All'Università di Bologna, l'inaugurazione del "Cortile dei Gentili". Intervista con
il cardinale Ravasi
Sarà l'Università di Bologna, il primo ateneo laico europeo, a ospitare domani l’inaugurazione
del ‘Cortile dei Gentili’, la nuova struttura permanente vaticana dedicata al dialogo
tra credenti e non credenti che fa capo al Pontificio Consiglio della Cultura. Si
tratterà dell’esordio italiano di questa realtà che avrà invece il suo varo internazionale
a Parigi il 24 e il 25 marzo. Ma se nel dialogo interreligioso va evitato il rischio
del sincretismo, quali incognite può presentare l’incontro con chi non crede? Fabio
Colagrande lo ha chiesto al cardinale Gianfranco Ravasi, presidente del
dicastero della cultura.
R. – Il rischio
eventuale potrebbe essere soltanto quello di un dialogo accademico, un dialogo – ed
io mi sto battendo perché non si corra questo rischio – che alla fine semplicemente
trovi quel minimo comune denominatore. Io voglio che si pongano veramente questioni
radicali - questioni di antropologia, quindi bene e male, vita e oltre vita, l’amore,
il dolore, il senso del male - domande che siano sostanzialmente alla base dell’esperienza
umana. Ma voglio anche che, per esempio, ci si interroghi sulla qualità della teologia,
proprio per far comprendere che la teologia non è un relitto del paleolitico, del
passato, è invece una disciplina che ha un suo statuto, una sua tipologia di metodo,
è un altro sguardo dato alla realtà. Vorrei anche arrivare a qualche punto ulteriore,
che vedo già interessare molti atei, ed è quello della spiritualità dell’ateo, perché
la trascendenza non è soltanto ciò che insegna la teologia, è anche insita nella ragione
stessa, la quale di sua natura vuole sempre andare oltre e, quindi, alla fine anche
interrogarsi sull’oltre e sull’altro in assoluto. Sono molte le piste, i percorsi
che vogliamo proporre, tutti comunque di una certa provocazione perché non si vuole
necessariamente arrivare ad una sorta di Onu del pensiero umanistico, che si ritrova
alla fine sul minimo.
D. – Qualcuno dal mondo ateo ha parlato di un’iniziativa
che mira al proselitismo, cosa risponde?
R. – La tipologia stessa degli
eventi sarà tale proprio da vaccinare da questo rischio, che può sempre essere insito,
perché noi sappiamo, e non bisogna mai negarlo, che le religioni di loro natura non
sono solo informative, sono anche performative, cioè vogliono formare le coscienze,
vogliono dare il senso caloroso del messaggio che portano. Ma vorrei anche dire che
questa è pure un’attendenza dell’ateismo serio. Quando l’ateismo si presenta come
un sistema di pensiero, e pensiamo a figure come Marx o come Nietzsche, vuole anche
incidere in qualche modo nella società e ha inciso. Quindi, esiste sicuramente questo
problema, ma proprio perché coloro che organizzeranno questi eventi non saranno più
le istituzioni, non sarò più io come Pontificio Consiglio della Cultura, ma saranno
le varie situazioni concrete, in quel momento naturalmente ognuno organizzerà con
la propria identità e alla fine anche con la tutela dei propri spazi e dei propri
perimetri.
D. – Lo scorso anno il Papa ha varato anche un nuovo Dicastero
dedicato alla nuova evangelizzazione. Come integrare il dialogo con chi non crede,
con il nuovo annuncio ad un Occidente scristianizzato?
R. – Anche noi
ad un certo momento dovremo interessarci di un settore che dal punto di vista culturale
e sociale è, ai giorni nostri, fondamentale, purtroppo, ed è il fenomeno della “indifferenza”.
Quindi, questa situazione dovrà essere anche studiata dal punto di vista culturale
e dal punto di vista pastorale naturalmente dovrà essere studiata dal Pontificio Consiglio
della nuova Evangelizzazione. Ci troveremo, però, con due prospettive differenti.
Per noi, infatti, è veramente una tipologia culturale che ha dei profondi limiti e
che richiede una cura. L’altra considerazione, invece, che riguarda sempre i due Dicasteri,
è proprio nei termini stessi di “cultura” ed “evangelizzazione”. Certamente l’evangelizzazione
comprende anche la cultura, ha dei momenti in cui deve coinvolgere la cultura, e,
quindi, dovrà lavorare in sinergia con noi. Già ne ho parlato con il presidente attuale
e siamo d’accordo su questo. Ma l’evangelizzazione poi è un passo ulteriore: da una
parte si parte dal “kerigma”, che è l’annuncio primario fondamentale dei valori, dei
grandi valori cristiani in questo caso, e poi c’è la “catechesi”. (ap)