2011-02-07 20:23:06

14.mo giorno di protesta in Egitto. Il governo aumenta i salari ma il dialogo con l'opposizione è fermo


Oggi al Cairo, prima riunione del governo dall’inizio della protesta che però non si ferma. Piazza Tharir resta invasa dai manifestanti, mentre il Cairo cerca di tornare alla normalità, il coprifuoco è stato alleggerito di un’ora e le attività hanno ripreso a funzionare. Per il presidente americano Obama: è l’ora del cambiamento. Servizio di Francesca Sabatinelli RealAudioMP3

Ma come gli equilibri mediorientali risentono di ciò che sta succedendo in Egitto e nell’area del Mediterraneo? Risponde Marcella Emiliani, docente di Storia e Istituzioni del Medio Oriente all’Università di Bologna-Forlì, intervistata da Giada Aquilino:00:02:32:54

R. - Per ora la rivolta si è espansa a macchia d’olio e per ora sta trionfando la cosiddetta politica di strada, la street politics, ma quello che è ora importante è l’esito che avrà. Se davvero da queste rivolte popolari usciranno regimi democratici, scordiamoci il Medio Oriente che abbiamo conosciuto fino ad oggi, perché sarà la più grande rivoluzione che si è avuta - non solo nell’area ma anche a livello internazionale - da decenni a questa parte. Di democrazia in Medio Oriente si parla fin dalla fine della Guerra Fredda e ancor di più dall’inizio della lotta globale al terrorismo, dopo l’11 settembre 2001. Forme puramente di facciata di democrazia erano già state instaurate: è la sostanza della democrazia che manca. Vediamo adesso che sistemi genuinamente rappresentativi possono essere messi in piedi, ricordando però che in tutti i regimi del Medio Oriente la corruzione è altissima, la pratica dei brogli - prima, durante e dopo le elezioni - è diffusissima, che i sistemi di repressione sono estremamente efficienti.

D. - Turchia, Gaza, Libano, ora Egitto, senza contare l’Iran: sta cambiando la mappa delle forze islamiche in Medio Oriente?

R. - Per cambiare, non cambia. L’unica novità è vedere fino a che punto e con quale tipo di rappresentanza saranno inseriti - perché non potranno più essere esclusi - i cosiddetti partiti islamici moderati: mi riferisco alla Tunisia e soprattutto ai Fratelli musulmani in Egitto. Non scordiamo, però, che in Turchia è già al potere un partito islamico e non mi sembra che finora abbia lanciato chissà quali jihad contro gli occidentali o contro altri. Il caso Hamas è un caso totalmente diverso, perché lì si tratta di un discorso che più che l’islam riguarda la “lotta di liberazione nazionale”.

D. - Proprio la Turchia che ruolo potrebbe assumere nella regione?

R. – Il premier Erdogan può favorevolmente esprimersi nei confronti di quanto sta succedendo e lo fa. Non si scordi, però, che in Medio Oriente i turchi non sono gli arabi. Si può benissimo fare un discorso generale tra musulmani, ma quando poi si parla di specificità quello che conta è ormai il confine nazionale e quindi gli egiziani pensano agli egiziani, i tunisini ai tunisini e via dicendo. (mg)









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