14.mo giorno di protesta in Egitto. Il governo aumenta i salari ma il dialogo con
l'opposizione è fermo
Oggi al Cairo, prima riunione del governo dall’inizio della protesta che però non
si ferma. Piazza Tharir resta invasa dai manifestanti, mentre il Cairo cerca di tornare
alla normalità, il coprifuoco è stato alleggerito di un’ora e le attività hanno ripreso
a funzionare. Per il presidente americano Obama: è l’ora del cambiamento. Servizio
di Francesca Sabatinelli
Ma come gli
equilibri mediorientali risentono di ciò che sta succedendo in Egitto e nell’area
del Mediterraneo? Risponde Marcella Emiliani, docente di Storia e Istituzioni
del Medio Oriente all’Università di Bologna-Forlì, intervistata da Giada Aquilino:00:02:32:54
R.
- Per ora la rivolta si è espansa a macchia d’olio e per ora sta trionfando la cosiddetta
politica di strada, la street politics, ma quello che è ora importante è l’esito che
avrà. Se davvero da queste rivolte popolari usciranno regimi democratici, scordiamoci
il Medio Oriente che abbiamo conosciuto fino ad oggi, perché sarà la più grande rivoluzione
che si è avuta - non solo nell’area ma anche a livello internazionale - da decenni
a questa parte. Di democrazia in Medio Oriente si parla fin dalla fine della Guerra
Fredda e ancor di più dall’inizio della lotta globale al terrorismo, dopo l’11 settembre
2001. Forme puramente di facciata di democrazia erano già state instaurate: è la sostanza
della democrazia che manca. Vediamo adesso che sistemi genuinamente rappresentativi
possono essere messi in piedi, ricordando però che in tutti i regimi del Medio Oriente
la corruzione è altissima, la pratica dei brogli - prima, durante e dopo le elezioni
- è diffusissima, che i sistemi di repressione sono estremamente efficienti.
D.
- Turchia, Gaza, Libano, ora Egitto, senza contare l’Iran: sta cambiando la mappa
delle forze islamiche in Medio Oriente?
R. - Per cambiare, non cambia. L’unica
novità è vedere fino a che punto e con quale tipo di rappresentanza saranno inseriti
- perché non potranno più essere esclusi - i cosiddetti partiti islamici moderati:
mi riferisco alla Tunisia e soprattutto ai Fratelli musulmani in Egitto. Non scordiamo,
però, che in Turchia è già al potere un partito islamico e non mi sembra che finora
abbia lanciato chissà quali jihad contro gli occidentali o contro altri. Il caso Hamas
è un caso totalmente diverso, perché lì si tratta di un discorso che più che l’islam
riguarda la “lotta di liberazione nazionale”.
D. - Proprio la Turchia che
ruolo potrebbe assumere nella regione?
R. – Il premier Erdogan può favorevolmente
esprimersi nei confronti di quanto sta succedendo e lo fa. Non si scordi, però, che
in Medio Oriente i turchi non sono gli arabi. Si può benissimo fare un discorso generale
tra musulmani, ma quando poi si parla di specificità quello che conta è ormai il confine
nazionale e quindi gli egiziani pensano agli egiziani, i tunisini ai tunisini e via
dicendo. (mg)