2011-02-08 15:27:54

Egitto. 15.mo giorno di proteste. Mubarak vara una Commissione per la riforma costituzionale


Nuova giornata di proteste in Egitto. Anche oggi sono migliaia al Cairo i manifestanti presenti in piazza Tahrir, simbolo della rivolta che ormai prosegue da 15 giorni, per chiedere le dimissioni di Hosni Mubarak. Nel Paese, intanto, sono attesi nuovi negoziati tra governo e opposizione. Da sottolineare, poi, che il presidente egiziano ha istituito una Commissione per monitorare il processo di riforma della Costituzione. Il servizio di Amedeo Lomonaco: RealAudioMP3

Piazza Tahrir si conferma l’ago della bilancia della politica egiziana. Sono migliaia coloro che restano in piazza per partecipare ad una nuova giornata di mobilitazione. Hanno promesso di proseguire nella protesta fino a quando il presidente Hosni Mubarak non si dimetterà. I manifestanti, che hanno creato un loro quotidiano “Midan al Tahrir”, chiedono anche riforme costituzionali e garanzie di una completa libertà di informazione. Mubarak, che oggi ha istituito una Commissione incaricata di supervisionare il processo di riforma costituzionale, ha però ribadito di non voler dimettersi. Il capo di Stato egiziano ha anche rivendicato alcune aperture, tra cui un aumento di salari e la richiesta di creare una Commissione d’inchiesta imparziale sulle violenze dei giorni scorsi. Violenze che, secondo Human Rights Watch, hanno provocato finora almeno 297 morti. Fonti locali riferiscono poi che da giorni non si hanno notizie di diverse persone. Ufficialmente sono scomparse ma si teme che siano state prelevate dai servizi segreti egiziani. Intanto, sul precario equilibrio dello scenario politico egiziano potrebbero pesare le sempre maggiori pressioni internazionali, soprattutto di Stati Uniti ed Israele. Barack Obama ha ribadito, nei giorni scorsi, il proprio appello per una transizione “ordinata” che porti ad un “governo rappresentativo”. In Israele, invece, si teme che la rivolta possa portare gruppi integralisti al potere e alla fondazione nel, post Mubarak, di un emirato islamico.

L’incertezza politica, dunque, preoccupa sempre più gli Stati Uniti e i suoi alleati per le possibili ricadute negative sull’intero processo di pace mediorientale. Sentiamo Antonio Ferrari, inviato speciale del Corriere della Sera, intervistato da Stefano Leszczynski:RealAudioMP3

R. – E’ inevitabile che tutto questo porti a qualche cosa che non sappiamo quali sbocchi possa avere: ecco i timori di Israele! I “fratelli musulmani” potrebbero essere tentati, nonostante il loro prudente tatticismo di oggi, a diventare più forti e dominanti contando sul fatto di essere stati vittime di oppressione politica da parte del regime di Mubarak; oppure ci potrebbero anche essere altre forze che, agli occhi e alle orecchie esperte di Israele, potrebbero suonare come pericolose e potrebbero anche mettere in discussione il trattato di pace tra Egitto e Israele.

D. – Quali sono gli equilibri fondamentali che si reggono su questo trattato?

R. – Pensiamo soltanto alla fornitura di gas: credo che Israele dipenda dal gas egiziano per il 40-50 per cento, quindi un’enormità.

D. – In questo contesto quello che sorprende un po’ oggi è la posizione degli Stati Uniti: insomma, la situazione sembra quasi sfuggire loro di mano e Mubarak è ancora lì …

R. - Secondo me era molto ingenuo e molto da “jacquerie” infantile pensare che tutto si sarebbe risolto come in Tunisia, come hanno pensato in tanti: Mubarak se ne andrà … Mubarak non se ne va, anche perché Mubarak è espressione del potere militare e non viceversa. Gli Stati Uniti hanno sempre avuto un rapporto speciale con il potere militare egiziano, esattamente come quello che hanno avuto con il potere militare turco. E’ chiaro che oggi l’America è confusa: i militari restano la forza che ha condizionato il passato e che condizionerà il futuro. Il fatto che le forze armate non siano intervenute e, anzi, abbiano fraternizzato quasi con i dimostranti dimostra una semplice cosa: i militari saranno ancora una volta il baricentro che può garantire la stabilità.

D. – L’Egitto ha subito un danno enorme da un punto di vista economico, ma allo stesso tempo c’è il timore che ci possa essere una fuga di capitali …

R. – Ci sono grandi industrie, anche multinazionali, che hanno in Egitto il loro punto di riferimento, che ai loro vertici hanno generali, personaggi dell’esercito, quindi di quell’apparato “industrial-militare” che ha sempre rappresentato il potere più grande dell’Egitto. Dall’altra parte, c’è la necessità di finanziare l’aumento del 15 per cento di stipendi e pensioni, che porterà naturalmente a un aumento dell’inflazione ma che era necessario - visto che gran parte della rivolta era anche dovuta agli aumenti dei prezzi dei generi di prima necessità - anche per cercare di compensare con qualche passo concreto le sofferenze della gente. (bf)







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