Convegno dei vescovi vicini al Movimento dei Focolari: la testimonianza dell'arciv.
di Belem, in Brasile.
In questo tempo di trasformazioni sociali e di disorientamento che investono il pianeta,
ma anche di ricerca di nuovi modelli di testimonianza della fede, molti sono i vescovi
che avvertono l’esigenza di attuare uno scambio di vedute e di esperienze ecclesiali
realizzate nei vari contesti culturali. A questo ha voluto rispondere il 35.mo convegno
intercontinentale di vescovi amici del Movimento dei focolari che si è concluso oggi
al Centro Mariapoli di Castel Gandolfo. Tema di quest’anno: "Riscoprire i disegni
di Dio nell'oggi". 75 i partecipanti tra vescovi e cardinali di 40 nazioni. All’udienza
di mercoledì scorso, rivolgendo loro un saluto, Benedetto XVI si era detto lieto di
quest’opportunità di incontro e aveva augurato che esso possa portare frutti abbondanti
per le rispettive comunità. Ma che tipo di pastore vuol essere il vescovo che s’ispira
alla spiritualità dei Focolari? Adriana Masotti lo ha chiesto a mons. Alberto
Taveira Correa, arcivescovo di Belem do Parà in Brasile presente al Convegno.
R. – Un vescovo
che lavora per la comunione, che vive una spiritualità di comunione, un vescovo che
vuole servire per stabilire questi rapporti fra i suoi diocesani e con gli altri vescovi
e specialmente vuole creare con il suo presbiterio questi rapporti fraterni che possono
portare frutto all’attività pastorale di tutta la sua Chiesa locale.
D. – Può
dirci un po’ la sua esperienza in questo sforzo di creare comunione nella sua arcidiocesi?
R.
– Io sono, da meno di un anno, in questa arcidiocesi, e ho stabilito subito un rapporto
con i sacerdoti. Ho incontrato tutti i sacerdoti, perché loro potessero presentarmi
la situazione delle parrocchie, che sono 59, e così si è stabilita una conoscenza
quasi immediata; la conseguenza è che possiamo fare progetti insieme.
D. –
Titolo del vostro convegno quest’anno è “Riscoprire i disegni di Dio nell’oggi”. Un
titolo che svela uno sguardo positivo nei confronti del mondo attuale. Se è così,
dove vedere i segni di Dio nelle nostre società?
R. – Tutte le spiritualità
che ci sono - e la spiritualità del focolare non può essere un’eccezione - hanno la
propria formazione interna e spirituale, che però si riflette anche nella società.
Oggi abbiamo ascoltato le esperienze in rapporto all’economia, alla sociologia, ai
rapporti sociali: noi sentiamo che la missione del vescovo sia avere il cuore aperto
per capire tutte le situazioni del mondo e così tornare nella sua diocesi con una
conoscenza più grande del mondo.
R. – Tra gli interventi che ci sono stati
al vostro convegno c’è stato anche quello del cardinale Ravasi, presidente del Pontificio
Consiglio per la Cultura, che ha tenuto una relazione proprio sul confronto tra la
cultura cristiana e le culture oggi. Che cosa è emerso?
R. – Lui ci ha aiutato
a capire che ci sono delle cose positive e soprattutto ha insistito sulla dimensione
del dialogo, per un rapporto rispettoso con tutte le manifestazioni della cultura
che ci sono oggi: i vescovi non devono essere rinchiusi in se stessi ma andare incontro
alle realtà in cui si trovano. Io, subito, al mio arrivo sono andato in tutte le università
- ci sono sei università nella mia città, Belem - e così ho iniziato un dialogo con
tutte le università, con gli intellettuali, con gli artisti. Adesso incominceremo
un dialogo anche con i politici. Stiamo facendo i primi passi perché si stabilisca
un rapporto rispettoso di dialogo con queste realtà e con i nuovi gruppi che costruiscono
la società.
D. – Anche la presidente del Movimento, Maria Voce, ha parlato
a voi vescovi e ha parlato della volontà di Dio nel pensiero e nella vita di Chiara
Lubich. Quali riflessioni, quali propositi ha suscitato in lei questo tema?
R.
– Tutte le strade della vita cristiana vogliono scoprire e valorizzare la volontà
di Dio e per noi la volontà di Dio è essere successori degli apostoli. Così oggi siamo
tutti rinforzati nella nostra missione di vescovi. Io, quando posso, partecipo sempre
a questi incontri, che funzionano come un ritiro personale, in cui si possono trovare
nuove risposte pastorali.