2011-02-10 15:55:33

Egitto. 17.mo giorno di protesta. Tensione in altri Paesi arabi


17esimo giorno di proteste al Cairo contro il presidente Mubarak, mentre spuntano accuse di torture da parte dell’esercito egiziano. La comunità internazionale continua a seguire l’evolversi della situazione e nel resto del mondo arabo si estendono i focolai della protesta. Il servizio è di Marco Guerra:RealAudioMP3

Anche oggi migliaia di dimostranti sono radunati in piazza Tahrir al Cairo e altri assembramenti si registrano vicino alle sedi delle principali istituzioni. Dimostrazioni vengono segnalate anche ad Assiut, nell'alto Egitto, e in altri centri del Paese. Le manifestazioni dovrebbero toccare il culmine domani: nel giorno di preghiera per l’islam le opposizioni hanno infatti organizzato una grande dimostrazione a cui dovrebbero partecipare un milione di persone, come quella di venerdì scorso. Non hanno dunque placato gli animi le promesse di riforme e i lavori avviati ieri dalla commissione per emendare la Costituzione che ha approvato la modifica di sei articoli tra cui quello sui requisiti per la candidatura che, di fatto, impediva ai più di presentarsi alle elezioni. E ad esasperare il clima si aggiungono le accuse del quotidiano britannico Guardian, secondo cui l’esercito avrebbe arrestato migliaia di oppositori, alcuni dei quali sarebbero stati torturati. Riflettori puntati della comunità internazionale: l’Ue lavora per una visita del rappresentante per la politica estera, Catherine Ashton, per la prossima settimana; mentre il re saudita Abdullah avrebbe chiesto ad Obama di non umiliare Mubarak, per evitare le possibili conseguenze di un vuoto di potere in Egitto. E l'inviato del presidente russo per il Medio Oriente ha ribadito che Mosca è contraria a qualsiasi ingerenza esterna nella crisi politica in atto. Scenario simile anche in altri Paesi del Nord Africa, dove si continuano a chiedere riforme democratiche. In Libia le opposizioni scenderanno in piazza giovedì prossimo, con il colonnello Gheddafi – preoccupato – che ha già messo in guardia dai rischi di questa decisione. Il giorno 20, invece, toccherà al Marocco. Sabato prossimo sarà la volta dell’Algeria, dove ieri altre tre persone hanno tentato di darsi fuoco. In Tunisia, invece, la presidenza ha annunciato l’apertura del dialogo con tutti i settori sociali. Mentre sul versante mediorientale in Giordania le dimostrazioni di queste settimane hanno portato al nuovo governo varato ieri.

La protesta in Egitto sta quindi avendo ripercussioni su tutta l’area mediorientale. E una situazione particolare si vive anche nella Striscia di Gaza e a Rafah, proprio sul confine egiziano. Ce ne parla l’inviato del Sole 24 Ore a Gaza, Ugo Tramballi, intervistato da Giada Aquilino:RealAudioMP3

R. – Anche a Gaza, come in tutto il mondo arabo, si cerca di far finta che di eco non ce ne sia, invece ce n’è tanta. Nei localini, dove i giovani mangiano shawarma e panini di carne, tutti guardano la televisione e vedono il volto piangente del giovane blogger, che ha iniziato la rivolta del Cairo. Quindi, comunque, c’è un effetto. Naturalmente bisogna considerare anche la condizione particolare di Gaza, che è assediata da Israele. E’ chiaro che prima che ad Hamas, che sicuramente sta avendo su Gaza un controllo sempre più militarizzato, la gente pensa prima di tutto al fatto che sia circondata da Israele. Anche a Gaza, però, sta crescendo lo scontento e il primo effetto della crisi egiziana si ha sotto i famosi tunnel di Rafah: manca la benzina e i prodotti cominciano a scarseggiare, quindi a costare sempre di più, e c’è anche uno scontento sociale che si riverbera sul governo di Hamas.

D. – Qual è la situazione dei tunnel?

R. – I tunnel non sono più quel grande business che c’è stato fino ad un anno fa, perché Israele ha riaperto il passaggio dei beni di consumo e di moltissimi materiali e, quindi, in qualche modo, ha in buona parte distrutto il business dei tunnel, che vive con il materiale che Israele - per motivi che ritiene siano di sicurezza - non vuole far passare: cemento, tutto il materiale di costruzione e naturalmente benzina. Dai tunnel poi non passano più le armi, soprattutto perché Hamas ha già tutte le armi che desidera, ma passano i soldi necessari – che vengono dall’Iran, dalla Siria. Servono per tenere in piedi le casse di Hamas, che non ha molto denaro e prende molti soldi pure dagli uomini dei tunnel: prende, infatti, una percentuale del 15 per cento su tutto il materiale che passa dai tunnel.

D. – Ci sono notizie che i giovani palestinesi possano scendere in piazza dopo la preghiera islamica di domani, venerdì…

R. – Sarà molto difficile. Circola su Facebook questo tentativo di organizzare qualcosa domani. Intanto, Hamas ha già detto che non consentirà a nessuno di usare la preghiera del venerdì per ragioni politiche. Il controllo militare e poliziesco di Hamas è altissimo. Poi, come è successo per l’Egitto, ma anche per altri Paesi, è difficile controllare la veridicità di quello che viene detto o scritto su Facebook, perché mentre in Egitto la rivoluzione è davvero cominciata su Facebook, dai giovani, ci sono altri casi, come per esempio la Siria, dove i servizi segreti hanno usato Facebook per tendere un tranello ai giovani che volevano manifestare. Certo, stando qui a Gaza, parlando con i giovani, c’è un crescente desiderio di libertà. Quello che è successo in Egitto, comunque vada a finire, ha innescato qualcosa che in qualsiasi Paese arabo non potrà essere ignorato.

D. - Quali sono le condizioni di vita di questi giovani?

R. – Pessime, ma migliori rispetto a prima, proprio perché Israele ha alleggerito un po’ la pressione. I giovani di Gaza al di sotto dei 20 anni sono il 60 per cento della popolazione. Il problema è che non c’è la possibilità di ridare vita all’industria palestinese, non c’è possibilità di un’autentica ricostruzione di Gaza, perché sono ancora in guerra, sono ancora in conflitto con Israele, sono circondati e pensano allo Stato palestinese. Indubbiamente c’è, però, ed è crescente, anche una forma di distacco dalla credibilità di Hamas, che viene considerato sempre più corrotto. Quindi, c’è una forma di richiesta crescente di una vita, almeno dall’interno, meno oppressiva di quella che già hanno.(ap)







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