Crisi egiziana: al Cairo si moltiplicano i presidi dei manifestanti. Il Vice-presidente
Suleiman: rischio di golpe. Obama: necessaria una transizione pacifica
I rischi di un colpo di Stato sono alti. Parola del vice-presidente egiziano Suleiman,
che ieri ha sottolineato l’importanza del dialogo per una transizione pacifica e duratura;
stessa posizione espressa, nella notte, anche dal presidente Usa Obama, che ha chiamato
il re Saudita Abdullah. Ma al Cairo le proteste si allargano: da piazza Tahrir al
Parlamento alla presidenza del consiglio dei ministri. Ed i rapporti con Washington
diventano sempre più tesi. Il servizio è di Amina Belkassem:
Sul pericolo
di una deriva estremista delle manifestazioni in Egitto, dopo la chiamata alla Jihad
da parte di un gruppo legato ad Al Qaeda, Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo
Branca, islamologo ed esperto di Paesi arabi dell’Università cattolica di Milano:
R. – Credo
che sia semplicemente una strumentalizzazione, come sempre ne avvengono quando c’è
un’ondata di protesta popolare: politici o movimenti dei vari tipi tendono a cavalcare
l’onda, che non sono stati loro a provocare. Non mi pare che Al Qaeda o gli estremisti
iracheni possano trovare simpatia da parte di questi giovani che manifestano in questi
giorni soprattutto per questioni di libertà e di dignità. Non ci sono slogan islamici.
D.
– Quindi, secondo lei, si può dire che tutto questo movimento nel Mediterraneo sia
un movimento di tipo politico e quindi scollegato da motivazioni di islam radicale?
R.
– Io direi di sì, anche perché la metà della popolazione egiziana ha meno di 25 anni
e si ribella soprattutto alla corruzione, che è terribile in questi Paesi. Ogni cittadino,
dalla mattina alla sera, viene taglieggiato sistematicamente da tutti, mentre i salari
sono bassissimi e le sperequazioni sociali spaventose, oltre alla mancanza di libertà
di espressione, di organizzazione della società civile in sindacati, partiti e associazioni.
D.
– Gli allarmi che arrivano da questi Paesi iniziano a spaventare quelle cancellerie
occidentali che inizialmente avevano appoggiato la richiesta di cambiamento ...
R.
– Comprendo la prudenza, perché ovviamente nessuno ha la sfera di cristallo, ma tutto
sommato non credo che siano tanto i Paesi occidentali a spingere, ad esempio, Mubarak
a rimanere al suo posto; temo che siano, più che altro, gli altri leader arabi, terrorizzati
dall’idea che l’effetto domino per tutti gli altri regimi - che comunque sono tutti
antidemocratici, dispotici, corrotti - possa veramente mettere in dubbio la legittimità
di quasi tutti.
D. – In regni come quello del Marocco e come quello giordano,
la situazione può essere considerata diversa?
R. – Sì, perché in questi Paesi
la monarchia ha comunque una forza di legittimazione storica, più radicata che non
quella delle giovani repubbliche, che sono poi tutte nate da colpi di Stato militari,
e anche perché questi nuovi sovrani sono giovani - sia quello del Marocco che quello
della Giordania - e quindi il distacco tra Paese reale e Paese legale è meno sentito
rispetto agli Stati vicini. (ap)