitto è una questione che sconvolge gli equilibri della regione e che avrà ripercussioni importanti anche sul processo di pace in Medio Oriente. Mi chiedo se un Israele indebolito forse dalla perdita dell’alleato principale sarà disposto a scendere a patti con l’Autorità nazionale palestinese. E se anche gli altri Paesi citati prima – Giordania, Siria, Yemen – saranno costretti, malgrado non sia proprio questa la volontà delle autorità, a promuovere delle riforme in senso liberale, in senso progressista, per sedare in anticipo eventuali richieste delle loro popolazioni. In questo senso, l’effetto potrebbe essere positivo anche per l’Occidente, perché un livello maggiore di democrazia in questi Paesi è sempre stato l’obiettivo di molti Paesi occidentali, come gli Stati Uniti.(ap)







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