Egitto: ancora in migliaia presidiano piazza Tahrir
Dopo 16 giorni di protesta non tende ad allentarsi la situazione politico-sociale
in Egitto. Ancora questa mattina decine di migliaia di persone affollavano le strade
di fronte all’Assemblea del Popolo per chiedere immediate riforme e le dimissioni
del presidente Mubarak. Intanto, si moltiplicano le pressioni dei movimenti estremisti
che dall’Iraq, dal Libano e dalla Siria tentano di influenzare la protesta. Tra i
più temuti è il braccio iracheno di al Qaeda che ha diffuso un appello ai manifestanti
egiziani affinché aderiscano alla jihad. Sul pericolo di una deriva estremista in
Egitto Stefano Leszczynski ha intervistato Paolo Branca, islamologo
ed esperto di Paesi arabi dell’Università cattolica di Milano.
R. – Credo
che sia semplicemente una strumentalizzazione, come sempre ne avvengono quando c’è
un’ondata di protesta popolare: politici o movimenti dei vari tipi tendono a cavalcare
l’onda, che non sono stati loro a provocare. Non mi pare che Al Qaeda o gli estremisti
iracheni possano trovare simpatia da parte di questi giovani che manifestano in questi
giorni soprattutto per questioni di libertà e di dignità. Non ci sono slogan islamici.
D.
– Quindi, secondo lei, si può dire che tutto questo movimento nel Mediterraneo sia
un movimento di tipo politico e quindi scollegato da motivazioni di islam radicale?
R.
– Io direi di sì, anche perché la metà della popolazione egiziana ha meno di 25 anni
e si ribella soprattutto alla corruzione, che è terribile in questi Paesi. Ogni cittadino,
dalla mattina alla sera, viene taglieggiato sistematicamente da tutti, mentre i salari
sono bassissimi e le sperequazioni sociali spaventose, oltre alla mancanza di libertà
di espressione, di organizzazione della società civile in sindacati, partiti e associazioni.
D.
– Gli allarmi che arrivano da questi Paesi iniziano a spaventare quelle cancellerie
occidentali che inizialmente avevano appoggiato la richiesta di cambiamento ...
R.
– Comprendo la prudenza, perché ovviamente nessuno ha la sfera di cristallo, ma tutto
sommato non credo che siano tanto i Paesi occidentali a spingere, ad esempio, Mubarak
a rimanere al suo posto; temo che siano, più che altro, gli altri leader arabi, terrorizzati
dall’idea che l’effetto domino per tutti gli altri regimi - che comunque sono tutti
antidemocratici, dispotici, corrotti - possa veramente mettere in dubbio la legittimità
di quasi tutti.
D. – In regni come quello del Marocco e come quello
giordano, la situazione può essere considerata diversa?
R. – Sì, perché
in questi Paesi la monarchia ha comunque una forza di legittimazione storica, più
radicata che non quella delle giovani repubbliche, che sono poi tutte nate da colpi
di Stato militari, e anche perché questi nuovi sovrani sono giovani - sia quello del
Marocco che quello della Giordania - e quindi il distacco tra Paese reale e Paese
legale è meno sentito rispetto agli Stati vicini. (ap)